Ricorso Inammissibile: la Cassazione conferma la condanna per reati tributari
Con l’ordinanza n. 770/2024, la Corte di Cassazione ha affrontato un caso di reati fiscali, dichiarando il ricorso inammissibile e consolidando importanti principi in materia di prova e sanzioni. La decisione sottolinea come, in assenza di prove dirette, le presunzioni basate su dati certi, come gli scontrini fiscali, possano essere sufficienti a fondare una condanna. Questo caso offre spunti cruciali sull’onere della prova e sulle conseguenze di un’impugnazione debole.
I Fatti di Causa
Il caso riguarda un imprenditore condannato in appello per il reato continuato di omessa dichiarazione, previsto dall’art. 5 del D.Lgs. 74/2000. L’imputato ha presentato ricorso per Cassazione basandosi su tre motivi principali:
1. Errata valutazione della prova sul superamento della soglia di punibilità, ritenuta basata su un metodo di calcolo presuntivo inaffidabile.
2. Illegittimità della confisca per equivalente disposta a suo carico.
3. L’intervenuta prescrizione dei reati contestati.
L’Analisi della Corte e il Ricorso Inammissibile
La Corte Suprema ha esaminato i tre motivi, rigettandoli tutti in quanto manifestamente infondati e, in parte, meramente ripetitivi di doglianze già esaminate e correttamente respinte dalla Corte d’Appello. Questo ha portato a una declaratoria di ricorso inammissibile.
Il Metodo Presuntivo per la Prova dell’Evasione
Sul primo punto, la Cassazione ha confermato la validità del metodo utilizzato per accertare il superamento della soglia di imposta evasa (in particolare per l’IRPEF). I giudici hanno chiarito che la prova non era debole, ma fondata su presunzioni gravi, precise e concordanti. Nello specifico, i ricavi erano stati determinati acquisendo gli scontrini di chiusura giornaliera dei misuratori fiscali dei vari punti vendita. Da questi dati certi, era stato calcolato un incasso medio giornaliero, poi utilizzato per quantificare i ricavi totali nei singoli anni d’imposta. La Corte ha ritenuto tale metodo logico e affidabile, specialmente perché l’imputato non aveva fornito alcuna prova contraria che dimostrasse un diverso andamento delle vendite nel tempo.
La Confisca Obbligatoria nei Reati Tributari
Il secondo motivo, relativo alla confisca, è stato giudicato manifestamente infondato. La Corte ha ribadito un principio consolidato: in materia di reati tributari, la confisca (anche per equivalente) dei beni che costituiscono il profitto del reato è un atto dovuto. Deve essere sempre disposta in caso di condanna o patteggiamento. I giudici hanno sottolineato la piena continuità normativa tra l’attuale art. 12-bis del D.Lgs. 74/2000 e la precedente normativa, rendendo l’argomento del ricorrente privo di fondamento.
La Questione della Prescrizione
Anche il terzo motivo, che invocava genericamente la prescrizione, è stato respinto. La Corte ha osservato che nessuno dei reati contestati era prescritto al momento della sentenza di primo grado. Poiché il ricorso è stato dichiarato inammissibile, il tempo trascorso successivamente alla pronuncia di primo grado diventa irrilevante ai fini del calcolo della prescrizione.
Le Motivazioni della Decisione
La decisione della Suprema Corte si fonda su tre pilastri giuridici chiari. In primo luogo, un ricorso è inammissibile se si limita a riproporre le stesse argomentazioni già adeguatamente valutate e respinte nei precedenti gradi di giudizio, o se i motivi sono palesemente privi di fondamento legale. In secondo luogo, in ambito tributario, la prova dell’evasione può essere legittimamente raggiunta attraverso un rigoroso procedimento presuntivo, a condizione che si basi su dati certi e verificabili (come i dati dei misuratori fiscali). Spetta poi all’imputato l’onere di fornire prove concrete per smentire tale ricostruzione. Infine, la Corte ha riaffermato l’obbligatorietà della confisca del profitto illecito come conseguenza diretta e ineludibile della condanna per reati fiscali.
Conclusioni e Implicazioni Pratiche
L’ordinanza ribadisce che la presentazione di un ricorso generico e ripetitivo in Cassazione è destinata al fallimento, con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria. Sul piano sostanziale, la decisione conferma che gli organi inquirenti possono utilizzare metodi di accertamento induttivo per quantificare i ricavi non dichiarati, e che tali metodi, se ben fondati, hanno piena validità probatoria in sede penale. Per gli imprenditori, ciò significa che la corretta tenuta e conservazione della documentazione fiscale non è solo un obbligo formale, ma uno strumento essenziale di difesa in caso di contestazioni.
