Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 31802 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 31802 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 30/05/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da COGNOME NOME, nato a Palermo il DATA_NASCITA; COGNOME NOME, nato a Napoli il DATA_NASCITA; COGNOME NOME, nato a Palermo il DATA_NASCITA; avverso la sentenza del 20/07/2023 della Corte di appello di Palermo; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona Sostituto Procuratore generale AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo che i ricorsi siano dichiarati inammissibili.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 14 aprile 2022, resa all’esito del giudizio abbreviato, il Gup del Tribunale di Palermo ha condannato COGNOME NOME alla pena di anni 9 e mesi 4 di reclusione ed C 40.000,00 di multa, con l’aggravante della recidiva reiterata infraquinquennale, COGNOME NOME alla pena di anni 7, mesi 4 e giorni 26
di reclusione ed € 3.111,00 di multa, con l’aggravante della recidiva reiterata e specifica, e COGNOME NOME alla pena di anni 2 ed € 5.200,00 di multa, per i seguenti reati, unificati sotto il vincolo della continuazione ai sensi dell’art. 81 cod. pen.
2) COGNOME NOME, per il delitto previsto dagli artt. 110 cod. pen., 73, commi 1 e 4, e 80, comma 2, del d.P.R. n. 309 del 1990, perché, senza l’autorizzazione di cui all’art. 17 e fuori dall’ipotesi prevista dall’art. 75, in concorso con deteneva circa 34 kg di sostanza stupefacente del tipo hashish, circa 200 grammi di cocaina, 3 grammi di marijuana, nonché una bottiglia contenente metadone;
3) COGNOME NOME, per il reato di cui agli artt. 110 cod. pen., 73, commi 1 e 4, e 80, comma 2, del d.P.R. n. 309 del 1990, per avere, senza l’autorizzazione di cui all’art. 17 e fuori dall’ipotesi prevista dall’art. 75, in concorso con a trasportato dalla Campania in Sicilia complessivi 89,9 kg di hashish;
7) COGNOME NOME, per i delitti ex artt. 110 cod. pen., 73, commi 1 e 4, del d.P.R. n. 309 del 1990, perché, senza l’autorizzazione di cui all’art. 17 e fuori dall’ipotesi prevista dall’art. 75, in concorso con altri, tra cui lo COGNOME, provvede da Napoli alla spedizione, tramite corriere, del plico contenente 8 chili di sostanza stupefacente del tipo hashish;
8) COGNOME NOME, per il reato previsto dagli artt. 110 e 453 cod. pen. perché, in concorso con altri, tra cui lo COGNOME, trasportava e deteneva contante falsificato pari ad € 19.000,00, provvedendo, in particolare, da Napoli, alla spedizione, tramite corriere, del plico contenente il denaro;
10) COGNOME, per il delitto di cui agli artt. 81 cod. pen. e 73, commi 1 e 4, del d.P.R., n. 309 del 1990, perché, senza l’autorizzazione di cui all’art. 17 e fuori dall’ipotesi prevista dall’art. 75, cedeva a più acquirenti quantità imprecisat di sostanze stupefacenti del tipo cocaina e hashish.
Visti gli artt. 29 e 32 cod. pen., inoltre, la sentenza di primo grado condannava COGNOME NOME e COGNOME NOME alle pene accessorie dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici e, durante la pendenza della pena, dell’interdizione legale, disponendo altresì la confisca, prevista dagli artt. 240 cod. pen. e 73, comma 7, del d.P.R. n. 309 del 1990, e la distruzione dello stupefacente, delle autovetture e degli altri beni in sequestro.
Con la medesima sentenza, il Gup del Tribunale di Palermo ha assolto, perché il fatto non sussiste, COGNOME NOME dai delitti di cui ai capi 1) e 9) dell’imputazion COGNOME NOME da quelli sub capi 1), 6) e 9) e COGNOME NOME da quelli di cui ai capi 1) e 6).
