Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 10939 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 10939 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME NATA A ROMA DATA_NASCITA avverso la sentenza del 23/02/2023 della CORTE DI APPELLO DI BRESCIA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto che il ricorso veng dichiarato inammissibile; udite le conclusioni dei difensori della ricorrente, AVV_NOTAIOti NOME AVV_NOTAIO E NOME COGNOME
NOME, che hanno insistito nei motivi di ricorso, chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Brescia, ha confermato la sentenza del Tribunale di Cremona del 30/11/2021, con la quale COGNOME NOME è stata condannata alla pena di giustizia per il reato ascritto in rubrica (artt. 110, 81, 648-bis cod. pen.).
COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo del proprio difensore, deducendo motivi di ricorso che qui si riportano nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173 disp. att. Cod. proc. pen.
2.1. GLYPH Violazione di legge e vizio della motivazione in relazione all’art. 192 cod. proc. pen. ed art. 648-bis cod. pen., per avere la Corte di appello confermato la sentenza di condanna inflitta in primo grado; la Corte di appello avrebbe dovuto pronunciare una sentenza di assoluzione; la affermazione di responsabilità è apodittica, non essendo stata in alcun modo indagata la condotta integrante il reato presupposto dal quale sarebbe derivata la provvista del delitto di riciclaggio, la Corte di appello avrebbe dovuto affrontare l’aspetto afferente all’eventuale concorso dell’imputata nel presunto delitto presupposto per giungere poi ad escludere il delitto alla stessa imputato.
2.2. GLYPH Violazione di legge e di norme processuali in relazione agli artt. 648bis cod. pen e 125, 192 cod. proc. pen., nonché vizio della motivazione perché carente, contraddittoria ed illogica, la ricostruzione relativa alla documentazione contrattuale prodotta dalla difesa, ritenuta imprecisa, non autenticata e non validata, è del tutto apodittica e priva di riscontri rispetto agli atti acquisiti dura procedimento.
Il Procuratore generale ha concluso chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché proposto con motivi non consentiti, generici, oltre che manifestamente infondati.
I motivi proposti non sono consentiti, si caratterizzano per genericità ed aspecificità e sono manifestamente infondati.
In via preliminare si deve rilevare come’ con le argomentazioni proposte, la difesa abbia sostanzialmente introdotto una lettura alternativa del merito non consentita in questa sede (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217-01, Sez. 5, n. 15041 del 24/10/2018, COGNOME, Rv. 275100-01, Sez. 4, 1219 del 14/09/2017, COGNOME, Rv. 271702-01, Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, COGNOME, Rv. 277758-01), tra l’altro con motivi del tutto reiterativi dei motivi di appello, assenza di reale confronto con la motivazione della Corte di appello, che con argomentazioni del tutto logiche, che non si prestano a censure in questa sede, ha ricostruito in modo approfondito l’attività posta in essere dalla ricorrente, la piena riferibilità alla stessa del profitto ingiusto a seguito di una organizzata, complessa e rilevante attività di riciclaggio, smentendo esplicitamente portata, auteniticità rilevanza della documentazione evocata dalla difesa con il secondo motivo di ricorso.
Dunque, i motivi proposti si presentano caratterizzati da evidente genericità, meramente reiterativi dei motivi di appello, in assenza di qualsiasi diretta correlazione con la motivazione ampia, logica, approfondita ed argomentata in assenza di aporie della Corte di appello di Brescia. In tal senso, va ricordato che la mancanza di specificità del motivo deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza cli correlazione tra le ragioni argomentate della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicil:azioni del giudice censurato, senza cadere nel vizio di mancanza di specificità, conducente, a norma dell’art. 591, co. 1, lett. c), cod. proc. pen., all’inammissibilità (Sez. 6, n. 23014 29/04/2021, B., Rv. 281521-01; Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, COGNOME, Rv. 277710-01; Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Rv. 255568-01; Sez. 4, n.18826 del 09/02/2012, COGNOME, Rv. 253849-01; Sez. 4, n. :34270 del 03/07/2007, Rv. 23694501). Nel riproporre pedissequamente argomentazioni già introdotte con i motivi di appello, come emerge anche da alcune delle conclusioni proposte, volte ad ottenere l’assoluzione della ricorrente, così come nell’articolare una serie di considerazioni in tutto corrispondenti ai motivi di appello al fine di introdurre un’evidente lettu alternativa del merito, non ammissibile in questa sede, COGNOME NOME non si confronta compiutamente con la motivazione della sentenza di appello.
