Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 12233 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 12233 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato il DATA_NASCITA a CASTELBUONO
avverso la sentenza in data 15/06/2023 della CORTE DI APPELLO DI PALERMO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
sentita la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
sentito l’AVV_NOTAIO, che ha illustrato i motivi di ricorso e ne ha chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME, per il tramite del proprio procuratore speciale, impugna la sentenza in data 15/06/2023 della Corte di appello di Palermo, che ha confermato la sentenza in data 05/06/2020 del Tribunale di Termini Imerese, che lo aveva condannato per il reato di usura aggravata ed estorsione.
Deduce:
1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 110 e 644 cod. pen..
Il motivo si rivolge alle dichiarazioni rese da COGNOME NOME, i cui contenuti vengono ripercorsi al fine di evidenziare come dalle stesse non sia possibile rinvenire gli elementi strutturali del reato di usura né delle estorsioni.
Il ricorrente denuncia anche l’illogicità dell’interpretazione resa dalla Corte di appello in relazione alla documentazione e alle testimonianze di COGNOME e di COGNOME, acquisite per la prima volta in appello.
Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 110 e 629 cod. pen..
Con il secondo motivo la difesa espone osservazioni e rilievi anche con riguardo alle risposte date da COGNOME in dibattimento durante il suo esame, in relazione all’estorsione e ai tre episodi in cui essa si è sviluppata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché si risolve in un’interpretazione del significato da attribuire alle dichiarazioni della persona offesa e, più in generale, delle emergenze dibattimentali, che vengono valutate secondo un significato antagonista a quello ritenuto dai giudici di merito.
1.1. La Corte di appello -dando risposta alle medesime deduzioni oggi trasfuse nel ricorso- ha dato conto delle ragioni per cui ha ritenuto la credibilità della persona offesa e l’attendibilità delle sue dichiarazioni, pure riscontrate in un “groviglio di titoli e documenti” di cui l’imputato non ha saputo dare una lecita giustificazione dei rapporti di dare e avere a essi sottostanti.
1.2. Con riguardo, poi, al concorso nelle condotte estorsive -al cui proposito il ricorrente sostiene che lo stesso COGNOME ha riferito che le minacce gli venivano rivolte da COGNOME NOME e non da COGNOME– la Corte di appello ha spiegato che il contenuto della conversazione intercettata il 3 luglio 2015 dimostrava il ruolo di COGNOME quale “veicolatore-intermediario” e “dominus occulto” del prestito usurario, pur coperto dal complice COGNOME NOME, che si esponeva in prima persona con le dazioni di denaro e nelle successive richieste di restituzione delle stesse arricchite dagli interessi usurari, mentre COGNOME COGNOME orchestrava dietro le quinte. A ulteriore riscontro di quanto emergente dall’intercettazione, i magistrati dell’appello hanno evidenziato che COGNOME NOME, dopo una perquisizione dei Carabinieri eseguita nella sua abitazione, telefonava a NOME COGNOME e, non ricevendo risposta, gli inviava il seguente messaggio: “NOME, vedi che sono venuti i carabinieri qua. Vedi che hanno l’assegno tuo. Gli ho detto che te li ho prestati perché dovevi fare la cosa a tua figlia.., la laurea. Ciao”. Dal tenore di questo messaggio i giudici hanno ricavato il pieno coinvolgimento dell’odierno ricorrente, con motivazione esposta alle pagine 15 e ss. della sentenza impugnata.
Motivazione che si palesa priva di illogicità manifeste o di contraddizioni.
A fronte di ciò, il ricorrente reitera le medesime osservazioni e argomentazioni -di merito- sviluppate con l’atto di appello e disattese dalla Corte territoriale con motivazione puntuale e adeguata, del tutto trascurata nei motivi di
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ricorso.
Tale rilievo conduce a una prima ragione di inammissibilità, da individuarsi nell’aspecificità del ricorso che si configura quando il ricorso manchi di correlazione con le ragioni argomentate dalla decisione impugnata, atteso che le ragioni poste a fondamento dell’impugnazione questa non possono ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 comma 1 lett. c), all’inammissibilità (si vedano in tal senso, Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, Rv. 268823; Sez. 2, Sentenza n. 11951 del 29/01/2014 Rv. 259425, Lavorato; Sez. 4, 29/03/2000, n. 5191, COGNOME, Rv. 216473; Sez. 1, 30/09/2004, n. 39598, COGNOME, Rv. 230634; Sez. 4, 03/07/2007, n. 34270, COGNOME, Rv. 236945; Sez. 3, 06/07/2007, n. 35492, COGNOME, Rv. 237596).
2.1. A ciò si aggiunga che tutte le argomentazioni sviluppate nel ricorso si risolvono in una analisi delle risultanze probatorie alternativa a quella operata dai giudici di merito nella doppia sentenza conforme, senza che -di fatto- siano dedotte censure accessibili al giudizio di legittimità.
Da ciò discende l’ulteriore causa di inammissibilità del ricorso, dovendosi ribadire che, sono inammissibili tutte le doglianze che -come nel caso in esame”attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 2 – , Sentenza n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747 01; Sez. 2, Sentenza n. 5730 del 20/09/2019 ud-, dep. 13/02/2020, COGNOME e altro, non massimata; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965).
2.2. Deve ulteriormente precisarsi che «in tema di valutazione della prova testimoniale, l’attendibilità della persona offesa dal reato è questione di fatto, non censurabile in sede di legittimità, salvo che la motivazione della sentenza impugnata sia affetta da manifeste contraddizioni, o abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sullo “id quod plerumque accidit”, ed insuscettibili di verifica empirica, od anche ad una pretesa regola generale che risulti priva di una pur minima plausibilità», (Sez. 4 – , Sentenza n. 10153 del 11/02/2020, C., Rv. 278609 – 01).
Tale ricorso a congetture non si rinviene nel caso in esame, con la conseguente inammissibilità delle deduzioni ampiamente esposte nell’impugnazione che -in questa maniera- investe temi non sindacabili in sede di legittimità.
Quanto esposto comporta la declaratoria di inammissibilità del ricorso ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione
della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 23/02/2024