La Corte di appello di Palermo, con sentenza del 20 luglio 2023, ha parzialmente riformato il provvedimento di primo grado, riqualificando i fatti ascritti a COGNOME quale ipotesi ex art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990, concedendogli il beneficio della non menzione, subordinatamente
all’espletamento di attività non retribuita in favore della collettività, ed irroga le seguenti pene: COGNOME NOME, mesi 6 di reclusione ed € 1.200,00 di multa; COGNOME NOME, anni 6, mesi 10 ed € 22.000,00 di multa. La sentenza di appello ha confermato nel resto la sentenza impugnata e ha condannato COGNOMENOME al pagamento delle spese processuali.
Avverso la sentenza, COGNOME NOME, tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. Con un primo motivo di doglianza, si lamentano la violazione degli artt. 192, commi 1 e 2, 546, comma 1, lettera e), 530 e 533 cod. proc. pen. e 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, e il connesso vizio di motivazione, relativamente alla contestazione di reato mossa al capo 2) dell’imputazione.
Nello specifico, la motivazione resa dalla Corte territoriale sarebbe illogica laddove, statuendo che spetti all’imputato allegare elementi fattuali, concreti e oggettivi, contrari alle risultanze giustapposte dalla pubblica accusa, intenderebbe sostenere un’illegittima inversione dell’onere della prova; sarebbe altresì carente, avendo omesso di confrontarsi con le doglianze difensive prospettate nell’atto di appello e, dunque, con la spiegazione alternativa comunque fornita dalla difesa a fronte della prospettazione accusatoria.
2.2. Con un secondo motivo di ricorso, si denunciano la violazione degli artt. 192, commi 1 e 2, 546, comma 1, lettera e) , 530 e 533 cod. proc. pen. e 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, ed il connesso vizio di motivazione, relativamente alla contestazione di reato mossa al capo 3) dell’imputazione. Secondo la prospettazione difensiva, la Corte di appello avrebbe erroneamente fondato il proprio convincimento in ordine alla penale responsabilità dell’odierno ricorrente su indizi che, ancorché concordanti, non sarebbero né gravi né precisi, in quanto derivanti dagli esiti, di per sé neutri, di alcune intercettazioni e sulla vicinanza de due auto su cui avrebbero viaggiato lo COGNOME e un altro soggetto, per il quale si è proceduto separatamente; tutti elementi che, a parere delle difesa, risulterebbero sforniti di qualsivoglia riscontro effettivo, non essendo stato effettuato alcun sequestro di sostanza stupefacente all’interno dell’autovettura dello COGNOME né eseguita alcuna attività di osservazione e controllo attestante un concreto coinvolgimento del ricorrente in traffici illeciti.
2.3. In terzo luogo, si censurano la violazione degli artt. 546, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., 133 e 99, quarto comma, cod. pen., ed il difetto di motivazione, sul rilievo che – nel confermare la contestata recidiva reiterata sulla base della circostanza che l’imputato abbia perpetrato in più occasioni le medesime condotte delittuose con particolare professionalità e assumendo un ruolo di primario rilievo – la Corte di appello avrebbe mancato di considerare lo scarso
contributo causale concretamente fornito alla commissione dei delitti in contestazione.
2.4. Infine, si deducono la violazione degli artt. 546, comma 1, lettera e), cod. proc. pen. e 62-bis cod. pen., nonché il connesso vizio di motivazione con riguardo alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. A parere del ricorrente, la Corte di appello avrebbe erroneamente pretermesso un idoneo supporto motivazionale a sostegno della mancata concessione delle circostanze di cui all’art. 62-bis cod. pen., omettendo di considerare lo stato di precarietà economica in cui versa l’imputato, la condotta processuale da questi tenuta ed il difficile contesto territoriale, sociale e familiare di provenienza.
3. La sentenza è stata impugnata, mediante il difensore, anche da COGNOME NOME, il quale, con un unico motivo di doglianza, lamenta la violazione di legge, relativamente alla ritenuta sussistenza della recidiva e al diniego delle invocate circostanze attenuanti generiche, per avere la Corte di appello fallacemente apportato l’aumento per la continuazione sulla pena già aggravata dalla recidiva, anziché sulla pena base prevista per il delitto più grave, nonché pretermesso un idoneo supporto motivazionale a sostegno della mancata concessione delle attenuanti. Oggetto della censura è, inoltre, il vizio della motivazione del provvedimento impugnato, avendo i giudici di secondo grado omesso di motivare circa la natura empirica e non scientifica del riconoscimento fotografico effettuato dalla polizia giudiziaria nei confronti dell’odierno ricorrente.
