Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 5199 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 5199 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il 17/04/1956 a SAN CONO avverso la sentenza in data 12/06/2024 della CORTE DI APPELLO DI MILANO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
letta la nota dell’Avvocato NOME COGNOME che, nell’interesse della parte civile RAGIONE_SOCIALE ha concluso per l’inammissibilità o per il rigetto del ricorso;
letta la nota dall’Avvocato NOME COGNOME che, nell’interesse di COGNOME NOME, ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
A seguito di trattazione in camera di consiglio senza la presenza delle parti in mancanza di richiesta di trattazione orale pervenuta nei termini secondo quanto disposto dagli articoli 610 comma 5 e 611 comma 1 bis e seguenti del codice di procedura penale.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
NOME COGNOME NOMECOGNOME per il tramite del proprio procuratore speciale, impugna la sentenza in data 12/06/2024 della Corte di appello di Milano, che ha confermato la sentenza in data 12/06/2023 del Tribunale di Milano, che lo aveva condannato per il reato di truffa aggravata dall’abuso della prestazione d’opera.
Deduce:
1.1. Violazione di legge in punto di ritenuta validità e tempestività della querela.
Il ricorrente premette che già il pubblico ministero in primo grado e la stessa difesa chiedevaNO che il processo si risolvesse con la dichiarazione di non doversi
procedere per tardività della querela.
Osserva che già il 24/09/2020 il legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE era venuto a conoscenza dei reati commessi dall’imputato nei confronti della società, per come emerge dal contenuto della lettera raccomandata inviata dall’Avvocato COGNOME con anticipazione via e-mail, dove veniva richiesta la restituzione del denaro incassato sulla base delle fatture poi trasfuse nella querela e nel capo d’imputazione.
Precisa, dunque, che la querela doveva essere presentata entro il 24 dicembre 2024.
1.2. Violazione di legge per erronea qualificazione giuridica del fatto, da ricondurre all’ipotesi dell’appropriazione indebita e non in quella di truffa.
Si osserva che «nella prospettazione accusatoria NOME COGNOME si sarebbe appropriato di somme versate dai clienti di CAD e destinate a CAD stessa per il pagamento delle prestazioni di trasporto internazionale».
Secondo il ricorrente, diversamente da quanto sostenuto dai giudici, Presti aveva titolo per la riscossione dei pagamenti, così che si appropriava di somme che erano nella sua disponibilità e acquisite senza artifici e/o raggiri.
Sostiene che tale ricostruzione è avvalorata dalle dichiarazioni testimoniali rese da COGNOME NOME, legale rappresentante della CAD.
1.3. Violazione di legge, manifesta illogicità della motivazione e travisamento della testimonianza di NOME COGNOME in relazione alla configurazione della truffa.
In questo caso il ricorrente sostiene che dall’istruttoria dibattimentale non sono emersi elementi utili a ritenere la sussistenza di artifici e/o raggiri.
1.4. Violazione di legge e vizio di motivazione in punto di mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale.
Secondo il ricorrente la Corte avrebbe dovuto disporre la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale al fine di ordinare a Spedalieri Lucia la produzione dei bonifici da ella menzionati nel corso della sua testimonianza, ma mai prodotti in atti.
Ciò premesso, il ricorso è inammissibile perché tutti i motivi sono la reiterazione delle medesime doglianze sollevate con l’atto di appello e si risolvono in una valutazione delle emergenze istruttorie alternativa a quella dei giudici della doppia sentenza conforme.
2.1. Con riguardo alla tempestività della querela, i giudici hanno ritenuto che la società avesse raggiunto la consapevolezza della perpetrazione del reato in suo danno soltanto nel febbraio 2021, per come emergente dalla testimonianza di COGNOME NOME e dalle numerose richieste di pagamento inoltrate ai vari clienti dopo la missiva del 24 settembre 2020.
Secondo il ricorrente, invece, la consapevolezza del reato va datata al 24 settembre 2020, quando veniva inviata la missiva di cui si è detto nella parte narrativa.
2.2. Con riguardo alla qualificazione giuridica del fatto, i giudici della doppia sentenza conforme hanno evidenziato che Presti non aveva alcun titolo per incassare le somme pagate dai clienti, per come emerge dalla testimonianza di COGNOME NOME. I giudici hanno evidenziato che -pertanto- l’incasso delle somme avveniva per gli artifici e/o raggiri perpetrati da Presti, che induceva in errore i clienti utilizzando la carta intestata della società e facendo credere di essere legittimato alla riscossione dei pagamenti.
Il ricorrente, al contrario, sostiene che COGNOME era legittimato a riscuotere i pagamenti, per come emergerebbe dalle dichiarazioni della stessa Spedalieri.
2.3. La Corte di appello ha ribadito che gli artifici e raggiri sono consistiti nel far credere ai clienti di essere legittimato all’incasso dei pagamenti, per come evidenziato al punto precedente.
