Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 5870 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 5870 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 05/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA a VERONA avverso la sentenza in data 11/03/2022 della CORTE DI APPELLO DI VENE-
NOME;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
letta la nota dell’AVV_NOTAIO che, nell’interesse della parte civile RAGIONE_SOCIALE, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
letta la nota dell’AVV_NOTAIO che, nell’interesse di COGNOME NOME, ha insistito per l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME impugna la sentenza in data 11/03/2022 della Corte di appello di Venezia, che ha riformato la sentenza in data 11/01/2021 del Tribunale di Venezia, dichiarando la prescrizione dei reati commessi sino all’11/03/2013 e rideterminando la pena inflitta per gli ulteriori fatti di truffa contestatigli.
Deduce:
1. Inosservanza di norma processuale e mancata assunzione di prova
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decisiva.
Con il primo motivo d’innpugnazione il ricorrente si lamenta della mancata audizione di NOME COGNOME, che si assume teste decisivo perché riferisce sulle prassi operative della società RAGIONE_SOCIALE e sull’affidabilità dell’azienda prima delle difficoltà economiche incontrate a metà del 2013.
Si assume che tale testimonianza avrebbe consentito di dimostrare la correttezza dell’operato dell’imputato, legale rappresentante della menzionata società.
Vizio di motivazione con riguardo alla prova degli elementi costitutivi del reato di truffa e al riconoscimento dell’aggravante di cui all’art. 61, comma primo, n. 7 cod. pen. e della recidiva.
Il secondo motivo d’impugnazione si rivolge sia all’affermazione di responsabilità, sia alla configurabilità della recidiva e dell’aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità cagionato alla persona offesa.
Con riguardo alla responsabilità si sostiene che le risultanze testimoniali risultano valutate grossolanamente dalla Corte di appello, al pari delle ulteriori emergenze processuali.
Quanto all’aggravante, si assume che la Corte di appello l’ha ritenuta avendo riguardo al danno complessivamente cagionato, senza distinguere il danno cagionato a ciascuna persona offesa.
Con riguardo alla recidiva denuncia l’omessa motivazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è inammissibile perché non deducibile e perché manifestamente infondata.
1.1. Il ricorrente si duole della mancata ammissione di una prova testimoniale originariamente ammessa dal giudice di primo grado e poi da questi revocata.
Non risulta che l’odierno ricorrente abbia eccepito alcunché alla revoca dell’ordinanza istruttoria pronunciata dal giudice di primo grado, così che ogni eventuale difetto rinvenibile in quell’ordinanza deve intendersi sanata, atteso che i vizi a essa -eventualmente- riferibili configurano una nullità di ordine generale che deve essere immediatamente dedotta dalla parte presente, ai sensi dell’art. 182, comma secondo, cod. proc. pen., con la conseguenza che, in caso contrario, essa è sanata (cfr. in tal senso, Sez. 6, Sentenza n. 53823 del 05/10/2017, D.; Sez. 2, Sentenza n. 9761 del 10/02/2015, Rizzello).
Da ciò discende che la relativa doglianza (genericamente) avanzata con l’atto di appello e ora con il ricorso si mostra per ciò solo inammissibile.
1.2. A ciò si aggiunga che -secondo l’ormai risalente e assolutamente consolidato orientamento di legittimità- «in tema di rinnovazione, in appello, della
istruzione dibattimentale, il giudice, pur investito -con i motivi di impugnazione- di specifica richiesta, è tenuto a motivare solo nel caso in cui a detta rinnovazione acceda; invero, in considerazione del principio di presunzione di completezza della istruttoria compiuta in primo grado, egli deve dare conto dell’uso che va a fare del suo potere discrezionale, conseguente alla convinzione maturata di non poter decidere allo stato degli atti. Non così, viceversa, nella ipotesi di rigetto, in quant in tal caso, la motivazione potrà anche essere implicita e desumibile dalla stessa struttura argomentativa della sentenza di appello, con la quale si evidenzia la sussistenza di elementi sufficienti alla affermazione, o negazione, di responsabilità», (così già Sez. 5, Sentenza n. 8891 del 16/05/2000, COGNOME, Rv. 217209; più di recente, tra molte, Sez. 6, Sentenza n. 48093 del 10/10/2018, G., Rv. 274230).
L’applicazione di tali principi al caso concreto mostra la manifesta infondatezza del motivo, ove si consideri che la Corte di appello, pur non essendo tenuta a motivare circa la mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, ha egualmente spiegato che l’istanza si mostrava aspecifica, non indicando la decisività della testimonianza.
Il secondo motivo è inammissibile.
2.1. Con riguardo alla responsabilità, è inammissibile perché si sviluppa lungo una rilettura delle emergenze processuali alternativa e antagonista rispetto a quella ritenuta dai giudici della doppia sentenza conforme e, in particolare, alle argomentazioni esposte alle pagine 2 e seguenti della sentenza oggi impugnata, dove vengono valorizzate le testimonianze delle persone offese e viene data risposta alle doglianze di merito, con motivazione insuscettibile di censure.
A fronte di tale evenienza, va ribadito che sono inammissibili tutte le doglianze che -come nel caso in esame- “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della vale probatoria del singolo elemento (Sez. 2 – , Sentenza n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 5730 del 20/09/2019 ud-, dep. 13/02/2020, COGNOME e altro, non massinnata; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965).
2.2. In relazione all’aggravante di cui all’art. 61, comma primo, n. 7 cod. pen. la Corte di appello ha spiegato che i suoi elementi costitutivi si rinvenivano nella motivazione della sentenza di primo grado, dove (a pagina 4) venivang segnalato «le considerevoli somme di denaro fraudolentemente ottenute dai vari committenti».
A fronte di ciò il ricorrente oppone una generica doglianza, priva di reali censure alla sentenza impugnata e che si risolve in un’assertiva denuncia di
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mancata distinzione del danno cagionato a ciascuna persona offesa, che trascura di considerare che dall’impianto complessivo della motivazione e dalle contestazioni è ben specificato il danno subito da ciascuna persona offesa.
A fronte di ciò, il ricorrente, dal suo canto, non spiega per quali ragioni la circostanza aggravante non sarebbe configurabile.
La censura, dunque, è manifestamente infondata e aspecifica.
2.3. parimenti manifestamente infondata e aspecifica risulta anche la censura rivolta alla recidiva, che si risolve nella denuncia di omessa motivazione contenuta nella sola intitolazione, senza alcuna specificazione nella esposizione del motivo.
Denuncia -peraltro- manifestamente infondata, visto che la Corte di appello ha spiegato che i reati in giudizio risultavano sintomatici di maggiore pericolosità.
Entrambi i motivi, dunque, sono affetti del vizio di aspecificità, che si configur non solo nel caso della indeterminatezza e genericità, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 comma 1 lett. c), (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, Rv. 268823; Sez. 2, Sentenza n. 11951 del 29/01/2014 Rv. 259425, COGNOME; Sez. 4, 29/03/2000, n. 5191, COGNOME, Rv. 216473; Sez. 1, 30/09/2004, n. 39598, COGNOME, Rv. 230634; Sez. 4, 03/07/2007, n. 34270, COGNOME, Rv. 236945; Sez. 3, 06/07/2007, n. 35492, COGNOME, Rv. 237596).
Quanto esposto comporta la declaratoria di inammissibilità del ricorso ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile RAGIONE_SOCIALE, che liquida in complessivi euro 3.700,00 oltre accessori di legge.
Così deciso in data 05/12/2023
Il Consigliere est.
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