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Ricorso inammissibile per spaccio: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha dichiarato un ricorso inammissibile presentato da un imputato condannato per detenzione di stupefacenti. I motivi, relativi al concorso di persone e alla qualificazione del reato, sono stati ritenuti una mera riproposizione di argomenti già adeguatamente valutati e respinti dalla Corte d’Appello, che aveva sottolineato la presenza di prove decisive come appunti contabili e numerosi cellulari.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile per Spaccio: la Cassazione Conferma la Condanna

Quando un ricorso in Cassazione si limita a riproporre le stesse argomentazioni già respinte nei gradi di giudizio precedenti, il suo destino è segnato: l’inammissibilità. È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, Sezione Penale, in una recente ordinanza che ha confermato la condanna per detenzione di sostanze stupefacenti a fini di spaccio. La decisione sottolinea un principio fondamentale del nostro sistema processuale: il giudizio di legittimità non è una terza istanza di merito, ma un controllo sulla corretta applicazione della legge. L’ordinanza in esame offre uno spaccato chiaro su come la Corte valuti un ricorso inammissibile e quali elementi probatori possono consolidare un’accusa di spaccio.

I fatti alla base della vicenda giudiziaria

Il caso riguarda un uomo condannato in Corte d’Appello per aver detenuto, in concorso con il fratello, un quantitativo di sostanza stupefacente destinato allo spaccio. L’imputato ha presentato ricorso per Cassazione, affidandosi a due motivi principali. In primo luogo, contestava la sua responsabilità a titolo di concorso, sostenendo che gli elementi a suo carico fossero stati interpretati erroneamente. In secondo luogo, chiedeva la riqualificazione del reato in un’ipotesi di lieve entità, prevista dall’art. 73, comma 5, del Testo Unico sugli Stupefacenti, sostenendo che la sua condotta non presentasse le caratteristiche di particolare gravità.

Le prove decisive: cellulari e contabilità

La difesa dell’imputato aveva tentato di sminuire il valore probatorio di alcuni elementi chiave emersi durante le indagini. In particolare, erano stati rinvenuti appunti manoscritti che delineavano una contabilità rudimentale, tipica delle attività di spaccio, e numerosi telefoni cellulari attivi, risultati essere di esclusiva pertinenza del ricorrente. La Corte d’Appello aveva ritenuto questi elementi, unitamente ad altri, come prova logica e corretta della partecipazione dell’imputato all’attività illecita.

I motivi del ricorso inammissibile secondo la Cassazione

La Suprema Corte ha esaminato entrambi i motivi di ricorso, giungendo a una conclusione netta: l’inammissibilità. Secondo gli Ermellini, il primo motivo non introduceva nuovi argomenti, ma si limitava a riproporre le medesime censure già adeguatamente analizzate e confutate dalla Corte d’Appello. Quest’ultima aveva costruito la sua decisione su una valutazione complessiva e logica di plurimi elementi, tra cui il ritrovamento degli appunti e dei cellulari si era rivelato determinante per attribuire la responsabilità penale. Un ricorso inammissibile è spesso la conseguenza di un tentativo di ottenere un nuovo giudizio sui fatti, compito che non spetta alla Corte di Cassazione.

La mancata riqualificazione del reato in fatto di lieve entità

Anche il secondo motivo di ricorso è stato giudicato infondato e meramente riproduttivo. La Corte d’Appello aveva già spiegato perché il reato non potesse essere considerato di lieve entità. La valutazione si era basata non solo sul dato quantitativo e qualitativo della sostanza sequestrata, ma anche sulle modalità della condotta, che rivelavano una non trascurabile organizzazione. La presenza di ben sedici telefoni cellulari e di una contabilità, seppur semplice, dimostrava una struttura operativa incompatibile con l’ipotesi del piccolo spaccio.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha motivato la sua decisione di dichiarare il ricorso inammissibile evidenziando la natura meramente ripetitiva delle doglianze del ricorrente. I giudici hanno ribadito che la Corte d’Appello aveva fornito una motivazione logica, coerente e completa, confutando punto per punto le argomentazioni difensive. Il tentativo di sottoporre alla Cassazione una nuova valutazione delle prove, già adeguatamente ponderate nel merito, si scontra con i limiti strutturali del giudizio di legittimità. La decisione si fonda sul principio consolidato secondo cui non è possibile, in sede di Cassazione, rimettere in discussione l’apprezzamento dei fatti e delle prove compiuto dai giudici di merito, se la motivazione della sentenza impugnata è esente da vizi logici o giuridici.

Le conclusioni

L’ordinanza si conclude con la dichiarazione di inammissibilità del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. Questa decisione riafferma l’importanza di presentare in Cassazione motivi di ricorso che attengano a reali violazioni di legge o a vizi di motivazione, e non mere riproposizioni di questioni di fatto. Per gli operatori del diritto e i cittadini, ciò conferma che le prove materiali, come appunti contabili e un elevato numero di cellulari, possono costituire elementi decisivi per dimostrare non solo il reato di spaccio, ma anche un livello organizzativo che esclude l’applicazione di attenuanti o di qualificazioni meno gravi del reato.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi presentati erano una semplice ripetizione delle stesse censure già esaminate e respinte in modo adeguato dalla Corte d’Appello, senza introdurre nuove questioni di legittimità.

Quali prove sono state considerate decisive per confermare la condanna per detenzione di stupefacenti?
Sono state considerate decisive il rinvenimento di appunti manoscritti che riportavano una contabilità rudimentale dell’attività di spaccio e di numerosi telefoni cellulari attivi, di esclusiva pertinenza del ricorrente.

Perché il reato non è stato qualificato come di lieve entità (art. 73, comma 5)?
La riqualificazione è stata negata perché, oltre al significativo dato quantitativo e qualitativo della sostanza, le modalità della condotta indicavano una certa organizzazione (sedici cellulari e una contabilità), incompatibile con l’ipotesi di un fatto di lieve entità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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