È possibile provare l’evasione fiscale basandosi solo su presunzioni derivate dagli scontrini fiscali?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che la prova del superamento della soglia di punibilità può essere determinata sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti. Nel caso specifico, il calcolo dei ricavi, basato su una media giornaliera ottenuta dai dati dei misuratori fiscali, è stato ritenuto un metodo logico e affidabile in assenza di prove contrarie.
Quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Un ricorso viene dichiarato inammissibile quando è meramente ripetitivo di argomenti già analizzati e correttamente respinti nei gradi precedenti di giudizio, oppure quando i motivi presentati sono manifestamente infondati, come nel caso di specie per tutte e tre le censure sollevate dal ricorrente.
La confisca dei beni è sempre obbligatoria in caso di condanna per reati tributari?
Sì. L’ordinanza ribadisce il principio consolidato secondo cui, in caso di condanna per i delitti previsti dal D.Lgs. 74/2000, la confisca dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo del reato, anche per equivalente, deve essere sempre disposta dal giudice.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 770 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 770 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 01/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il 23/11/1981
avverso la sentenza del 06/02/2023 della CORTE APPELLO di LECCE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che il primo motivo del ricorso proposto da NOME COGNOME condannato alle pene di legge per il reato continuato di cui all’art. 5 d.lgs. 74 del 2000, con cui si lamentano viola della legge penale e vizio di motivazione con riguardo alla ritenuta prova del superamento della soglia di punibilità, è inammissibile perché meramente ripetitivo di doglianze già adeguatamente analizzate e correttamente disattese dalla Corte territoriale ed è comunque manifestamente infondato posto che la motivazione resa non presta il fianco a censure; ed invero, dett superamento (peraltro assolutamente significativo, in particolare, per l’IRPEF) è sta determinato in base a presunzioni gravi, precise e concordanti in quanto fondate su dati cert vale a dire gli incassi rilevati dai vari punti vendita mediante acquisizione degli scont chiusura dei misuratori fiscali, mentre la prova testimoniale asseritamente travisata – come ricava dal verbale delle dichiarazioni testimoniali rese dall’operante COGNOME all’udienza del aprile 2018 (v. pagg. 5-6 trascrizioni) – tale non è, attestando la sentenza impugnata, conformità alla prova testimoniale, che l’incasso è stato determinato suddividendo il corrispett cumulativo dei misuratori fiscali dei negozi per il numero di giornate di apertura degli stessi periodo considerato e così ottenendo una media giornaliera di incassi poi utilizzata p quantificare i ricavi nei singoli anni di imposta: un metodo, dunque, non illogicamente riten affidabile in assenza di elementi di prova contrari su un diverso andamento delle vendite ne tempo);
Considerato che il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato alla luce del consolidato principio giusta il quale, in materia di reati tributari, la confisca, an equivalente, dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo di uno dei delitti previsti d 10 marzo 2000, n. 74, deve essere sempre disposta nel caso di condanna o di sentenza di applicazione concordata della pena, stante l’identità della lettera e la piena continuità norma tra la disposizione di cui all’art. 12 -bis, comma secondo, del predetto decreto (introdotta dal d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158), e la previgente fattispecie prevista dall’art. 322-ter cod. richiamato dall’art. 1, comma 143, I. 24 dicembre 2007, n. 244, abrogata dall’art. 14 del cit d.lgs. n. 158 del 2015 (Sez. 3, n. 50338 del 22/09/2016, Lombardo, Rv. 268386);
Considerato che il terzo motivo di ricorso, con cui s’invoca del tutto genericamente l (eventuale) prescrizione del reato, è manifestamente infondato, posto che nessuno dei due reati era prescritto al momento della pronuncia della sentenza di primo grado e, trattandosi di ricor inammissibile, non rileva il tempo decorso successivamente alla pronuncia;
Ritenuto, pertanto, che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile e rilevato che alla declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere de spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della tassa delle ammende, equitativamente fissata in tremila euro.
GLYPH
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese p e della somma di euro 3.000,00 in favore della tassa delle ammende.
Così deciso il 1° dicembre 2023.