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Ricorso inammissibile per stupefacenti: la Cassazione

La Corte di Cassazione dichiara un ricorso inammissibile presentato da due individui condannati per reati legati agli stupefacenti. La Corte ha confermato la decisione di merito, ritenendo la motivazione della Corte d’Appello logica e coerente, basata principalmente su prove derivanti da intercettazioni. La sentenza sottolinea come il giudizio di Cassazione non possa riesaminare i fatti, ma solo verificare la correttezza giuridica e la logicità della motivazione della sentenza impugnata.

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Pubblicato il 5 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: Quando le Prove Indiziarie Blindano la Condanna per Stupefacenti

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9467 del 2024, ha ribadito un principio fondamentale del nostro sistema processuale: il giudizio di legittimità non è una terza istanza di merito. La pronuncia riguarda un caso di traffico di stupefacenti in cui le condanne, basate su un solido impianto probatorio derivante da intercettazioni, sono state confermate dichiarando il ricorso inammissibile. Questa decisione offre spunti cruciali sull’onere della prova, sull’interpretazione delle conversazioni captate e sui limiti del sindacato della Suprema Corte.

I Fatti del Processo

Due soggetti venivano condannati in primo grado e in appello per condotte legate allo spaccio di sostanze stupefacenti, in violazione dell’art. 73 del D.P.R. 309/1990. La Corte di appello di Brescia aveva confermato la sentenza di primo grado, ritenendo provata la loro colpevolezza sulla base di un’articolata attività investigativa, fondata principalmente su intercettazioni telefoniche e ambientali. Insoddisfatti della decisione, entrambi gli imputati proponevano ricorso per cassazione, ciascuno con distinti motivi.

I Motivi del Ricorso: Tentativi di Screditare le Prove

Le difese degli imputati hanno cercato di smontare l’impianto accusatorio, criticando la valutazione delle prove operata dai giudici di merito e sostenendo l’illogicità delle motivazioni.

La Posizione del Primo Imputato

Il primo ricorrente lamentava una violazione di legge e un vizio di motivazione. Sosteneva che la Corte d’Appello avesse interpretato frettolosamente le conversazioni intercettate, senza raggiungere la certezza sulla sua identità come interlocutore. Inoltre, evidenziava come la responsabilità della detenzione della droga fosse stata assunta da un altro soggetto presente con lui, circostanza che, a suo dire, non sarebbe stata adeguatamente valutata dai giudici.

La Posizione del Secondo Imputato

Anche il secondo ricorrente denunciava l’errata applicazione della legge e l’illogicità della motivazione. La sua difesa definiva il ragionamento della Corte d’Appello “congetturale e viziato”, frutto di un’errata interpretazione delle intercettazioni. Nello specifico, contestava che dalle captazioni emergesse con certezza:
* La sua presenza in auto con i complici per recarsi sul luogo dell’acquisto;
* La sua permanenza a bordo fino a destinazione;
* L’effettivo acquisto di un ingente quantitativo di cocaina;
* Un suo contributo causalmente rilevante all’operazione illecita.

La Decisione della Cassazione e il Ricorso Inammissibile

La Suprema Corte ha respinto entrambe le impugnazioni, dichiarandole manifestamente infondate e, quindi, inammissibili. I giudici hanno chiarito che il controllo di legittimità non permette una rilettura degli elementi di fatto, né l’adozione di nuovi parametri di valutazione. Il compito della Cassazione è verificare la coerenza strutturale e la tenuta logica della decisione impugnata, non sostituire la propria valutazione a quella dei giudici di merito.

Le Motivazioni

La Corte ha smontato punto per punto i motivi di ricorso. Per il primo imputato, la sentenza ha evidenziato come le numerose intercettazioni provassero il suo accordo per la fornitura di 50 grammi di cocaina e la sua partecipazione alla consegna. Decisiva è stata una conversazione successiva all’arresto del complice, in cui l’imputato, parlando con una donna, affermava: “…mi ha coperto e hanno preso lui poverino…”. Questa frase è stata interpretata non come prova di estraneità, ma come un tentativo di dissimulare il proprio pieno coinvolgimento, vanificando così la tesi della paternità esclusiva del reato in capo al complice.

Per il secondo imputato, la Corte ha confermato la logicità del ragionamento della Corte d’Appello. Le intercettazioni provavano in modo chiaro la sua presenza in auto, la sua consapevolezza del fine illecito del viaggio (sapeva “dove si trova il mercato”) e la sua partecipazione alla discussione sulla qualità e l’approvvigionamento della droga. Inoltre, l’operazione di acquisto era stata monitorata in diretta, con i venditori sentiti contare il denaro. La Corte ha concluso che la condivisione del programma criminale e la piena sinergia escludevano che egli potesse essere considerato un mero connivente.

Conclusioni

Questa sentenza riafferma con forza i confini del giudizio di Cassazione. Un ricorso inammissibile è la conseguenza inevitabile quando le censure, mascherate da vizi di legge o di motivazione, mirano in realtà a ottenere una nuova e più favorevole valutazione dei fatti. La decisione sottolinea inoltre il valore probatorio delle intercettazioni, soprattutto quando il loro contenuto, analizzato nel suo complesso e in connessione con altri elementi, fornisce un quadro logico e coerente della responsabilità penale, capace di superare anche le dichiarazioni autoaccusatorie di un correo finalizzate a “coprire” i complici.

Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile perché gli imputati non hanno sollevato vizi di legittimità (errori di diritto o motivazione manifestamente illogica), ma hanno tentato di ottenere una nuova valutazione dei fatti, compito che non spetta alla Suprema Corte, ma ai giudici di merito.

Quali prove sono state decisive per confermare le condanne?
Le prove decisive sono state le intercettazioni telefoniche e ambientali. Per un imputato, le conversazioni hanno dimostrato l’accordo per la fornitura di droga e un suo successivo tentativo di dissimulare il coinvolgimento. Per l’altro, le intercettazioni hanno provato la sua presenza consapevole e la sua partecipazione durante l’organizzazione e l’esecuzione dell’acquisto di stupefacenti.

Può un imputato essere condannato anche se un altro si accolla la paternità del reato?
Sì. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che la dichiarazione di un coimputato che si accollava la responsabilità fosse smentita da altri elementi di prova, come una conversazione intercettata in cui l’imputato stesso ammetteva che l’altro lo avesse “coperto”, dimostrando così il suo pieno coinvolgimento nell’illecito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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