Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 31646 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 31646 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a BOLOGNA il 01/02/1969
avverso la sentenza del 28/11/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
e
Motivi della decisione
Visti gli atti e la sentenza impugnata;
esaminato il ricorso proposto a mezzo del difensore da Lodi. NOMECOGNOME ritenuto responsabile nelle conformi sentenze di merito dei reati di furto consumato e tentato furto in abitazione.
Rilevato che l’esponente ha articolato i seguenti motivi di doglianza: 1. Mancanza di motivazione con riferimento al primo motivo di appello, nel quale la difesa aveva contestato l’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, ponendo in rilievo le incongruenze delle testimonianze raccolte a carico di Lodi e l’inattendibilità delle dichiarazioni rese da COGNOME NOME; 2. Omessi motivazione con riferimento al secondo motivo di appello, nel quale la difesa . aveva invocato l’applicazione dell’istituto del reato impossibile quanto all’addebito di tentato furto in abitazione, per assoluta inidoneità dello strumento asseritamente adoperato dal prevenuto per forzare la finestra della persona offesa (pinze a becchi piatti adatte per maneggiare oggetti di piccole dimensioni); 3. Illogicità della motivazione ed inosservanza della legge penale nella parte in cui la Corte di merito ritiene consumato il delitto di furto in abitazione; 4. Illogicità della motivazione con riferimento al trattamento sanzionatorio: in base alle caratteristiche personologiche dell’imputato, la Corte di merito avrebbe dovuto adottare un trattamento sanzionatorio maggiormente favorevole per l’imputato; 5. Inosservanza dell’art. 175 cod. pen. con riferimento all’applicazione della comunicazione ex art. 154-ter disp. att. cod. proc. pen.
Letta la memoria in atti depositata, nella quale la difesa, riportandosi ai motivi di doglianza, chiede che il ricorso venga assegnato alla Sezione ordinaria.
Considerato che le deduzioni sviluppate nel primo motivo, concernendo la ricostruzione e la valutazione del fatto, nonché l’apprezzamento del materiale probatorio, investono profili del giudizio rimessi alla esclusiva competenza della Corte di appello;
rilevato che i giudici di merito hanno fornito una congrua e adeguata motivazione in ordine all’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, esente da vizi logici, perché basata su corretti criteri di inferenza, espressi in un ragionamento fondato su condivisibili massime di esperienza e coerente con le emergenze probatorie richiamate in motivazione (si veda quanto argomentato alle pagine 5 e 6 della motivazione, in cui si evidenzia che l’imputato, il quale aveva ammesso in interrogatorio di avere commesso il furto, è stato trovato in possesso della refurtiva e che il tentativo di furto in abitazione, a cui aveva assistito non solo COGNOME, ma anche NOME ha trovato puntuale riscontro nell’accertata forzatura della finestra);
ritenuto che, in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (da ultimo, Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601).
Considerato, quanto al secondo motivo di ricorso, che la prospettazione riguardante la ricorrenza del reato impossibile, come osservato in sentenza, risulta smentita dalle dichiarazioni dei testi escussi (NOME riferì di avere notato l’imputato nell’atto di armeggiare alla finestra della persona offesa con una tenaglia che aveva estratto dalla borsa) e dagli accertamenti effettuati, che hanno rivelato segni di forzatura effettivamente presenti sulla finestra dell’abitazione, suscettibili di rivelare l’idoneità del mezzo adoperato rispetto al fine perseguito dall’autore del fatto.
Considerato, quanto al terzo motivo di ricorso, che la sentenza impugnata risulta sostenuta da conferente motivazione in ordine alla ricorrenza della fattispecie del furto consumato, avendo la Corte di merito, con argomentazioni
immuni da censure, posto in evidenza l’avvenuto impossessamento delle cose sottratte da parte dell’imputato.
Ritenuto che i profili riguardanti la determinazione della pena in concreto irrogata, prossima al minimo edittale, sono sostenuti da adeguata motivazione, anche in relazione all’aumento determinato a titolo di continuazione, in ragione dell’intensità del dolo, circostanza resa evidente dalla pluralità delle azioni delittuose realizzate (cfr. pag. 7 della motivazione);
considerato che, nel giudizio di cassazione, è inammissibile la censura che miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto, come nel caso in esame, di mero arbitrio o di un ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 – 04/02/2014, COGNOME, Rv. 259142).
Ritenuto, quanto all’ultima doglianza, che l’informazione alla Pubblica Amministrazione, ai sensi dell’art.154-ter disp. att. cod. proc. pen., è obbligatoria e che, diversamente da quanto sostenuto nel ricorso, non vi è incompatibilità tra beneficio della non menzione ed informazione alla P.A., essendo diversa la funzione dei due istituti. La non menzione sul certificato del casellario, infatti, è diretta a non pregiudicare i rapporti con i privati, speci quelli lavorativi. La informazione alla P.A., invece, riguarda i rapporti lavorativi in essere dei dipendenti statali o pubblici, consentendo la conoscenza da parte dell’amministrazione della esistenza di condanne a carico di questi.
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 14 luglio 2025
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