Il ricorrente sostiene che mancano condotte riconducibili agli artifici e/o ai raggiri.
3.4. Quanto, infine, alla richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, la Corte di appello ha spiegato che la produzione dei bonifici e le eventuali ragioni di credito dell’imputato rispetto alla società non facevano venir meno il reato.
Da quanto esposto emerge come tutte le questioni si risolvano in una valutazione delle risultanze processuali alternativa a quella ritenuta dai giudici di merito e, in quanto tale, non è scrutinabile in sede di legittimità, atteso che il compito demandato dal legislatore alla Corte di cassazione -per quanto qui d’interesse- non è quello di stabilire se il giudice di merito abbia proposto la migliore ricostruzione dei fatti ovvero quello di condividerne la giustificazione. Il compito del giudice di legittimità è quello di verificare la conformità della sentenza impugnata alla legge sostanziale e a quella processuale, cui si aggiunge il controllo sulla motivazione che, però, è restrittivamente limitato alle ipotesi tassative della carenza, della manifesta illogicità e della contraddittorietà. Con l’ulteriore precisazione che la carenza va identificata con la mancanza della motivazione per difetto grafico o per la sua apparenza; che l’illogicità deve essere manifesta -ossia individuabile con immediatezza- e sostanzialmente identificabile nella violazione delle massime di esperienza o delle leggi scientifiche, così configurandosi quando la motivazione sia disancorata da criteri oggettivi di valutazione, e trascenda in valutazioni soggettive e congetturali, insuscettibili di verifica empirica; la contraddittorietà si configura quando la motivazione si mostri in contrasto -in termini di inconciliabilità assoluta- con atti processuali specificamente indicati dalla parte e che
rispetto alla struttura argomentativa abbiano natura portante, tale che dalla loro eliminazione deriva l’implosione della struttura argomentativa impugnata.
Nulla di tutto ciò si rinviene nel motivo in esame, visto che la Corte di appello ha fatto ricorso a una motivazione adeguata, logica e non contraddittoria per dare risposta alle medesime questioni oggi reiterate con il ricorso.
Quanto alla mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, va richiamato l’insegnamento di legittimità secondo il quale «la mancata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nel giudizio di appello può costituire violazione dell’art. 606, comma 1, lett. d) cod. proc. pen., solo nel caso di prove sopravvenute o scoperte dopo la sentenza di primo grado» (Sez. 1, n. 40705 del 10/01/2018, Capitanio, Rv. 274337 – 01). Nel caso in esame il motivo non viene sollevato in relazione a prove sopravvenute alla sentenza di primo grado, così mancando in radice ogni possibilità di dolersi della loro mancata assunzione in appello.
Peraltro, va ulteriormente ribadito l’ormai risalente e assolutamente consolidato orientamento di legittimità in forza del quale «in tema di rinnovazione, in appello, della istruzione dibattimentale, il giudice, pur investito -con i motivi di impugnazione- di specifica richiesta, è tenuto a motivare solo nel caso in cui a detta rinnovazione acceda; invero, in considerazione del principio di presunzione di completezza della istruttoria compiuta in primo grado, egli deve dare conto dell’uso che va a fare del suo potere discrezionale, conseguente alla convinzione maturata di non poter decidere allo stato degli atti. Non così, viceversa, nella ipotesi di rigetto, in quanto, in tal caso, l motivazione potrà anche essere implicita e desumibile dalla stessa struttura argomentativa della sentenza di appello, con la quale si evidenzia la sussistenza di elementi sufficienti alla affermazione, o negazione, di responsabilità» (così già Sez. 5, n. 8891 del 16/05/2000, COGNOME, Rv. 217209; più di recente, tra molte, Sez. 6, n. 48093 del 10/10/2018, G., Rv. 274230).
Va, dunque, osservato che la Corte di appello, pur non essendovi tenuta, ha motivato il rigetto della richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, rimarcando come l’acquisizione dei bonifici fosse irrilevante ai fini della ricostruzione del fatto, non elidendo gli elementi costitutivi della truffa.
Quanto esposto porta alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi, cui segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di euro tremila ciascuno, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
Infine, va disattesa la richiesta avanzata dalla parte civile, di liquidazione delle spese di patrocinio nel giudizio di Cassazione. A tal proposito va rimarcato che la parte civile ha diritto di ottenere la liquidazione delle spese processuali quando abbia
effettivamente esplicato un’attività diretta a contrastare l’avversa pretesa a tutela dei propri interessi di natura civile risarcitoria, fornendo un utile contributo alla decisione. Tale attività non si rinviene nel caso in esame, così che la richiesta di liquidazione non può avere alcun seguito.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Nulla per le spese di parte civile.
Così è deciso, 09/01/2025
Il Consigliere estensore
GLYPH
Il Presidente
NOME COGNOME
GLYPH
NOME COGNOME
J• GLYPH
– – 7– –