Ricorso Inammissibile: Quando la Cassazione non Riesamina i Fatti
Un recente provvedimento della Corte di Cassazione ci offre l’opportunità di approfondire un concetto fondamentale del nostro sistema processuale: il ricorso inammissibile. Con l’ordinanza in esame, la Suprema Corte ha respinto il ricorso di un imputato condannato per reati legati agli stupefacenti, chiarendo ancora una volta i confini invalicabili tra il giudizio di merito e quello di legittimità. Analizziamo insieme i dettagli del caso e le importanti conclusioni giuridiche.
I Fatti del Processo
Il caso ha origine dalla condanna, confermata in appello, di un individuo per due distinte condotte illecite. La prima consisteva nella cessione a terzi di un ingente quantitativo di hashish, circa 1.778 grammi, per un valore di 9.000 euro. La seconda riguardava la detenzione di un’ulteriore quantità della stessa sostanza, pari a circa 1.400 grammi. La Corte d’Appello aveva ritenuto che si trattasse di due episodi separati e autonomi, condannando l’imputato a una pena di un anno e dieci mesi di reclusione e 3.866,00 euro di multa.
Il Ricorso per Cassazione e le Sue Motivazioni
L’imputato ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione, contestando la decisione dei giudici di merito. La sua tesi difensiva si basava sull’istituto della “continuazione” del reato (art. 81 c.p.). Secondo il ricorrente, le due condotte (cessione e detenzione) non erano altro che manifestazioni di un unico disegno criminoso e, come tali, avrebbero dovuto essere considerate un singolo reato continuato. L’accoglimento di questa tesi avrebbe comportato una pena più mite.
Le Motivazioni della Cassazione sul Ricorso Inammissibile
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, senza nemmeno entrare nel merito della questione. La motivazione di questa decisione è cruciale per comprendere la funzione della Cassazione. I giudici hanno stabilito che le argomentazioni del ricorrente costituivano “mere doglianze in punto di fatto”. In altre parole, l’imputato non ha evidenziato un errore nell’applicazione della legge da parte della Corte d’Appello, ma ha semplicemente riproposto le stesse argomentazioni già esaminate e respinte nei precedenti gradi di giudizio, chiedendo di fatto una nuova e diversa valutazione delle prove.
La Cassazione ha sottolineato che la sentenza d’appello aveva spiegato in modo puntuale e logico perché le due condotte dovessero essere considerate distinte, evidenziando elementi che provavano l’anteriorità e l’autonomia della detenzione rispetto alla successiva cessione. Il ricorso, invece, si limitava a criticare genericamente tale ricostruzione, senza individuare specifici “travisamenti” delle prove. Questo tipo di contestazione è precluso in sede di legittimità, il cui compito non è rifare il processo, ma solo verificare la corretta applicazione delle norme giuridiche.
Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Decisione
Questa ordinanza ribadisce un principio cardine del nostro ordinamento: non ci si può rivolgere alla Corte di Cassazione sperando in una terza valutazione dei fatti. Un ricorso, per essere ammissibile, deve denunciare vizi di legge specifici (violazione di norme o vizi di motivazione logico-giuridica), non limitarsi a proporre una lettura alternativa delle prove. La dichiarazione di inammissibilità comporta conseguenze economiche per il ricorrente, che viene condannato non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche a versare una somma alla Cassa delle Ammende, a causa della sua “colpa nella determinazione delle cause di inammissibilità”. La decisione serve quindi da monito: un ricorso in Cassazione deve essere tecnicamente fondato su questioni di diritto, altrimenti si risolve in un’iniziativa infruttuosa e costosa.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Perché le censure mosse dal ricorrente erano ‘doglianze in punto di fatto’, ossia tentativi di ottenere una nuova valutazione delle prove già esaminate dai giudici di merito, attività che non è consentita nel giudizio di legittimità della Corte di Cassazione.
Qual era la tesi principale del ricorrente?
Il ricorrente sosteneva che le due condotte illecite (una di cessione e una di detenzione di sostanze stupefacenti) dovessero essere unificate sotto il vincolo della continuazione, configurando un unico reato, al fine di ottenere una pena più favorevole.
Quali sono state le conseguenze economiche per il ricorrente?
In seguito alla dichiarazione di inammissibilità, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle Ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 8988 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 8988 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a MUSSOMELI il 29/03/1993
avverso la sentenza del 05/04/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che NOME NOMECOGNOME condannato per il reato di cui agli artt. 81 cpv. cod. pen. e 7 comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990 all’esito di giudizio abbreviato alla pena di un anno e dieci m di reclusione e di 3.866,00 euro di multa, articolando un motivo di ricorso, poi ulterior sviluppato con memoria, deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo all ritenuta sussistenza della continuazione;
Considerato che il motivo espone censure non consentite dalla legge in sede di legittimit poiché le stesse sono costituite da mere doglianze in punto di fatto riproduttive di deduzioni adeguatamente vagliate e disattese con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito scanditi da specifica critica con il ricorso, ed inoltre sono volte a prefigurare una rivalutaz alternativa rilettura delle fonti probatorie, ed avulse da pertinente individuazione di s travisamenti di emergenze processuali valorizzate dai giudici di merito, posto che la senten impugnata ha spiegato in modo puntuale perché deve ritenersi che all’imputato debbano essere ascritte due condotte distinte, e precisamente quella di cessione a terzi di 1.778,90 grammi hashish per un prezzo di 9.000,00 euro, nonché quella di detenzione di un ulteriore quantitati di hashish pari a circa 1.400,00 grammi, evidenziando l’esistenza di plurimi elementi da desumere l’anteriorità ed autonomia di quest’ultima condotta rispetto all’altra (cfr. pagg della sentenza impugnata);
Ritenuto, pertanto, che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con condanna de ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della Cassa delle Ammende, sussistendo profili di colpa nella determinazione delle cause di inammissibilità
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spes processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 14 febbraio 2025.