Ricorso Inammissibile per Minacce a Pubblico Ufficiale: Quando la Critica Diventa Reato
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha affrontato un caso di minacce a pubblico ufficiale, delineando con chiarezza il confine tra la legittima critica e la condotta penalmente rilevante. Questa decisione ribadisce principi fondamentali sulla specificità dei motivi di ricorso e sulla valutazione della serietà delle intimidazioni rivolte alle forze dell’ordine nell’esercizio delle loro funzioni.
I Fatti del Processo e le Censure dell’Appellante
Il ricorrente si era opposto a una sentenza della Corte d’Appello di Milano che lo aveva condannato per i reati di resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale, previsti dagli articoli 337 e 341 bis del codice penale. La difesa sosteneva che gli elementi costitutivi dei reati non fossero presenti e lamentava la mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche. Secondo la tesi difensiva, le espressioni utilizzate dall’imputato non erano altro che una manifestazione reattiva di sentimenti ostili, una sorta di critica accesa, e non vere e proprie minacce.
La Valutazione del Ricorso e le minacce a pubblico ufficiale
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per due ragioni principali: genericità e manifesta infondatezza. Gli Ermellini hanno osservato come la difesa si fosse limitata a riproporre le stesse censure già formulate in appello, senza confrontarsi criticamente con la motivazione congrua e dettagliata con cui la Corte territoriale le aveva respinte. Questo approccio rende il ricorso un semplice atto di dissenso, privo della specificità richiesta per un vaglio di legittimità.
Le motivazioni
Nel merito, la Cassazione ha avvalorato pienamente la ricostruzione dei giudici d’appello. Le parole rivolte ai militari non erano una semplice espressione di ostilità, ma costituivano vere e proprie minacce. La loro serietà e capacità intimidatoria derivava da specifici riferimenti a eventi concreti che l’agente avrebbe potuto scatenare. Queste frasi erano finalisticamente dirette a condizionare e turbare i pubblici ufficiali durante lo svolgimento del loro servizio, superando di gran lunga i limiti della critica, anche se aspra.
Inoltre, la Corte ha confermato la correttezza della decisione di non concedere le circostanze attenuanti generiche. Tale scelta, spiegano i giudici, era saldamente ancorata ai precedenti penali dell’imputato, un fattore che il giudice di merito ha legittimamente considerato per escludere un trattamento sanzionatorio più mite.
Le conclusioni
L’ordinanza ha importanti implicazioni pratiche. In primo luogo, sottolinea che un ricorso per cassazione deve essere specifico e non può limitarsi a una sterile ripetizione delle argomentazioni già respinte nei gradi di merito. In secondo luogo, traccia una linea netta: la critica all’operato dei pubblici ufficiali è legittima, ma quando si trasforma in intimidazioni serie, finalizzate a ostacolare il loro servizio, si configura il reato di minacce a pubblico ufficiale. Infine, la decisione ribadisce che la presenza di precedenti penali è un elemento determinante nella valutazione discrezionale del giudice sulla concessione delle attenuanti generiche. Il ricorrente è stato quindi condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché generico, manifestamente infondato e reiterativo di censure già respinte dalla Corte d’Appello, senza un confronto critico con la motivazione della sentenza impugnata.
Come ha fatto la Corte a distinguere le frasi dell’imputato da una semplice critica?
La Corte ha stabilito che non si trattava di critica, ma di vere e proprie minacce, poiché erano serie, avevano capacità intimidatoria, facevano riferimento a concrete evenienze riconducibili all’iniziativa dell’imputato e miravano a condizionare e turbare i militari nell’esercizio delle loro funzioni.
Per quale motivo non sono state concesse le circostanze attenuanti generiche?
La mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche è stata motivata dalla presenza di precedenti penali a carico dell’imputato, elemento che ha giustificato una valutazione di maggiore severità da parte del giudice.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 4035 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 4035 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 25/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a AGROPOLI il 14/08/1982
avverso la sentenza del 18/04/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; ,
visti gli atti e la sentenza impugnata; esaminati i motivi di ricorso.
Il ricorso è inammissibile per genericità e manifesta infondatezza dei motivi, reiterativi di censure formulate in appello (insussistenza degli elementi costitutivi dei reati di cui agli artt. 337 e 341 bis cod. pen., nonché omessa applicazione delle circostanze attenuanti generiche), disattese con motivazione congrua con la quale il ricorso non si confronta, limitandosi la difesa a ribadire il proprio dissenso (cfr. pag. 2 e 3 della sentenza impugnata).
Il ricorrente propone una lettura alternativa ed estremamente riduttiva del fatto, già respinta in sentenza, laddove i giudici hanno precisato che non di mera reattiva espressione di sentimenti ostili si era trattato, ma di vere e proprie minacce, la cui serietà e capacità intimidatoria derivava dai riferimenti dell’agente a concrete evenienze riconducibili alla sua iniziativa e finalisticamente dirette a condizionare e idonee turbare i militari nell’esercizio delle proprie funzioni, avuto riguardo al contesto e all’attività in corso.
Del pari, la sentenza impugnata si è soffermata sul contenuto delle frasi proferite da Gaeta ed evidenziato le ragioni per le quali le stesse non possono considerarsi espressione di una critica accesa nei confronti dei pubblici ufficiali.
Infine, la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche è saldamente ancorata ai precedenti penali dell’imputato.
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 25/10/2024.