Ricorso Inammissibile: Quando la Cassazione Rigetta per Mera Ripetizione
Nel complesso mondo della procedura penale, l’impugnazione di una sentenza è un diritto fondamentale, ma soggetto a regole precise. Un recente provvedimento della Corte di Cassazione chiarisce i confini entro cui deve muoversi un ricorso per non essere dichiarato ricorso inammissibile. Il caso in esame offre uno spaccato chiaro su come la mera riproposizione di argomenti già vagliati, senza una critica puntuale alla decisione d’appello, porti inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità.
I Fatti del Caso
La vicenda trae origine da una condanna per rapina emessa dalla Corte d’Appello. L’imputato, non accettando la decisione, proponeva ricorso per cassazione basato su due motivi principali. In primo luogo, contestava la logicità della motivazione con cui i giudici avevano affermato la sua responsabilità, ritenendola carente. In secondo luogo, reiterava le stesse argomentazioni già presentate in appello, senza però sviluppare una critica specifica contro le ragioni esposte nella sentenza di secondo grado. L’imputato aveva anche richiesto, senza successo, il riconoscimento della continuazione tra la rapina in questione (agosto 2017) e un successivo tentato furto (dicembre 2017).
La Decisione della Corte di Cassazione e il Ricorso Inammissibile
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria. La decisione si fonda su un’analisi distinta dei motivi presentati, entrambi giudicati non meritevoli di accoglimento. La Corte ribadisce così un principio fondamentale: il giudizio di legittimità non è una terza istanza di merito, ma un controllo sulla corretta applicazione della legge e sulla coerenza logica della motivazione.
Le Motivazioni: Perché il Ricorso è Inammissibile
La Corte di Cassazione ha articolato la sua decisione sulla base di principi procedurali ben consolidati, distinguendo nettamente tra la valutazione del merito e il controllo di legittimità.
Analisi del Primo Motivo: Il Vizio di Motivazione
Il primo motivo, con cui si denunciava l’illogicità della motivazione, è stato ritenuto manifestamente infondato. La Cassazione ha ricordato che il suo compito non è quello di riverificare la rispondenza della motivazione alle prove acquisite, ma solo di controllare l’esistenza di un apparato argomentativo logico e non contraddittorio. Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva adeguatamente giustificato la condanna basandosi su elementi concreti: la corrispondenza tra la descrizione del rapinatore fornita dalla vittima e le caratteristiche dell’imputato, e la localizzazione del telefono cellulare rubato, che agganciava ripetutamente la cella telefonica corrispondente al domicilio del condannato.
Analisi del Secondo Motivo: La Pedissequa Reiterazione
Il secondo motivo è stato giudicato inammissibile perché si risolveva in una ‘pedissequa reiterazione’ dei motivi già presentati in appello. La Corte ha sottolineato che, per essere ammissibile, un ricorso deve contenere una critica specifica e argomentata contro la sentenza impugnata. Limitarsi a riproporre le stesse doglianze, ignorando le risposte fornite dal giudice d’appello, svuota il ricorso della sua funzione tipica, rendendolo un atto meramente apparente e, di conseguenza, inammissibile.
La Questione della Continuazione tra Reati
Infine, la Corte ha confermato la correttezza della decisione d’appello anche riguardo al mancato riconoscimento della continuazione. I giudici di merito avevano correttamente escluso l’esistenza di un unico disegno criminoso, in quanto non vi era alcuna prova che l’imputato, al momento della rapina, avesse già pianificato il successivo tentato furto. La giurisprudenza costante, richiamata nella sentenza, richiede che le singole violazioni siano parte integrante di un unico programma criminoso volto a un fine predeterminato.
Conclusioni: Lezioni Pratiche dalla Sentenza
Questa ordinanza offre importanti spunti pratici. In primo luogo, evidenzia che un ricorso inammissibile è spesso il risultato di un’impostazione errata, che tenta di trasformare il giudizio di Cassazione in un terzo grado di merito. In secondo luogo, ribadisce la necessità che i motivi di ricorso siano specifici e si confrontino criticamente con la motivazione della sentenza impugnata, pena la loro irricevibilità. Chi intende impugnare una sentenza deve quindi concentrarsi sui vizi di legittimità (violazione di legge o manifesta illogicità della motivazione) e non sulla semplice riproposizione di argomenti fattuali già esaminati e respinti.
Quando un motivo di ricorso in Cassazione è considerato una ‘pedissequa reiterazione’ e quindi inammissibile?
Quando si limita a riproporre gli stessi argomenti già presentati e respinti in appello, senza formulare una critica specifica e argomentata contro la motivazione della sentenza impugnata.
Qual è il limite del controllo della Corte di Cassazione sulla motivazione di una sentenza?
La Corte si limita a verificare l’esistenza di un apparato argomentativo logico e coerente, senza poter riesaminare le prove o la rispondenza della motivazione alle risultanze processuali. Il suo è un controllo di legittimità, non di merito.
Perché la richiesta di riconoscere la ‘continuazione’ tra due reati è stata respinta?
Perché non sono stati presentati elementi che dimostrassero che l’imputato avesse già programmato il secondo reato al momento della commissione del primo. Per la continuazione è necessario un unico e preesistente disegno criminoso.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 11494 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 11494 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CERIGNOLA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 28/02/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di COGNOME NOME, ritenuto che il primo motivo di ricorso che contesta la correttezza della motivazione posta a base della dichiarazione di responsabilità denunciando l’illogicità della motivazione, è manifestamente infondato poiché il vizio censurabile a norma dell’art. 606, comma 1, lett e) cod. proc. pen., è quello che emerge dal contrasto dello sviluppo argomentativo della sentenza con le massime di esperienza o con le altre affermazioni contenute nel provvedimento;
che, invero, l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074);
che la motivazione della sentenza impugnata non presenta alcun vizio riconducibile alla nozione delineata nell’art. 606, comma 2, lett. e) cod. proc. pen. in quanto il giudice di merito ha adeguatamente assolto al dovere argomentativo come si evince da pp.4-5 della sentenza impugnata, ove richiama tutti gli elementi posti alla base del giudizio di responsabilità, quali la corrispondenza tra la descrizione del rapinatore data dalla persona offesa e l’imputato, nonché la corrispondenza tra il luogo di abitazione dello stesso e la cella WIND impegnata più volte successivamente alla rapina dal cellulare oggetto del fatto;
ritenuto che il secondo motivo di ricorso che contesta la correttezza della motivazione posta a base del giudizio di responsabilità, è inammissibile perché fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso;
considerato che, in particolare, il giudice di merito ha adeguatamente motivato il diniego alle pagine 5 e6 della sentenza impugnata circa la richiesta della difesa di porre in continuazione il fatto del 17 agosto 2017 con quello avvenuto il 26
dicembre 2017, in quanto non sono presenti elementi che dimostrano non solo che l’imputato avesse già programmato il successivo tentato furto, ma anche alla luce di una giurisprudenza di legittimità costante nel ritenere che le singole violazioni costituiscano parte integrante di un unico disegno criminoso volto ad un determinato fine (Sez. 5, n.5599 del 03/10/2013, COGNOME, Rv. 258862);
rilevato che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla somma di euro tremila in favore delle Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 6 febbraio 2024
Il Consigliere Estensore
Il Presidente