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Ricorso inammissibile per truffa: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha dichiarato un ricorso inammissibile avverso una condanna per truffa. I motivi, incentrati sulla contestazione della natura penale del fatto e sulla richiesta di applicazione della particolare tenuità, sono stati giudicati meramente ripetitivi. La Corte ha confermato che un danno di 1.500 euro e la presenza di precedenti specifici ostacolano l’applicazione di cause di non punibilità, condannando il ricorrente al pagamento delle spese e di una sanzione.

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Pubblicato il 1 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile per Truffa: Quando la Ripetitività Costa Cara

L’ordinanza in esame offre un chiaro esempio di come un ricorso inammissibile possa derivare non solo da vizi formali, ma anche dalla semplice riproposizione di argomenti già vagliati e respinti nei precedenti gradi di giudizio. La Corte di Cassazione, con una decisione netta, chiude la porta a un imputato condannato per truffa, ribadendo principi fondamentali sia in materia processuale che sostanziale, come i limiti all’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.

I Fatti del Caso

La vicenda processuale ha origine da una condanna per il delitto di truffa, confermata dalla Corte d’Appello. L’imputato decide di presentare ricorso per Cassazione, affidandosi a due principali motivi di doglianza:

1. La contestazione della sussistenza stessa degli elementi costitutivi del reato di truffa, sostenendo che la questione avesse una rilevanza puramente civilistica e non penale.
2. La richiesta di applicazione dell’art. 131-bis del codice penale, ovvero la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, che non era stata riconosciuta nei gradi di merito.

La Corte di Cassazione, tuttavia, ha ritenuto di non poter nemmeno entrare nel merito di tali questioni, dichiarando l’impugnazione inammissibile.

La Decisione della Corte e il Ricorso Inammissibile

La Suprema Corte ha respinto il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende. La decisione si fonda su argomenti procedurali e di merito che meritano un’analisi approfondita.

Le Motivazioni

La Corte ha basato la sua decisione su due pilastri argomentativi distinti, uno per ciascun motivo di ricorso.

Il primo motivo è stato considerato una palese reiterazione di argomenti già ampiamente esaminati e motivatamente respinti dalla Corte d’Appello. I giudici di legittimità hanno sottolineato come la difesa si sia limitata a riproporre la tesi della natura civilistica della vicenda, senza però confrontarsi criticamente con le specifiche argomentazioni giuridiche contenute nella sentenza impugnata. Questo atteggiamento processuale, che ignora il ragionamento del giudice precedente, rende il ricorso inammissibile per genericità e mancanza di specificità.

Anche il secondo motivo è stato giudicato infondato. La Corte ha confermato la correttezza della decisione d’appello nel negare l’applicazione dell’art. 131-bis c.p. per due ragioni concorrenti:

* L’entità del danno: Un pregiudizio economico di 1.500 euro non è stato ritenuto ‘particolarmente tenue’ ai fini della norma.
* L’abitualità ostativa: Elemento decisivo è stata la presenza di precedenti penali specifici a carico del ricorrente. Tale ‘abitualità’ nel commettere reati della stessa indole costituisce, per legge, una causa ostativa che impedisce a priori l’applicazione del beneficio della particolare tenuità del fatto.

Le Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio cruciale per chiunque intenda adire la Corte di Cassazione: il ricorso non può essere una mera ripetizione delle difese svolte in appello. È necessario un confronto critico e puntuale con la motivazione della sentenza che si impugna, evidenziando specifici vizi di legittimità. In assenza di ciò, il rischio di un ricorso inammissibile è altissimo.

Inoltre, la pronuncia conferma l’interpretazione restrittiva dei presupposti per l’applicazione dell’art. 131-bis c.p. La valutazione sulla tenuità del fatto non si limita al solo danno economico, ma considera la condotta complessiva e, soprattutto, la ‘storia criminale’ dell’imputato. La presenza di precedenti specifici, configurando l’abitualità, rappresenta un ostacolo insormontabile per ottenere la non punibilità.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché gli argomenti proposti erano una semplice ripetizione di quelli già esaminati e respinti dalla Corte d’Appello, senza un confronto critico specifico con le motivazioni della sentenza impugnata.

Per quale motivo non è stata applicata la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.)?
Non è stata applicata per due ragioni: il danno economico di 1.500 euro non è stato considerato particolarmente esiguo e, soprattutto, il ricorrente aveva precedenti penali specifici che configurano una ‘abitualità ostativa’, la quale impedisce per legge l’applicazione di tale beneficio.

La Corte ha stabilito se la vicenda fosse di natura penale o civile?
La Corte ha confermato la natura penale del fatto, rigettando l’argomento difensivo che mirava a declassare la vicenda a una mera questione civilistica. Questa tesi è stata considerata infondata e reiterativa, confermando implicitamente la sussistenza degli elementi costitutivi del reato di truffa già accertati nei precedenti gradi di giudizio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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