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Ricorso inammissibile per pena congrua: la Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato un ricorso inammissibile presentato da un imputato condannato per resistenza a pubblico ufficiale. Il motivo del ricorso, relativo alla congruità della pena, è stato ritenuto manifestamente infondato. La Suprema Corte ha confermato che la motivazione della Corte d’Appello, basata sui criteri dell’art. 133 c.p. (gravità del fatto e precedenti penali), era esaustiva e priva di vizi logici. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 12 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso inammissibile: quando la motivazione sulla pena è inattaccabile

L’esito di un processo penale non si esaurisce con la condanna, ma prosegue con la delicata fase della determinazione della pena. Quando un imputato ritiene la sanzione eccessiva, può impugnare la decisione. Tuttavia, la Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ci ricorda i limiti di tale impugnazione, dichiarando un ricorso inammissibile perché la motivazione sulla congruità della pena era immune da vizi. Analizziamo insieme questa importante decisione.

Il caso in esame: la contestazione sulla pena

Il caso trae origine da una condanna per il reato di resistenza a pubblico ufficiale, previsto dall’art. 337 del codice penale. A seguito della sentenza della Corte d’Appello, l’imputato decideva di presentare ricorso per cassazione. L’unica doglianza sollevata riguardava la presunta eccessività della pena inflitta, ritenuta non congrua rispetto ai fatti contestati.

L’obiettivo del ricorrente era ottenere una riconsiderazione della sanzione da parte della Suprema Corte, sostenendo che i giudici di merito non avessero valutato correttamente gli elementi a sua disposizione per mitigarla.

La decisione sul ricorso inammissibile della Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato completamente le argomentazioni della difesa, dichiarando il ricorso inammissibile. Questa decisione non entra nel merito della questione (cioè, non stabilisce se la pena fosse ‘giusta’ o ‘sbagliata’ in astratto), ma si ferma a un livello procedurale. La Corte ha ritenuto che il motivo del ricorso fosse “manifestamente infondato”, ovvero così palesemente privo di fondamento da non meritare un’analisi approfondita.

La conseguenza diretta di questa declaratoria è la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, una sanzione prevista proprio per scoraggiare impugnazioni futili o dilatorie.

Le motivazioni: i criteri dell’art. 133 c.p. come baluardo

Il cuore della motivazione della Cassazione risiede nel richiamo all’art. 133 del codice penale. Questa norma elenca i criteri che il giudice deve seguire per commisurare la pena, tra cui la gravità del fatto (desunta dalle modalità dell’azione, dai mezzi, ecc.) e la capacità a delinquere del reo (valutata anche sulla base dei precedenti penali).

La Suprema Corte ha osservato che la sentenza della Corte d’Appello aveva fornito una motivazione “esaustiva e immune da vizi censurabili in sede di legittimità”. In altre parole, i giudici di secondo grado avevano spiegato in modo logico e coerente perché, alla luce della gravità del comportamento e dei precedenti dell’imputato, la pena inflitta fosse adeguata. Il compito della Cassazione non è quello di sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito, ma solo di verificare che il ragionamento seguito da quest’ultimo sia corretto dal punto di vista logico e giuridico. Poiché la motivazione era ineccepibile, non c’era spazio per accogliere il ricorso.

Le conclusioni: le implicazioni pratiche della decisione

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale nel diritto processuale penale: la determinazione della pena è un potere discrezionale del giudice di merito. Un ricorso in Cassazione che si limiti a contestare l’entità della sanzione senza evidenziare una palese illogicità o una violazione di legge nella motivazione della sentenza impugnata è destinato all’inammissibilità.

Per gli operatori del diritto, ciò significa che un’impugnazione sulla pena deve essere costruita in modo rigoroso, attaccando non la scelta del giudice, ma eventuali errori nel percorso logico-giuridico che ha portato a quella scelta. Per i cittadini, la decisione serve da monito: un ricorso inammissibile non solo non porta al risultato sperato, ma comporta anche ulteriori e significative conseguenze economiche.

Per quale motivo un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile?
Un ricorso può essere dichiarato inammissibile, come in questo caso, quando è “manifestamente infondato”, cioè quando i motivi presentati sono palesemente privi di qualsiasi fondamento giuridico e non possono essere accolti.

Cosa valuta la Corte di Cassazione riguardo alla misura della pena decisa da un altro giudice?
La Corte di Cassazione non decide nuovamente nel merito della misura della pena, ma si limita a controllare che la motivazione della sentenza impugnata sia logica, completa e non in contrasto con la legge, in particolare con i criteri stabiliti dall’art. 133 del codice penale.

Quali sono le conseguenze per chi presenta un ricorso inammissibile?
Chi presenta un ricorso dichiarato inammissibile viene condannato al pagamento delle spese processuali e, come stabilito in questa ordinanza, al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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