Nel fascicolo risulta presente un secondo ricorso, di identico contenuto, che differisce dal primo per il fatto che, dalla intestazione, esso sembrerebbe redatto dall’AVV_NOTAIO, che tuttavia non risulta essere colui che ha poi sottoscritto il ricorso medesimo, firmato dall’AVV_NOTAIO.
4. Avverso la sentenza, anche COGNOME, tramite difensore, ha proposto ricorso per cassazione, censurando, con un unico motivo di impugnazione, la violazione degli artt. 192, 530 e 546, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., e 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, ed il relativo difetto motivazionale. Secondo la ricostruzione difensiva, la Corte territoriale, valorizzando in malam partem frammenti probatori per lo più a carattere indiziante e circostanze estranee ai fatti di causa, avrebbe erroneamente assegnato valore di prova certa ad un compendio indiziario – costituito esclusivamente da contatti telefonici, oggetto d intercettazione il 5, il 14 ed il 25 gennaio, tra l’odierno imputato e soggetti rimas ignoti, oltre che da brevi e sporadici contatti con lo COGNOME e da una detenzione illecita addebitata al medesimo ricorrente dopo i fatti in contestazione – tanto inconsistente che, condividendo sostanzialmente le argomentazioni spese dalla
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difesa nei motivi di appello, né il Gip del Tribunale di Palermo né il Tribunale del riesame, in fase cautelare, ne avevano riconosciuto l’idoneità a fondare le ipotesi accusatorie.
Né i giudici dell’appello si sarebbero adeguatamente confrontati con le osservazioni difensive secondo le quali le captazioni esaminate avevano ad oggetto contatti meramente interlocutori e preliminari con potenziali acquirenti di stupefacente di natura e quantità imprecisata, rimasti privi di ogni accertamento circa l’effettiva cessione della sostanza drogante. In particolare, osserva il ricorrente che, con riguardo agli episodi del 5 e del 25 gennaio 2020, non si sarebbe opportunamente considerato che, visti il linguaggio non esplicito e la mancanza di una precisa contrattazione di acquisto tra gli interlocutori, dalle conversazioni non sarebbe emersa alcuna evidenza né dell’avvenuta cessione né della disponibilità dello stupefacente in capo al COGNOME né tantomeno della circostanza che l’imputato sarebbe effettivamente arrivato nel luogo in cui si sarebbe trovato l’interlocutore. Con riferimento alla conversazione del 14 gennaio 2020, ritiene il ricorrente che la motivazione del provvedimento impugnato sia carente, e comunque illogica, nella parte in cui avrebbe tratto l’avvenuta cessione dello stupefacente da parte del COGNOME dalla mancanza di spiegazioni alternative della medesima interlocuzione, fornite dall’imputato, oltre che dal fatto che lo stesso sarebbe stato poi trovato, a distanza di mesi, in possesso di stupefacenti; tanto più, alla luce del rigoroso onere motivazionale che la giurisprudenza di legittimità impone al giudice in materia di “droga parlata”, a fronte, cioè, di una vasta mole di intercettazioni senza riscontro.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili, giacché formulati in modo non specifico e diretti ad ottenere una rivalutazione di elementi già presi adeguatamente in considerazione dai giudici di merito, riducendosi ad una mera contestazione delle risultanze emerse dalla motivazione, senza la prospettazione di elementi puntuali, tali da dimostrare un’effettiva carenza motivazionale su punti decisivi del gravame (ex plurimis, Sez. 5, n. 34149 del 11/06/2019, Rv. 276566; Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rv. 276970). A fronte della ricostruzione e della valutazione del Tribunale del riesame, invero, i ricorrenti non offrono la compiuta rappresentazione e dimostrazione di alcuna evidenza (pretermessa ovvero infedelmente rappresentata dal giudicante) di per sé dotata di univoca, oggettiva ed immediata valenza esplicativa, tale, cioè, da disarticolare, a prescindere da ogni soggettiva valutazione, il costrutto argomentativo della decisione impugnata, per l’intrinseca incompatibilità degli enunciati, omettendo di confrontarsi realmente
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con le argomentazioni spese in sentenza e prospettando, in ogni caso, argomentazioni del tutto generiche.