Deve essere in tal senso ribadito il principio di diritto affermato da questa Corte secondo il quale è inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l’appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l’insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, COGNOME, Rv. 260608-01). La giurisprudenza di legittimità ha, infatti, chiarito che il ricorso di cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettat con l’appello, e motivatamente respinti in secondo grado, non si confronta criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato, ma si limita, in maniera generica, a lamentare una presunta c:arenza o illogicità della motivazione (Sez.2, n. 27816 del 22/03/2019,Rovinelli, Rv. 276970-01).
Per quanto concerne le censure mosse alla struttura rnotivazionale della pronuncia impugnata, va evidenziato che dalla stessa si evince chiaramente come la Corte di appello abbia puntualmente esaminato le doglianze difensive proposte con l’appello, con una motivazione solo in parte per relationem, peraltro legittima quando – come nel caso di specie – risulta che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le ha ritenute coerenti con la propria decisione (Sez. 2, n. 55199 del 29/05/2018, COGNOME, Rv. 274252-01; Sez. 6, n. 27784 del 05/04/2017, COGNOME, Rv. 270398 -01; Sez. 6, n. 53420 del
04/11/2014, COGNOME, Rv. 261839-01; Sez. 6, n. 48428 del 08/10/2014, COGNOME, Rv. 261248-01; Sez. U, n. 21/06/2000, COGNOME, Rv. 216664 -01).
7. Si deve, inoltre, considerare che la sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo, specie quando i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate e ampiamente chiarite nella pronuncia di primo grado (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218-01; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595-01; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, COGNOME, Rv. 252615-01; Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, COGNOME, Rv. 191229-01). Pertanto, in presenza di una doppia conforme anche nell’iter motivazionale, il giudice di appello non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente ogni risultanza processuale, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale, egli spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente i fatti decisivi. Ne consegue che in tal caso debbono considerarsi implicitamente disattese le argomentazioni che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, COGNOME, Rv. 277593-01; Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, COGNOME, Rv. 260841-01).
8. La Corte di appello ha compiutamente analizzato le censure riproposte in questa sede dalla ricorrente in modo del tutto reiterativo, considerando il portato delle dichiarazioni della persona offesa (tra l’altro neanche costituita parte civile) e riscontro chiaro, immediato ed univoco delle stesse, in considerazione delle dichiarazioni degli altri testimoni e della documentazione bancaria e contrattuale acquisita, oltre che delle visure relative alla società cooperativa riferibile a ricorrente. La condotta contestata è stata, dunque, ricostruita con analisi puntuale e logicamente articolata, anche tenendo conto delle comunicazioni intercorse tra i soggetti interessati al pagamento di una c:onsistente fornitura di materiale elettrodomestico e dell’inequivoco riscontro della documentazione bancaria (pag. 3 e pag. 5 e seguenti). La Corte di appello ha, inoltre, analizzato in modo specifico la versione alternativa e la documentazione prodotta dalla difesa,, argomentando in modo del tutto chiaro e riscontrabile quanto alla genericità delle allegazioni della difesa ed alla irrilevanza della documentazione contrattuale prodotta, del tutto inidonea a poter provare un lecito coinvolgimento della ricorrente nella trattativa relativa alla consistente fornitura predetta, senza che la COGNOME abbia anche solo allegato alcuna plausibile giustificazione in ordine alle operazioni bancarie poste in essere con chiara intenzionalità, che portavano alla sottrazione di una consistentissima somma di denaro, soprattutto considerata la assoluta genericità dell’oggetto sociale della società alla stessa riferibile, la mancanza di validi atti
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supporto di un lecito coinvolgimento della stessa con attività a carattere internazionale di così rilevante importo.
Il ricorso deve in conclusione essere dichiarato inammissibile, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, ritenuta equa, di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così deciso il 12 gennaio 2023.