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Ricorso inammissibile per motivi generici: il caso

La Corte di Cassazione ha dichiarato un ricorso inammissibile per motivi generici avverso una condanna per detenzione di stupefacenti. L’ordinanza sottolinea come i motivi di appello fossero vaghi e ripetitivi, non riuscendo a contestare efficacemente le solide argomentazioni della Corte d’Appello sulla finalità di spaccio e su altre questioni legali. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 12 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile per Motivi Generici: Analisi di un’Ordinanza della Cassazione

Quando si impugna una sentenza, specialmente davanti alla Corte di Cassazione, non è sufficiente dissentire dalla decisione. È fondamentale articolare critiche precise, puntuali e giuridicamente fondate. Un recente provvedimento della Suprema Corte ci offre un chiaro esempio di come un ricorso inammissibile per motivi generici sia destinato al fallimento, comportando ulteriori conseguenze negative per l’imputato. L’ordinanza in esame riguarda un caso di detenzione di sostanze stupefacenti e illustra l’importanza della specificità dei motivi di ricorso nel processo penale.

I Fatti del Caso

Un individuo, condannato dalla Corte di Appello di Bari per detenzione di stupefacenti, ha proposto ricorso per Cassazione affidandosi a quattro distinti motivi. La difesa contestava la responsabilità penale, sostenendo che la detenzione non fosse finalizzata allo spaccio ma al consumo personale. Inoltre, lamentava il mancato riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (ex art. 131-bis c.p.), la valutazione delle circostanze aggravanti e attenuanti, e un presunto vizio di motivazione della sentenza di secondo grado.

La Decisione della Corte: un Ricorso Inammissibile per Motivi Generici

La Corte di Cassazione ha esaminato i motivi presentati e li ha respinti in blocco, dichiarando il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su un principio cardine del giudizio di legittimità: i motivi di ricorso non possono essere una mera riproposizione delle difese già svolte o una critica generica alla sentenza impugnata, ma devono individuare con precisione il vizio logico o giuridico che la inficia.

Primo Motivo: La Finalità di Spaccio

La Corte ha ritenuto ‘aspecifico’ il motivo relativo all’assenza di finalità di spaccio. La sentenza della Corte di Appello, infatti, aveva fornito una motivazione congrua e logica, basata su elementi fattuali inequivocabili: il dato ponderale della sostanza, la sua suddivisione in dosi e il luogo del ritrovamento (in parte sulla persona dell’imputato e in parte all’interno di un circolo ricreativo). Secondo i giudici, tali elementi non erano compatibili con una destinazione al solo uso personale.

Secondo e Terzo Motivo: Tenuità del Fatto e Circostanze

Anche i motivi relativi all’art. 131-bis c.p. e alla comparazione delle circostanze sono stati giudicati ‘generici’. La difesa non aveva specificato le ragioni concrete per cui il fatto avrebbe dovuto essere considerato di speciale tenuità, né aveva mosso critiche pertinenti al giudizio di bilanciamento delle circostanze già adeguatamente motivato dalla Corte territoriale.

Quarto Motivo: Vizio di Motivazione

Infine, la Cassazione ha escluso qualsiasi vizio di motivazione, riconoscendo che la sentenza impugnata era dotata di un ‘apparato logico argomentativo che non ammette censura’. In altre parole, il ragionamento dei giudici d’appello era coerente, completo e immune da vizi rilevabili in sede di legittimità.

Le Motivazioni

La motivazione centrale dell’ordinanza risiede nella natura stessa del giudizio di Cassazione. La Suprema Corte non è un terzo grado di merito, ma un giudice di legittimità. Il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione delle sentenze, non riesaminare i fatti. Un ricorso, per essere ammissibile, deve confrontarsi specificamente con la ratio decidendi della sentenza che intende criticare, evidenziandone le fallacie. Un ricorso inammissibile per motivi generici è tale proprio perché non supera questa soglia di specificità: si limita a manifestare un dissenso, senza demolire l’impianto argomentativo della decisione precedente. Nel caso di specie, la difesa ha fallito nel suo intento, presentando censure che non scalfivano la solida motivazione della Corte di Appello.

Le Conclusioni

La dichiarazione di inammissibilità ha avuto due conseguenze dirette per il ricorrente: la condanna al pagamento delle spese processuali e il versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende. Questa ordinanza ribadisce un insegnamento fondamentale per gli operatori del diritto: la redazione di un ricorso per Cassazione richiede il massimo rigore tecnico e argomentativo. Le critiche devono essere mirate e capaci di incrinare la struttura logico-giuridica della sentenza impugnata. In caso contrario, il risultato non sarà solo la conferma della condanna, ma anche un aggravio di spese per il proprio assistito.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi presentati dalla difesa erano ‘aspecifici’ e ‘generici’, ovvero non contestavano in modo puntuale e argomentato le ragioni della sentenza della Corte d’Appello, ma si limitavano a riproporre le stesse tesi difensive in modo vago.

Quali elementi indicavano la finalità di spaccio secondo i giudici?
I giudici hanno basato la loro convinzione sulla finalità di spaccio su tre elementi principali: la quantità complessiva della sostanza stupefacente (dato ponderale), la sua suddivisione in singole dosi e il fatto che fosse stata trovata in parte addosso all’imputato e in parte all’interno di un circolo ricreativo.

Quali sono le conseguenze economiche di un ricorso inammissibile?
Quando un ricorso penale viene dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata in tremila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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