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Ricorso inammissibile per spaccio: la Cassazione

Un individuo condannato per detenzione di stupefacenti a fini di spaccio ha presentato ricorso in Cassazione. La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo i motivi proposti generici e basati su una rivalutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità. La condanna si fondava su prove come la quantità di cocaina (10,834 grammi), la presenza di strumenti per il confezionamento e l’assenza di un’occupazione lavorativa. L’imputato è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 23 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso inammissibile: quando le prove di spaccio sono chiare

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito i paletti per l’ammissibilità dei ricorsi, confermando come un ricorso inammissibile sia la conseguenza inevitabile di motivi generici e fattuali. Il caso riguardava un individuo condannato per detenzione di sostanze stupefacenti a fini di spaccio, la cui difesa ha tentato di rimettere in discussione l’interpretazione delle prove davanti alla Suprema Corte, senza successo.

I Fatti di Causa

Il ricorrente era stato condannato nei gradi di merito per la detenzione di 10,834 grammi di cocaina. La Corte d’Appello aveva ritenuto provata la destinazione della sostanza alla vendita a terzi sulla base di una serie di elementi chiari e convergenti. In particolare, i giudici avevano valorizzato:

* Le modalità di tenuta e occultamento della droga.
* La presenza di strumenti idonei al confezionamento delle dosi.
* L’assenza di un’occupazione lavorativa stabile, che rendeva poco credibile il possesso per uso personale di una tale quantità.

Questi indizi, valutati nel loro complesso, avevano portato a una motivazione ritenuta logica e ineccepibile, che supportava pienamente l’accusa di spaccio.

I Motivi del Ricorso e la Valutazione della Cassazione

Innanzi alla Suprema Corte, la difesa ha sollevato quattro motivi di ricorso. I primi tre miravano a contestare l’affermazione di responsabilità, sostenendo una diversa interpretazione dei fatti. Il quarto motivo, invece, criticava la dosimetria della pena, giudicata eccessiva.

La Corte di Cassazione ha smontato rapidamente l’impianto difensivo. I primi tre motivi sono stati liquidati come una richiesta, neanche troppo velata, di riesaminare il merito della vicenda. La difesa, infatti, non contestava un errore di diritto, ma proponeva una lettura alternativa delle prove, un’operazione preclusa in sede di legittimità. La Cassazione non è un terzo grado di giudizio sui fatti, ma un giudice della corretta applicazione della legge.

Anche il quarto motivo, relativo alla presunta eccessività della pena, è stato giudicato del tutto generico. La difesa non ha specificato perché la sanzione, peraltro definita “modesta” dalla Corte, fosse sproporzionata, limitandosi a una critica superficiale che non poteva scalfire il giudizio di congruità espresso dal giudice di merito.

Le Motivazioni: la dichiarazione di ricorso inammissibile

La Corte ha concluso che il ricorso dovesse essere dichiarato inammissibile. La decisione si fonda su un principio cardine del nostro sistema processuale: il ricorso per cassazione deve denunciare vizi di legittimità (violazioni di legge o vizi logici della motivazione) e non può trasformarsi in un appello mascherato. Nel caso di specie, i motivi erano proposti “per ragioni in fatto rispetto alla ineccepibile motivazione” della Corte d’Appello. Quest’ultima aveva logicamente desunto la destinazione a terzi della sostanza da elementi concreti, la cui valutazione non era sindacabile in quella sede. La genericità delle censure, sia sulla responsabilità che sulla pena, ha reso inevitabile la declaratoria di inammissibilità.

Le Conclusioni: le implicazioni della sentenza

Questa ordinanza è un monito importante sulla tecnica di redazione dei ricorsi per cassazione. Evidenzia come la Suprema Corte applichi con rigore i limiti del proprio sindacato, respingendo ogni tentativo di ottenere una nuova valutazione delle prove. La decisione conferma inoltre che, in materia di stupefacenti, la prova della destinazione allo spaccio può essere legittimamente desunta da un insieme di indizi logici e concordanti, come la quantità della sostanza, la presenza di materiale per il confezionamento e la situazione economica dell’imputato. La condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende sancisce la definitività della sua colpevolezza e la temerarietà di un’impugnazione priva di validi argomenti giuridici.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi presentati erano generici e si limitavano a contestare la valutazione dei fatti e delle prove compiuta dai giudici di merito, un’attività che non è permessa davanti alla Corte di Cassazione. L’appello non ha evidenziato errori di diritto o vizi logici nella motivazione della sentenza impugnata.

Quali prove sono state considerate sufficienti per dimostrare l’intenzione di spacciare la droga?
I giudici hanno basato la condanna su un insieme di prove indiziarie, tra cui le modalità di conservazione e occultamento della cocaina (pari a 10,834 grammi), il ritrovamento di strumenti per il confezionamento delle dosi e l’assenza di un’occupazione lavorativa da parte dell’imputato.

Quali sono state le conseguenze economiche per il ricorrente dopo la decisione della Cassazione?
A seguito della dichiarazione di inammissibilità del ricorso, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di un’ulteriore somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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