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Ricorso inammissibile per motivi di fatto in Cassazione

La Corte di Cassazione dichiara un ricorso inammissibile presentato da un imputato condannato per detenzione di sostanze stupefacenti. La Corte ha stabilito che i motivi del ricorso erano mere contestazioni sui fatti, già correttamente valutati nei gradi di merito, e non vizi di legittimità. Di conseguenza, il ricorso è stato respinto e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 17 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso inammissibile in Cassazione: quando i motivi di fatto non sono ammessi

Il ricorso alla Corte di Cassazione rappresenta l’ultimo grado di giudizio nel nostro ordinamento, ma il suo accesso è soggetto a regole precise. Non tutte le doglianze possono essere portate all’attenzione della Suprema Corte. Una recente ordinanza chiarisce nuovamente i confini del giudizio di legittimità, confermando che le contestazioni sulla ricostruzione dei fatti, se non configurano un palese vizio logico o un travisamento della prova, rendono il ricorso inammissibile. Questo principio è fondamentale per comprendere la funzione della Cassazione e i limiti delle strategie difensive.

I Fatti del Processo: Droga in Auto e in Casa

Il caso trae origine da una condanna emessa dalla Corte d’Appello nei confronti di un uomo per detenzione di sostanze stupefacenti. Durante un controllo, all’interno dell’automobile dell’imputato era stata rinvenuta una quantità di cocaina. Successivamente, una perquisizione presso la sua abitazione aveva portato alla scoperta di hashish.

La difesa dell’imputato aveva sostenuto, sia nei gradi di merito che in Cassazione, che la detenzione delle sostanze fosse finalizzata all’uso personale e non allo spaccio. Inoltre, veniva contestata l’attribuzione della cocaina trovata in auto, sostenendo che non vi fossero prove sufficienti per collegarla direttamente all’imputato. Per la detenzione di hashish, la difesa invocava l’applicazione della fattispecie di lieve entità prevista dall’art. 73, comma 5, del Testo Unico Stupefacenti.

La Decisione della Corte e il ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione ha rigettato completamente le argomentazioni difensive, dichiarando il ricorso inammissibile. Gli Ermellini hanno evidenziato come i motivi presentati non fossero altro che una riproposizione delle stesse censure già esaminate e respinte, con motivazioni logiche e giuridicamente corrette, dalla Corte d’Appello.

In particolare, i giudici hanno sottolineato che le doglianze del ricorrente si concentravano su una diversa valutazione dei fatti e delle prove. Questo tipo di critica, tuttavia, non è consentito in sede di legittimità. La Cassazione non è un “terzo grado di giudizio” dove si può riesaminare il merito della vicenda, ma un organo che vigila sulla corretta applicazione della legge e sulla logicità della motivazione delle sentenze impugnate.

Le Motivazioni della Corte

La Corte ha spiegato che, per rendere un ricorso inammissibile, è sufficiente che i motivi siano generici, riproduttivi di censure già respinte o che si risolvano in una critica alla valutazione delle prove fatta dal giudice di merito. Nel caso specifico:

1. Mancanza di travisamento della prova: La difesa non ha dimostrato un “travisamento probatorio”, ovvero un errore palese e decisivo nella lettura delle prove. Ha semplicemente proposto una lettura alternativa dei fatti, che è irrilevante in Cassazione.
2. Logicità della sentenza impugnata: Le conclusioni dei giudici di merito sull’attribuibilità della cocaina all’imputato e sulla finalità di spaccio (e non di uso personale) di entrambe le sostanze sono state ritenute coerenti, logiche e basate sulle emergenze processuali.
3. Corretta esclusione della lieve entità: Anche la decisione di non applicare l’ipotesi del fatto di lieve entità (art. 73, comma 5, TUS) è stata considerata il risultato di un giudizio valutativo ben argomentato e, pertanto, non sindacabile in sede di legittimità.

Conclusioni: Limiti del Ricorso e Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza ribadisce un principio cardine del nostro sistema processuale: il ricorso in Cassazione deve basarsi su vizi di legge o su vizi logici manifesti della motivazione, non sulla speranza di ottenere una nuova e più favorevole valutazione dei fatti. Tentare di trasformare la Suprema Corte in un giudice di merito porta inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità.

Le conseguenze pratiche sono severe: oltre alla conferma della condanna, il ricorrente è stato condannato, ai sensi dell’art. 616 del codice di procedura penale, al pagamento delle spese del procedimento e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. Questa decisione serve da monito sull’importanza di formulare ricorsi che rispettino rigorosamente i limiti del giudizio di legittimità.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile perché i motivi presentati erano essenzialmente contestazioni sulla ricostruzione dei fatti e sulla valutazione delle prove, argomenti già esaminati e respinti logicamente dai giudici di merito. Tali motivi non sono consentiti nel giudizio di legittimità.

Cosa significa che i motivi del ricorso erano ‘riproduttivi’?
Significa che il ricorrente ha riproposto alla Corte di Cassazione le stesse argomentazioni e critiche già presentate e valutate dalla Corte d’Appello, senza introdurre specifici vizi di legittimità (come violazioni di legge o palesi illogicità della motivazione) che potessero essere esaminati dalla Suprema Corte.

Quali sono le conseguenze economiche di un ricorso inammissibile?
Come stabilito nell’ordinanza in base all’art. 616 del codice di procedura penale, la dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, in questo caso fissata in 3.000 euro, da versare alla Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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