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Ricorso inammissibile per vizio di motivazione generico

La Corte di Cassazione dichiara un ricorso inammissibile contro una condanna per tentato furto aggravato. Il motivo, basato su un presunto vizio di motivazione relativo all’identificazione dell’imputato, è stato ritenuto generico e un tentativo improprio di riesame del merito. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 29 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: Quando la Critica alla Sentenza è Troppo Generica

Presentare un ricorso in Cassazione è l’ultima via per contestare una condanna, ma richiede il rispetto di regole procedurali molto rigide. Un ricorso inammissibile non solo segna la fine del percorso giudiziario, ma può comportare anche conseguenze economiche significative per chi lo propone. Con la recente ordinanza n. 4661/2024, la Corte di Cassazione ha ribadito che le censure generiche e la richiesta di una nuova valutazione dei fatti non sono ammesse in sede di legittimità, delineando chiaramente i confini tra un valido motivo di ricorso e un tentativo infruttuoso di rimettere in discussione il merito della causa.

I Fatti del Caso: Tentato Furto e Appello

La vicenda processuale ha origine da una condanna per tentato furto aggravato. La Corte di Appello, pur escludendo una delle circostanze aggravanti contestate, aveva confermato nel resto la sentenza di primo grado, ritenendo provata la responsabilità penale dell’imputato.

Insoddisfatto della decisione, l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione, affidandosi a un unico motivo: un presunto vizio di motivazione. Nello specifico, la difesa sosteneva che l’identificazione dell’imputato fosse avvenuta sulla base di una deduzione parziale e inesatta delle dichiarazioni rese da un’agente di polizia giudiziaria durante il processo.

Il Ricorso in Cassazione e il vizio di motivazione

Il ricorrente lamentava che i giudici di merito avessero commesso un errore logico, un cosiddetto “travisamento della prova”, nell’interpretare le parole della testimone. La critica si concentrava su frammenti delle dichiarazioni, senza però ricostruire in modo completo e specifico come tale errore avesse viziato in modo decisivo l’intero impianto logico della sentenza. Inoltre, veniva criticata la mancata audizione di un altro operante di polizia, suggerendo che ciò avesse indebolito il quadro probatorio.

La Decisione della Cassazione: un ricorso inammissibile

La Corte Suprema ha respinto in toto le argomentazioni della difesa, dichiarando il ricorso inammissibile. Questa decisione non entra nel merito della colpevolezza o innocenza dell’imputato, ma si ferma a un livello precedente, analizzando la validità stessa dell’impugnazione. La Corte ha stabilito che i motivi presentati non possedevano i requisiti tecnici necessari per essere esaminati.

Le Motivazioni della Corte Suprema

La motivazione dell’ordinanza si fonda su principi consolidati della procedura penale. In primo luogo, la Corte ha sottolineato che la denuncia di un “travisamento della prova” richiede una specificità assoluta. Non è sufficiente citare parti di una testimonianza; il ricorrente deve dimostrare, atti alla mano, che il giudice ha affermato l’esistenza di un fatto mai avvenuto o ha ignorato una prova esistente e decisiva. Nel caso di specie, il ricorso si limitava a una critica parziale e generica, trasformandosi in un tentativo di ottenere dalla Cassazione una nuova e diversa valutazione del materiale probatorio, compito che spetta esclusivamente ai giudici di primo e secondo grado.

In secondo luogo, la Corte ha ribadito che il giudizio di legittimità non è una terza istanza di merito. Il suo ruolo non è quello di stabilire se l’imputato sia colpevole, ma di verificare che i giudici precedenti abbiano applicato correttamente la legge e abbiano motivato la loro decisione in modo logico e non contraddittorio. La richiesta di riconsiderare l’attendibilità di un testimone o l’opportunità di sentirne un altro esula completamente dalle competenze della Cassazione.

Le Conclusioni: Le Conseguenze di un Ricorso Mal Proposto

La dichiarazione di inammissibilità ha reso definitiva la condanna. Ma le conseguenze non si sono fermate qui. Ai sensi dell’art. 616 del codice di procedura penale, la Corte ha condannato il ricorrente non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche a versare una somma di 3.000 euro alla Cassa delle ammende. Questa sanzione viene irrogata quando l’impugnazione è viziata da “colpa”, ovvero quando è stata presentata senza la necessaria diligenza, su motivi manifestamente infondati. La decisione serve da monito: il ricorso in Cassazione è uno strumento serio, non una mera opportunità per ritardare l’esecuzione della pena, e il suo abuso comporta costi tangibili.

Perché il ricorso in Cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché il motivo presentato era generico e non dimostrava un vizio specifico e decisivo nella motivazione della sentenza impugnata. Invece di evidenziare un errore di diritto, il ricorrente ha tentato di ottenere una nuova valutazione delle prove, un’attività che non rientra nelle competenze della Corte di Cassazione.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso penale?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, la sentenza di condanna diventa definitiva. Inoltre, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento. Se la Corte ravvisa profili di colpa nella proposizione del ricorso, come in questo caso, può anche condannare il ricorrente al pagamento di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.

È possibile contestare in Cassazione l’identificazione di un imputato basata su una testimonianza?
Sì, ma solo a condizioni molto rigorose. Non è sufficiente sostenere che il giudice abbia interpretato male la testimonianza. È necessario dimostrare un errore logico manifesto e incontrovertibile nella motivazione o un “travisamento della prova”, provando che il giudice ha basato la sua decisione su un’informazione che non esiste negli atti processuali o ne ha stravolto palesemente il significato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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