1.1. A questo proposito, deve ricordarsi, in punto di diritto, che la genericità del ricorso sussiste non solo quando i motivi risultino intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (ex multis, Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Rv. 277710). In particolare, i motivi del ricorso per cassazione – che non possono risolversi nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti e disattesi nel precedente grado di giudizio – si devono considerare non specifici, ma soltanto apparenti, quando omettono di indicare, in modo chiaro e preciso, gli elementi fondanti le censure medesime, al fine di consentire al giudice di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato, mancando di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso il provvedimento oggetto di ricorso (ex plurimis, Sez. 2, n. 21432 del 15/03/2023, Rv. 284718; Sez. 6, n. 17372 del 08/04/2021, Rv. 281112); sicché è inammissibile il ricorso per cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto di impugnazione, atteso che quest’ultimo non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato. Inoltre, va ricordato che, alla Corte di cassazione, sono precluse sia la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, che l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice di merito (ex multis, Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482)
Ciò premesso, il ricorso di COGNOME NOME deve essere dichiarato inammissibile.
2.1. Il primo motivo di ricorso, con il quale si lamentano la violazione degli artt. 192, commi 1 e 2, 546, comma 1, lettera e), 530 e 533 cod. proc. pen. e 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, ed il connesso vizio di motivazione, relativamente alla contestazione di reato mossa al capo 2) dell’imputazione, è inammissibile per genericità.
La prospettazione difensiva si risolve in critiche di carattere generale, prive di puntuali riferimenti sia agli atti di causa che alla motivazione della sentenza impugnata. A ciò si aggiunga che, nel giudizio di legittimità, il sindacato sulla correttezza della valutazione probatoria non può consistere in una diversa valutazione dei dati probatori, ma deve limitarsi alla verifica della coerenza logico-
giuridica della decisione, analizzando la sufficiente logicità dei dati probatori d responsabilità evidenziati nella decisione oggetto di ricorso.
Ebbene, nel caso di specie, a fronte di generici rilievi difensivi di tip strettamente valutativo e congetturale, diretti a negare la consistenza probatoria delle risultanze indiziarie – senza che il ricorrente fornisca effettivi elemen dirimenti – la sentenza della Corte di appello (pagg. 5-7) offre un’autonoma valutazione in ordine alla responsabilità penale dell’imputato relativamente al reato di cui al capo 2) dell’imputazione, valorizzando correttamente la sussistenza di un quadro probatorio univoco, giacché fondato sul sequestro – successivo alla perquisizione di due veicoli, fermi in un parcheggio privato e lì condotti dallo COGNOME – di consistenti quantità di sostanza stupefacente del tipo hashish, cocaina, marijuana e metadone, nonché sulla fitta trama di incontri e di rapporti intrattenuti dal ricorrente con i proprietari dei due veicoli.
Si precisa, inoltre, che il provvedimento gravato non ha operato alcuna indebita inversione della prova, giacché – come correttamente rilevato dal giudice dell’appello – nell’ordinamento processuale penale non è previsto un onere probatorio a carico dell’imputato, ma è pur sempre prospettabile un onere di allegazione, in virtù del quale egli è tenuto a fornire le indicazioni e gli element necessari all’accertamento di fatti e circostanze ignoti che siano idonei, ove riscontrati, a volgere il giudizio in suo favore (ex plurimis, Sez. 2, n. 6734 del 30/01/2020, Rv. 278373; Sez. 2, n. 40529 del 17/09/2019; Sez. 4, n. 12099 del 12/12/2018, dep. 2019, Rv. 275284; Sez. 5, n. 32937 del 19/05/2014, Rv. 261657; Sez. 2, n. 20171 del 07/02/2013, Rv. 255916).
2.2. Analoghe considerazioni devono svolgersi con riferimento al secondo motivo di censura, relativo al capo 3) dell’imputazione. Esso costituisce la mera riproposizione di una doglianza, del tutto generica, già proposta con l’atto di appello e riconosciuta tale dai giudici di merito, per difetto di specificità estrinseca
Come già nell’atto di appello, così anche nel ricorso per cassazione, la difesa manca dunque di prendere in considerazione, anche a fini di critica, le argomentazioni svolte dalla sentenza di primo grado – con cui quella impugnata si salda sul piano argomentativo quanto all’accertamento della responsabilità penale dell’imputato – la quale (pagg. 23-36) ha correttamente valorizzato gli elementi emergenti dal consistente quadro probatorio.
