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Ricorso inammissibile per spaccio: la Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato un ricorso inammissibile presentato da un individuo condannato per detenzione di 443g di marijuana. I motivi, volti a rimettere in discussione la finalità di spaccio e la quantificazione della pena, sono stati rigettati poiché tendenti a una non consentita rivalutazione del merito, già logicamente motivata dalla Corte d’Appello.

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Pubblicato il 28 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile in Cassazione: Quando le Censure sul Fatto non Passano

L’ordinanza in esame offre un chiaro esempio dei limiti del giudizio di legittimità e delle ragioni che conducono a un ricorso inammissibile. La Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: il suo ruolo non è quello di riesaminare i fatti, ma di verificare la corretta applicazione delle norme di diritto. Analizziamo il caso di un soggetto condannato per detenzione di stupefacenti ai fini di spaccio, il cui ricorso è stato respinto proprio perché mirava a una rivalutazione del merito.

I Fatti di Causa: la Condanna per Spaccio

Un individuo veniva condannato dalla Corte d’Appello per il reato previsto dall’art. 73, comma 5, del Testo Unico sugli Stupefacenti, ovvero per detenzione a fini di spaccio di una quantità non modesta di sostanza stupefacente. Nello specifico, si trattava di 443 grammi di marijuana.

Contro tale sentenza, l’imputato proponeva ricorso per cassazione, articolando due principali motivi di doglianza:
1. La contestazione sulla destinazione della sostanza allo spaccio, sostenendo che le prove non fossero sufficienti a dimostrare tale finalità.
2. La critica alla dosimetria della pena, ritenuta eccessiva.

Il Ricorso Inammissibile e i Limiti del Giudizio di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile in ogni sua parte, fornendo importanti chiarimenti sulla distinzione tra giudizio di merito e giudizio di legittimità.

La Valutazione dei Fatti: un Compito del Giudice di Merito

Con riferimento al primo motivo, la Corte ha sottolineato che le censure erano unicamente tese a provocare una “rivisitazione in fatto” del materiale probatorio. Tale attività è di esclusiva competenza dei giudici di primo e secondo grado (giudici di merito) e non può essere svolta in sede di legittimità.

La Corte d’Appello aveva, infatti, già valutato analiticamente gli elementi a carico dell’imputato, ritenendo la sua motivazione logica e coerente. Gli elementi decisivi erano stati:
* Il non modesto dato ponderale (443 grammi).
* La previa suddivisione della sostanza.
* L’assenza di giustificazioni plausibili sulla sua provenienza.

Questi indizi, valutati complessivamente, avevano portato la corte territoriale a concludere, senza illogicità, per la destinazione della droga allo spaccio. Tentare di offrire una lettura alternativa di tali fatti in Cassazione si traduce in un motivo inammissibile.

La Discrezionalità nella Dosimetria della Pena

Anche il secondo motivo, relativo alla quantificazione della pena, è stato giudicato inammissibile. La Corte ha ricordato che la graduazione della sanzione rientra nel potere discrezionale del giudice di merito. Questo potere deve essere esercitato nel rispetto dei principi fissati dagli articoli 132 e 133 del codice penale (gravità del reato e capacità a delinquere del reo).

Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva adeguatamente motivato i criteri seguiti per la determinazione della pena, che si attestava peraltro su un livello prossimo al minimo edittale. Una censura che mira a una nuova valutazione della “congruità” della pena, senza evidenziare vizi logici o violazioni di legge nel ragionamento del giudice, non è ammissibile in Cassazione.

Le Motivazioni della Decisione della Suprema Corte

La decisione della Corte di Cassazione si fonda sulla netta separazione tra il giudizio di fatto e quello di diritto. Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché non contestava violazioni di legge o vizi logici manifesti nella motivazione della sentenza impugnata, ma si limitava a riproporre argomentazioni di merito già esaminate e respinte dalla Corte d’Appello. La Suprema Corte ha applicato il principio consolidato secondo cui non è possibile trasformare il giudizio di legittimità in un terzo grado di merito. Di conseguenza, ai sensi dell’articolo 616 del codice di procedura penale, alla dichiarazione di inammissibilità è seguita la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza conferma che per avere successo in Cassazione, un ricorso non può limitarsi a contestare le conclusioni a cui sono giunti i giudici di merito. È necessario, invece, individuare specifici errori di diritto o palesi illogicità nel percorso argomentativo della sentenza impugnata. Qualsiasi tentativo di sollecitare una nuova e diversa valutazione delle prove si scontrerà inevitabilmente con una declaratoria di inammissibilità, con conseguente condanna alle spese e a una sanzione pecuniaria.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi presentati non denunciavano vizi di legittimità (cioè errori nell’applicazione della legge o illogicità della motivazione), ma miravano a ottenere una nuova valutazione dei fatti e delle prove, un’attività che è preclusa alla Corte di Cassazione e spetta esclusivamente ai giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello).

La Corte di Cassazione può modificare la quantità della pena decisa da un altro giudice?
No, la Corte di Cassazione non può riesaminare la congruità o l’adeguatezza della pena, poiché la sua determinazione rientra nel potere discrezionale del giudice di merito. Può intervenire solo se la motivazione sulla scelta della pena è inesistente, manifestamente illogica o contraddittoria, oppure se il giudice ha violato i limiti minimi o massimi previsti dalla legge.

Quali elementi sono stati considerati decisivi per provare la finalità di spaccio?
La Corte d’Appello ha ritenuto decisivi tre elementi, la cui valutazione complessiva è stata giudicata logica: il “non modesto dato ponderale” della sostanza sequestrata (443 grammi di marijuana), la circostanza che la droga fosse già suddivisa e la mancanza di idonee giustificazioni da parte dell’imputato riguardo alla sua provenienza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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