Omesso versamento IVA: quando il ricorso inammissibile costa caro
L’omesso versamento dell’IVA oltre la soglia di punibilità costituisce un reato tributario con conseguenze significative. Tuttavia, per contestare una condanna, è fondamentale che l’atto di impugnazione sia specifico e ben argomentato. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito questo principio, dichiarando un ricorso inammissibile per la sua genericità e condannando il ricorrente a pesanti sanzioni accessorie. Questo caso offre spunti cruciali sull’importanza della precisione tecnica nella redazione dei ricorsi e sul valore probatorio degli atti dell’Agenzia delle Entrate.
Il caso: una condanna per mancato pagamento dell’IVA
Un contribuente era stato condannato per il reato previsto dall’art. 10-ter del D.Lgs. 74/2000, per non aver versato l’IVA dovuta sulla base della dichiarazione annuale. Contro la sentenza della Corte d’Appello, che confermava la sua responsabilità, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, basando la sua difesa su due principali argomenti: la presunta vaghezza della contestazione e la mancanza di prove sufficienti a dimostrare il superamento della soglia di punibilità.
I motivi del ricorso: un’impugnazione troppo generica
Il ricorrente lamentava, in primo luogo, un difetto di correlazione tra l’accusa formulata e la sentenza di condanna, con particolare riferimento all’ammontare dell’imposta evasa. In secondo luogo, sosteneva che la condanna si basasse unicamente su una comunicazione dell’Agenzia delle Entrate, ritenuta un atto schematico e privo di adeguato supporto documentale che attestasse in modo univoco l’IVA dovuta.
La Corte di Cassazione, tuttavia, ha respinto completamente queste argomentazioni, etichettando il ricorso come “proposto in via del tutto generica”. L’atto difensivo, secondo i giudici, mancava di riferimenti puntuali alla documentazione processuale e non specificava quali atti fossero stati esaminati in modo errato dai giudici di merito. L’affermazione sulla presunta illogicità della motivazione della sentenza d’appello è stata giudicata meramente asserita e non dimostrata.
La decisione della Corte sul ricorso inammissibile
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la solidità della decisione impugnata. I giudici hanno sottolineato come la motivazione della sentenza di secondo grado fosse pienamente coerente e logica.
La prova del superamento della soglia di punibilità
Un punto centrale della decisione riguarda la prova dell’illecito. La Corte ha stabilito che la nota dell’Agenzia delle Entrate, datata 6 settembre 2021, costituiva un elemento di prova sufficiente. Tale documento, infatti, non era una semplice notizia di reato, ma attestava la corrispondenza tra l’IVA non versata e quella indicata nella dichiarazione presentata dallo stesso contribuente. Questa corrispondenza rendeva certa sia l’esistenza del debito tributario sia il superamento della soglia di rilevanza penale.
Le conseguenze economiche dell’inammissibilità
Richiamando una storica sentenza della Corte Costituzionale (n. 86/2000), la Cassazione ha evidenziato che non sussistevano elementi per ritenere che il ricorrente avesse agito “senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”. Di conseguenza, in applicazione dell’art. 616 del codice di procedura penale, ha condannato il ricorrente non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
le motivazioni
La decisione si fonda sul principio consolidato secondo cui i motivi di ricorso per cassazione devono essere specifici e non possono limitarsi a una generica critica della sentenza impugnata. Il ricorrente ha l’onere di indicare con precisione le parti del provvedimento che contesta e di argomentare in modo dettagliato le ragioni della presunta violazione di legge o del vizio di motivazione. In questo caso, la difesa non ha superato questa soglia di specificità. Inoltre, la Corte ribadisce che gli atti formati dall’amministrazione finanziaria, quando attestano fatti risultanti dalle stesse dichiarazioni del contribuente, possiedono una piena valenza probatoria nel processo penale tributario. L’onere della prova contraria, ovvero dimostrare l’erroneità di tali dati, ricade sull’imputato.
le conclusioni
Questa ordinanza rappresenta un monito importante per i contribuenti e i loro difensori. Proporre un ricorso per cassazione senza motivi solidi, specifici e documentati non solo è inutile ai fini dell’annullamento della condanna, ma può anche comportare significative conseguenze economiche. La condanna al pagamento di una somma alla Cassa delle ammende, infatti, ha una funzione sanzionatoria e dissuasiva, volta a scoraggiare impugnazioni meramente dilatorie o infondate. La strategia difensiva deve quindi essere attentamente ponderata, basandosi su critiche precise alla sentenza e non su generiche lamentele.
Perché il ricorso del contribuente è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché proposto in via del tutto generica, senza riferimenti puntuali alla documentazione processuale e senza argomentare in modo sufficientemente chiaro e specifico le critiche mosse alla sentenza impugnata, come la presunta vaghezza dell’accusa o l’illogicità della motivazione.
La sola comunicazione dell’Agenzia delle Entrate è sufficiente a provare l’omesso versamento IVA oltre la soglia?
Sì, secondo la Corte, la nota dell’Agenzia delle Entrate è stata considerata prova sufficiente perché attestava la corrispondenza tra l’IVA non versata e quella indicata nella dichiarazione presentata dallo stesso contribuente, identificando così in modo corretto il superamento della soglia di punibilità.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità comporta, ai sensi dell’art. 616 del codice di procedura penale, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, se non vi è prova di assenza di colpa nel determinare la causa di inammissibilità, anche al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, in questo caso fissata a 3.000,00 euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 2301 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 2301 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 27/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a NAPOLI il 06/01/1965
avverso la sentenza del 22/03/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che COGNOME NOME – condannato per il reato di cui all’art. 10-ter del d.lgs. n. 74 del 2000 – ha proposto ricorso per cassazione, lamentando, con un unico motivo di doglianza, sia la vaghezza della contestazione contenuta nel decreto che dispone il giudizio e il difetto di correlazione tra il fatto contestato e sentenza, con riferimento all’ammontare dell’Iva, sia l’omessa motivazione in ordine alla soglia di punibilità, essendovi come unica prova dell’ammontare dell’imposta una schematica comunicazione di notizia di reato dell’Agenzia delle entrate, e mancando un riferimento documentale sufficientemente univoco all’Iva dovuta nell’ultimo trimestre;
che la doglianza è inammissibile perché proposta in via del tutto generica, senza puntuali riferimenti né alla documentazione il cui esame sarebbe stato premesso o scorrettamente effettuato né, più in generale, alla motivazione della sentenza impugnata, la cui illogicità è meramente asserita;
che, in particolare, risulta priva di argomentazioni sufficientemente chiare l’affermazione difensiva circa la vaghezza del capo di imputazione e la non corrispondenza fra chiesto e pronunciato;
che, in ogni caso, la motivazione della sentenza risulta pienamente coerente quanto alla prova del fatto e del superamento della soglia di punibilità, che è stata correttamente identificata nella nota dell’Agenzia delle entrate del 6 settembre 2021, che dà atto della corrispondenza fra l’Iva non versata e quella indicata in dichiarazione dallo stesso contribuente;
che, tenuto conto della sentenza del 13 giugno 2000, n. 86, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 27 settembre Zailgé 2024.