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Ricorso inammissibile per reingresso clandestino

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un cittadino straniero condannato per essere rientrato illegalmente in Italia dopo un provvedimento di espulsione. La Corte ha stabilito che il comportamento, avvenuto in modo clandestino e con altri soggetti, ha destato un particolare allarme sociale, escludendo così l’applicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. È stata respinta anche la censura relativa alla mancata assistenza di un interprete, poiché non era mai stato specificato che l’imputato non comprendesse la lingua italiana.

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Pubblicato il 1 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: La Cassazione sul Reingresso Clandestino

Con l’ordinanza n. 6663/2024, la Corte di Cassazione ha dichiarato un ricorso inammissibile, consolidando principi importanti in materia di immigrazione e diritto di difesa. Il caso riguardava un cittadino straniero che, dopo essere stato espulso dal territorio nazionale, vi aveva fatto reingresso in modo clandestino. La difesa aveva basato il ricorso su due punti principali: l’applicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto e la violazione del diritto di difesa per la presunta assenza di un interprete. Vediamo come la Suprema Corte ha affrontato e risolto queste questioni.

I Fatti e le Censure del Ricorrente

Il ricorrente era stato condannato dalla Corte d’Appello di Palermo per aver violato un provvedimento di espulsione. Il suo reingresso era avvenuto in modo clandestino e in compagnia di altri soggetti extracomunitari. Contro tale sentenza, la difesa ha sollevato due censure principali:

1. Violazione dell’art. 131 bis c.p.: Si sosteneva che il fatto dovesse essere considerato di ‘particolare tenuità’ e, quindi, non punibile.
2. Violazione del diritto di difesa: Si lamentava la mancata assistenza di un interprete e la mancata traduzione degli atti nella lingua parlata dall’imputato, in violazione degli artt. 137 e 143 c.p.p.

L’Esclusione della Particolare Tenuità del Fatto

La Corte di Cassazione ha confermato la decisione della Corte d’Appello, ritenendo che il ricorso fosse una mera riproposizione di argomenti già correttamente valutati e respinti. Per quanto riguarda la non punibilità, i giudici hanno sottolineato che il comportamento del ricorrente non poteva essere qualificato come di lieve entità. Il reingresso, avvenuto in totale spregio del provvedimento di espulsione e insieme ad altri, aveva destato un ‘particolare allarme sociale’. Tale condotta, secondo la Corte, vanifica le complesse procedure di respingimento e non può beneficiare della causa di non punibilità.

La Questione del Diritto di Difesa e dell’Interprete

Anche la seconda doglianza è stata giudicata infondata. La Cassazione ha evidenziato come la Corte d’Appello avesse correttamente osservato che la difesa non aveva mai specificato, nel corso del giudizio, che l’imputato non parlasse o non comprendesse la lingua italiana al momento dei fatti. Inoltre, i verbali redatti dalle forze dell’ordine non facevano alcun riferimento a incomprensioni o difficoltà di comunicazione. In assenza di elementi concreti che dimostrino una reale lesione del diritto di difesa, la censura è stata ritenuta generica e, pertanto, inammissibile.

Le Motivazioni della Cassazione sul ricorso inammissibile

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile principalmente perché le censure sollevate erano ‘riproduttive di doglianze già adeguatamente vagliate e disattese con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito’. In altre parole, l’appello non introduceva nuovi e validi argomenti, ma si limitava a ripetere questioni già risolte in modo logico e giuridicamente corretto dalla Corte d’Appello. La decisione di escludere la tenuità del fatto è stata giudicata non ‘manifestamente illogica’, mentre la critica sulla mancanza dell’interprete è stata considerata priva di fondamento probatorio.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza offre due importanti spunti pratici. In primo luogo, il reingresso clandestino in violazione di un ordine di espulsione, specialmente se compiuto con modalità che destano allarme sociale, difficilmente potrà essere considerato un fatto di ‘particolare tenuità’ ai sensi dell’art. 131 bis c.p. In secondo luogo, la presunta violazione del diritto a un interprete deve essere specificamente provata dalla difesa, dimostrando l’effettiva incapacità dell’imputato di comprendere la lingua italiana; non può essere una semplice affermazione generica sollevata in sede di impugnazione. La conseguenza di un ricorso che ripropone le medesime argomentazioni già respinte è la sua inammissibilità e la condanna al pagamento non solo delle spese processuali, ma anche di una somma a favore della Cassa delle ammende.

Perché il reingresso clandestino non è stato considerato un fatto di lieve entità?
La Corte ha stabilito che il comportamento dell’imputato, rientrato in Italia clandestinamente e con altri soggetti in spregio a un ordine di espulsione, ha generato un particolare allarme sociale e vanificato complesse procedure di respingimento. Per questi motivi, non può essere considerato un fatto di particolare tenuità.

Per quale motivo è stata respinta la richiesta legata alla mancanza di un interprete?
La censura è stata respinta perché nel corso del processo non è mai stato specificato né provato che l’imputato non fosse in grado di comprendere la lingua italiana al momento del fatto. Inoltre, i verbali redatti non riportavano alcuna difficoltà di comunicazione.

Quali sono state le conseguenze economiche per il ricorrente dopo la dichiarazione di inammissibilità?
Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, come previsto dalla legge in caso di ricorso inammissibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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