Ricorso Inammissibile: La Cassazione sul Reingresso Clandestino
Con l’ordinanza n. 6663/2024, la Corte di Cassazione ha dichiarato un ricorso inammissibile, consolidando principi importanti in materia di immigrazione e diritto di difesa. Il caso riguardava un cittadino straniero che, dopo essere stato espulso dal territorio nazionale, vi aveva fatto reingresso in modo clandestino. La difesa aveva basato il ricorso su due punti principali: l’applicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto e la violazione del diritto di difesa per la presunta assenza di un interprete. Vediamo come la Suprema Corte ha affrontato e risolto queste questioni.
I Fatti e le Censure del Ricorrente
Il ricorrente era stato condannato dalla Corte d’Appello di Palermo per aver violato un provvedimento di espulsione. Il suo reingresso era avvenuto in modo clandestino e in compagnia di altri soggetti extracomunitari. Contro tale sentenza, la difesa ha sollevato due censure principali:
1.  Violazione dell’art. 131 bis c.p.: Si sosteneva che il fatto dovesse essere considerato di ‘particolare tenuità’ e, quindi, non punibile.
2.  Violazione del diritto di difesa: Si lamentava la mancata assistenza di un interprete e la mancata traduzione degli atti nella lingua parlata dall’imputato, in violazione degli artt. 137 e 143 c.p.p.
L’Esclusione della Particolare Tenuità del Fatto
La Corte di Cassazione ha confermato la decisione della Corte d’Appello, ritenendo che il ricorso fosse una mera riproposizione di argomenti già correttamente valutati e respinti. Per quanto riguarda la non punibilità, i giudici hanno sottolineato che il comportamento del ricorrente non poteva essere qualificato come di lieve entità. Il reingresso, avvenuto in totale spregio del provvedimento di espulsione e insieme ad altri, aveva destato un ‘particolare allarme sociale’. Tale condotta, secondo la Corte, vanifica le complesse procedure di respingimento e non può beneficiare della causa di non punibilità.
La Questione del Diritto di Difesa e dell’Interprete
Anche la seconda doglianza è stata giudicata infondata. La Cassazione ha evidenziato come la Corte d’Appello avesse correttamente osservato che la difesa non aveva mai specificato, nel corso del giudizio, che l’imputato non parlasse o non comprendesse la lingua italiana al momento dei fatti. Inoltre, i verbali redatti dalle forze dell’ordine non facevano alcun riferimento a incomprensioni o difficoltà di comunicazione. In assenza di elementi concreti che dimostrino una reale lesione del diritto di difesa, la censura è stata ritenuta generica e, pertanto, inammissibile.
Le Motivazioni della Cassazione sul ricorso inammissibile
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile principalmente perché le censure sollevate erano ‘riproduttive di doglianze già adeguatamente vagliate e disattese con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito’. In altre parole, l’appello non introduceva nuovi e validi argomenti, ma si limitava a ripetere questioni già risolte in modo logico e giuridicamente corretto dalla Corte d’Appello. La decisione di escludere la tenuità del fatto è stata giudicata non ‘manifestamente illogica’, mentre la critica sulla mancanza dell’interprete è stata considerata priva di fondamento probatorio.
Conclusioni e Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza offre due importanti spunti pratici. In primo luogo, il reingresso clandestino in violazione di un ordine di espulsione, specialmente se compiuto con modalità che destano allarme sociale, difficilmente potrà essere considerato un fatto di ‘particolare tenuità’ ai sensi dell’art. 131 bis c.p. In secondo luogo, la presunta violazione del diritto a un interprete deve essere specificamente provata dalla difesa, dimostrando l’effettiva incapacità dell’imputato di comprendere la lingua italiana; non può essere una semplice affermazione generica sollevata in sede di impugnazione. La conseguenza di un ricorso che ripropone le medesime argomentazioni già respinte è la sua inammissibilità e la condanna al pagamento non solo delle spese processuali, ma anche di una somma a favore della Cassa delle ammende.
 
Perché il reingresso clandestino non è stato considerato un fatto di lieve entità?
La Corte ha stabilito che il comportamento dell’imputato, rientrato in Italia clandestinamente e con altri soggetti in spregio a un ordine di espulsione, ha generato un particolare allarme sociale e vanificato complesse procedure di respingimento. Per questi motivi, non può essere considerato un fatto di particolare tenuità.
Per quale motivo è stata respinta la richiesta legata alla mancanza di un interprete?
La censura è stata respinta perché nel corso del processo non è mai stato specificato né provato che l’imputato non fosse in grado di comprendere la lingua italiana al momento del fatto. Inoltre, i verbali redatti non riportavano alcuna difficoltà di comunicazione.
Quali sono state le conseguenze economiche per il ricorrente dopo la dichiarazione di inammissibilità?
Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, come previsto dalla legge in caso di ricorso inammissibile.
 
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 6663 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7   Num. 6663  Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME (CUI:064QREK). nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 30/05/2023 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Rilevato in fatto e considerato in diritto
Ritenuto che le censure dedotte nel ricorso di NOME – nel quale il difensore si duole, col primo motivo di impugnazione, della violazione degli artt. 131 bis e 133 cod. pen., e con il secondo, della violazione di legge in relazione agli artt. 137 e 143 cod. proc. pen. e del diritto di difesa – sono inammissibili, perché riproduttive di doglianze già adeguatamente vagliate e disattese con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito.
Osservato che, in ordine alla causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen., la Corte di appello di Palermo la esclude in modo non manifestamente illogico, collegandola al comportamento del ricorrente il quale, in totale spregio del provvedimento di espulsione dal territorio italiano, facendo nuovamente ingresso in modo clandestino insieme ad altri soggetti extracomunitari, destava un particolare allarme sociale, vanificando, altresì, le complesse procedure di respingimento.
Rilevato che, in ordine alla lamentata violazione del diritto di difesa per assenza di interprete e comunque mancata traduzione nella lingua parlata dall’imputato, la Corte di appello di Palermo osserva che non è mai stato specificato che l’imputato al momento del fatto non parlasse la lingua italiana, né i verbalizzanti hanno fatto alcun riferimento ad incomprensioni legate alla lingua conosciuta e parlata dal ricorrente.
Ritenuto, pertanto, che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2024.