2.3. Il terzo motivo di impugnazione, riferito alla recidiva, è anch’esso inammissibile, in quanto generico e diretto ad ottenere valutazioni estranee al sindacato di legittimità.
Sul punto, occorre rilevare come la Corte territoriale abbia logicamente motivato in ordine alla valutazione della capacità a delinquere del ricorrente, rilevando come l’imputato fosse già stato dichiarato recidivo reiterato con sentenza
divenuta irrevocabile in data 11 dicembre 2019, giacché gravato da tre precedenti, tutti per delitti di furto, i quali – se certamente non rilevano ai fini della re specifica che, non a caso, la Corte di appello correttamente ha escluso – sono stati tuttavia propriamente valorizzati dai giudici di merito come sintomatici della maggiore capacità delinquenziale dell’imputato, il quale, nonostante le predette precedenti condanne, ha «reiterato in più occasioni condotte delittuose con particolare professionalità, assumendo un ruolo di primario rilievo nella gestione delle forniture di stupefacenti dalla Campania» ed organizzandone il trasporto a Palermo, così dimostrando una pericolosità sociale certamente crescente.
2.4. Anche l’ultimo motivo di doglianza, con cui si deducono la violazione degli artt. 546, comma 1, lettera e), cod. proc. pen. e 62-bis cod. pen., nonché il connesso vizio di motivazione, deve, infine, dichiararsi inammissibile per genericità, in quanto afferente al trattamento punitivo, che, contrariamente a quanto prospettato dalla difesa, appare sorretto da logica motivazione ed adeguato esame delle deduzioni difensive di appello.
2.4.1. La decisione del giudice di secondo grado, infatti, ben rappresenta e giustifica le ragioni per va negato il riconoscimento del beneficio ex art. 62 -bis cod. pen. all’imputato, esprimendo una motivazione priva di vizi logici e coerente con le emergenze processuali, in quanto tale insindacabile in sede di legittimità (Sez. 3, n. 1913 del 20/12/2018, Rv. .275509-03; Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Rv. 242419). La sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell’art. 62-bis cod. pen., del resto, è oggetto di un giudizio di fatto e pu essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, di talché la stessa motivazione, purché congrua e non contraddittoria, non può essere sindacata in Cassazione, neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (ex multis, Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Rv. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Rv. 248244).
2.4.2. Ebbene, nel caso di specie, i giudici di merito hanno compiutamente motivato il diniego delle invocate circostanze, evidenziando che la particolare gravità dei fatti e la concreta capacità a delinquere dell’imputato non rendono possibile alcuna riduzione della pena, escludendo altresì la sussistenza di ulteriori ragioni giustificative, non potendosi ritenere tali, nella specie, ‘né l’asser precarietà economica, né il difficile contesto territoriale, sociale e familiare provenienza, né, infine, il corretto comportamento processuale tenuto dall’imputato, trattandosi di deduzioni troppo generiche per inficiare il percorso logico della decisione.
3. Il motivo di ricorso di COGNOME NOME – relativo alla ritenuta sussistenza della recidiva ed al diniego delle invocate circostanze attenuanti generiche, oltre che al riconoscimento fotografico effettuato dalla polizia giudiziaria – è inammissibile, poiché formulato in modo non specifico e, altresì, diretto a sollecitare una rivalutazione di merito preclusa in sede di legittimità, sulla base di un’alternativa “rilettura” del quadro probatorio, già adeguatamente valutato dai giudici di merito a pag. 16 del provvedimento gravato, con coerenti e conformi argomentazioni, laddove si afferma la nitidezza delle immagini ritraenti l’imputato, anche in termini di capigliatura e tratti del viso, tanto da consentirne i riconoscimento da parte degli operanti della polizia giudiziaria.
