Ricorso Inammissibile per Truffa: la Cassazione Spiega i Requisiti
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito due principi fondamentali del processo penale, dichiarando un ricorso inammissibile contro una condanna per truffa. Questa decisione offre importanti spunti sulla corretta redazione di un ricorso per cassazione e sui limiti di applicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. Analizziamo insieme i dettagli del caso e le motivazioni della Suprema Corte.
Il Caso: Dalla Condanna per Truffa al Ricorso in Cassazione
La vicenda giudiziaria trae origine da una sentenza di condanna emessa dalla Corte d’Appello di Napoli per il reato di truffa, previsto dall’articolo 640 del codice penale. L’imputato, ritenuto responsabile, decideva di presentare ricorso in Cassazione, affidandosi a due principali motivi.
In primo luogo, contestava la sussistenza stessa del reato, sostenendo la mancanza degli “artifici e raggiri” necessari per integrare la truffa. In sostanza, la difesa mirava a una diversa interpretazione dei fatti.
In secondo luogo, l’imputato lamentava la mancata applicazione dell’articolo 131-bis del codice penale, ovvero la causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto, ritenendo che la condotta contestata fosse di lieve entità.
Analisi della Cassazione: Perché il Ricorso è Inammissibile
La Suprema Corte ha esaminato entrambi i motivi, giungendo a una declaratoria di inammissibilità. Le argomentazioni dei giudici sono state chiare e lineari, e si sono concentrate sulla funzione stessa del giudizio di legittimità.
La Mancanza di Specificità del Primo Motivo
Il primo motivo è stato giudicato inammissibile per mancanza dei requisiti di specificità previsti dall’articolo 581 del codice di procedura penale. La Corte ha sottolineato che le argomentazioni difensive si limitavano a presentare “mere doglianze in punto di fatto”. L’imputato, cioè, non contestava un’errata applicazione della legge da parte della Corte d’Appello, ma proponeva una ricostruzione alternativa dei fatti e una diversa valutazione delle prove. Questo tipo di attività è precluso in sede di legittimità. La Cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si può riesaminare il merito della vicenda, ma un organo che vigila sulla corretta applicazione delle norme giuridiche.
L’Infondatezza del Motivo sulla Particolare Tenuità del Fatto
Anche il secondo motivo è stato respinto, questa volta perché ritenuto manifestamente infondato. La Corte d’Appello aveva negato l’applicazione dell’art. 131-bis sottolineando una circostanza decisiva: la mancata restituzione della somma sottratta alla persona offesa. La Cassazione ha condiviso questa valutazione, affermando che la mancata restituzione del profitto del reato è un elemento che impedisce di qualificare il fatto come di “lieve tenuità”. Tale comportamento successivo al reato dimostra una certa gravità della condotta e un’assenza di resipiscenza, fattori che ostacolano il riconoscimento del beneficio.
Le Motivazioni della Decisione
Le motivazioni della Corte si fondano su un principio cardine: la netta distinzione tra giudizio di merito e giudizio di legittimità. Il ricorso per cassazione deve essere una critica argomentata e specifica alla sentenza impugnata, evidenziando errori di diritto o vizi logici della motivazione, non un tentativo di ottenere una nuova valutazione delle prove. Quando i motivi sono generici o si limitano a riproporre le stesse argomentazioni già respinte in appello, senza confrontarsi con la motivazione del giudice precedente, il ricorso diventa inevitabilmente inammissibile.
Per quanto riguarda l’art. 131-bis c.p., la Corte ribadisce che la valutazione sulla tenuità del fatto deve essere complessiva e considerare non solo l’entità del danno, ma anche le modalità della condotta e il comportamento dell’imputato dopo il reato. La mancata restituzione del maltolto è un indice significativo che gioca a sfavore dell’imputato.
Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Sentenza
Questa ordinanza offre due lezioni pratiche di grande importanza. In primo luogo, evidenzia l’assoluta necessità di redigere ricorsi per cassazione tecnicamente ineccepibili, focalizzati su questioni di diritto e vizi di legittimità, evitando di sconfinare in contestazioni fattuali. In secondo luogo, conferma che per sperare nell’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, soprattutto nei reati contro il patrimonio, il comportamento post-delictum, come la restituzione del profitto illecito, assume un’importanza cruciale. L’esito del processo dipende non solo dalla difesa tecnica, ma anche da azioni concrete che possono dimostrare la ridotta offensività della condotta.
Perché un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile?
Un ricorso può essere dichiarato inammissibile se non rispetta i requisiti di legge, ad esempio se i motivi sono generici e non specifici, oppure se si limita a contestare la valutazione dei fatti e delle prove, compito che spetta ai giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello) e non alla Corte di Cassazione.
La mancata restituzione di denaro in un reato di truffa impedisce di ottenere la non punibilità per ‘particolare tenuità del fatto’?
Sì, secondo questa ordinanza, la mancata restituzione della somma sottratta alla vittima è un elemento fondamentale che la Corte valuta. Questo comportamento viene considerato un indicatore della gravità del fatto e può portare il giudice a escludere l’applicazione del beneficio della non punibilità previsto dall’art. 131-bis del codice penale.
Qual è la differenza tra un motivo di ricorso ‘in fatto’ e uno ‘in diritto’?
Un motivo ‘in fatto’ contesta come sono andate le cose o come sono state valutate le prove (es. l’attendibilità di un testimone). Un motivo ‘in diritto’ contesta l’errata applicazione o interpretazione di una norma di legge da parte del giudice. La Corte di Cassazione può esaminare solo i motivi ‘in diritto’.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 19556 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 19556 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a MADDALONI il 20/05/1993
avverso la sentenza del 12/03/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso presentato nell’interesse di NOME Papa;
ritenuto che il primo motivo di ricorso, che contesta l’affermazione di responsabilità per il delitto di cui all’art. 640 cod. pen., lamentando, in particolare, l’insussistenza degli artifici e dei raggiri necessari alla sua integrazione, non è consentito poiché, oltre ad essere costituito da mere doglianze in punto di fatto, risultano privi dei requisiti di specificità previsti, a pena di inammissibilità, dall’ar 581 cod. proc. pen.;
che, invero, la mancanza di specificità dei motivi deve essere apprezzata non solo intrinsecamente, ovverosia per la genericità e indeterminatezza delle ragioni di fatto e diritto a sostegno della censura, ma anche estrinsecamente, per l’apparenza degli stessi allorquando, non essendovi correlazione tra la complessità delle ragioni argomentate nella decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, omettano di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso;
che, inoltre, le doglianze difensive tendono a prefigurare una rivalutazione delle fonti probatorie e/o un’alternativa ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice del merito, estranee al sindacato del presente giudizio ed avulse da pertinente individuazione di specifici e decisivi travisamenti di emergenze processuali valorizzate dai giudicanti;
che, nella specie, i giudici del merito hanno ampiamente vagliato e disatteso, con corretti argomenti logici e giuridici (cfr. Sez. 2, n. 6734 del 30/01/2020, Bruzzese, Rv. 278373 – 01; Sez. 5, n. 30726 del 09/09/2020, COGNOME, Rv. 279908 – 01; Sez. 2, n. 51551 del 04/1272019, Rocco, Rv. 278231 – 01), le doglianze difensive dell’appello, meramente riproposte in questa sede (si veda, in particolare, pag. 2 della sentenza impugnata);
considerato che il secondo motivo di ricorso, che lamenta la mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., è manifestamente infondato a fronte di una lineare e logica motivazione mediante la quale il giudice di appello, sottolineando la mancata restituzione della somma sottratta alla persona offesa, ha correttamente ritenuto che il fatto non sia qualificabile come di lieve tenuità, con conseguente impossibilità di riconoscere l’esimente di cui all’art. 131-bis cod. pen. (si veda pag. 3 della sentenza impugnata);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso, il 15 aprile 2025.