Quanto, invece, alla censura concernente il diniego delle attenuanti generiche, è sufficiente rilevare che il difensore fa esclusivamente riferimento a un «diniego assolutamente incongruente ed illogico e privo di argomentazioni giuridiche», senza aggiungere alcunché quanto ad elementi positivi di giudizio che sarebbero stati pretermessi o scorrettamente valutati dalla Corte territoriale.
A ciò si aggiunga che la Corte di appello ha correttamente operato il calcolo della pena atteso che, in tema di continuazione tra reati commèssi da soggetti cui sia stata applicata la recidiva di cui all’art. 99, comma quarto, cod. pen., è principio consolidato quello secondo cui l’aumento di cui all’art. 81, comma quarto, cod. pen., deve essere applicato sulla pena già aumentata per effetto della recidiva stessa (Sez. 4, n. 21043 del 22/03/2018, Rv. 272745; Sez. 5, n. 51607 del 19/09/2017, Rv. 271624; Sez. 2, n. 49488 del 14/11/2014, Rv. 261055). Né il ricorrente ha formulato specifiche argomentazioni critiche quanto al riconoscimento della recidiva.
4. Anche il ricorso di COGNOME NOME – con il quale, con un unico motivo di censura, si denunciano la violazione degli artt. 192, 530 e 546, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., e 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, ed il relativo difetto motivazionale – è inammissibile, perché orientato a sollecitare una diversa lettura delle risultanze probatorie concretamente restituite dagli atti di indagine ed univoche nel senso dell’effettiva integrazione del fatto di reato di cui al capo 10) dell’imputazione, come tale preclusa al sindacato di legittimità.
4.1. Va ricordato che, in materia di intercettazioni, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità, se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione (ex plurimis, Sez.3, n. 44938 del 05/10/21, Rv. 282337; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, Rv. 268389; Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Rv. 263715; Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, Rv.
257784). A ciò si aggiunga che, nell’attribuire significato ai contenuti delle intercettazioni, siano esse conversazioni telefoniche, ovvero sms, il giudice del merito deve dare mostra dei criteri adottati per attribuire un significato piuttosto che un altro. Tale iter argomentativo è certamente censurabile in cassazione, ma soltanto ove si ponga al di fuori delle regole della logica e della comune esperienza, mentre è possibile prospettare una interpretazione del significato di una intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale, e la difformità risulti decisiva ed incontestabile (Sez. 5, n.1532 del 09/09/2020). Con specifico riferimento all’interpretazione delle risultanze delle intercettazioni delle conversazioni ambientali e telefoniche, inoltre, il giudice di merito è libero di ritenere c l’espressione adoperata assuma, nel contesto della conversazione, un significato criptico, specie allorché non abbia alcun senso logico nel contesto espressivo in cui è utilizzata ovvero quando emerge, dalla valutazione di tutto il complesso probatorio, che l’uso di un determinato termine indica altro, anche tenuto conto del contesto ambientale in cui la conversazione avviene (Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, Rv. 267650).
4.2. Ebbene, nel caso di specie, la difesa non fornisce, neanche in via di mera prospettazione, elementi tali da scardinare la tenuta logica del provvedimento impugnato; mentre la valutazione operata dal giudice di secondo grado nel provvedimento gravato, che ha fatto buon governo dei summenzionati principi di diritto, risulta adeguata e coerente perché frutto di un’attenta e puntuale disamina (pagg. 10-16 della sentenza di appello) delle risultanze probatorie e, segnatamente, delle conversazioni captate tra il COGNOME e soggetti rimasti ignoti, nonché dei criptici contatti avuti, in precedenza, con il coimputato COGNOME, dalle quali emergono, con evidenza, plurimi indici sintomatici dell’attività commerciale illecita cui il ricorrente si era avviato, che consentono, dunque, di ritener raggiunta la prova dell’avvenuta consumazione dei reati lui ascritti, oltre ogni ragionevole dubbio. Né alcun rilievo può riconoscersi in questa sede alla circostanza che, in fase cautelare, si fosse esclusa l’idoneità del compendio probatorio a fondare le ipotesi accusatorie, trattandosi di una valutazione limitata a quella fase, che non vincola il giudice di merito.
5. I ricorsi, per tali motivi, devono essere dichiarati inammissibili. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a
norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 3000,00, per ciascuno dei ricorrenti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 30/05/2024.