Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 28628 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 28628 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 29/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a LIPARI il 16/02/1996
avverso la sentenza del 18/10/2024 della CORTE APPELLO di MESSINA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME udite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale COGNOME che ha chiesto di rigettare il ricorso; udite le conclusioni dell’avv. NOME COGNOME per le parti civili, che ha chiesto di confermare la sentenza impugnata; udite le conclusioni dell’avv. NOME COGNOME per l’imputato, che ha chiesto di annullare la sentenza impugnata.
Corte di Cassazione – copia non ufficiale
RITENUTO IN FATTO
1. La sentenza impugnata è stata pronunziata il 18 ottobre 2024 dalla Corte di appello di Messina, che ha confermato la sentenza del Tribunale di Barcellona Pozzo di Godo, che aveva condannato COGNOME NOME per i reati di furto e di furto in abitazione, commessi in danno di NOME e NOME. Reati aggravati dall’avere cagionato un danno patrimoniale di rilevante gravità e dall’aver commesso il fatto con abuso del rapporto di prestazione di opera, essendo l’imputato un dipendente della “RAGIONE_SOCIALE“, il cui legale rappresentante era NOMECOGNOME
Secondo l’impostazione accusatoria, ritenuta fondata dai giudici di merito, l’imputato si sarebbe illegittimamente introdotto nell’abitazione di NOME e si sarebbe impossessato della somma di euro 100.000,00, custodita all’interno di un armadio, sottraendola ai legittimi proprietari NOME e NOME.
L’imputato, inoltre, mentre si trovava all’interno dei locali della società, s sarebbe impossessato della somma di euro 4.000,00, inserita in una busta gialla, posta all’interno della borsa di NOME.
Avverso la sentenza della Corte di appello, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia.
2.1. Con un primo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 125, 546 e 603 cod. proc. pen.
Contesta la motivazione con la quale la Corte di appello ha rigettato la richiesta di acquisizione, ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen., di nuove prove, finalizzate a dimostrare la lecita provenienza delle somme di denaro rinvenute nella disponibilità dell’imputato. Il ricorrente sostiene che la Corte di appell avrebbe errato nel ritenere che le dichiarazioni rese dall’imputato alla Guardia di finanza, in ordine alla provenienza del denaro, si porrebbero in contrasto con quelle rese dal medesimo imputato alla direttrice dell’ufficio postale. I giudici d merito, invero, non avrebbero tenuto conto dei «diversi contesti temporali» e della «diversità delle somme» oggetto delle dichiarazioni rese dall’imputato.
2.2. Con un secondo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 192 e 533 cod. proc. pen. e 624 cod. pen.
Contesta la motivazione della sentenza impugnata, sostenendo che la Corte di appello si sarebbe limitata a una mera riproposizione delle argomentazioni del
giudice di primo grado, senza esporre «alcun momento di originalità in relazione all’analisi delle argomentazioni sostenute nei motivi di gravame».
Sostiene che la Corte di appello non avrebbe rispettato la regola di giudizio dell’oltre ogni ragionevole dubbio e avrebbe basato la propria decisione su un «ragionamento del tutto congetturale».
La Corte territoriale, invero, avrebbe basato il giudizio di responsabilità in ordine al furto della somma di euro 4.000,00 sui seguenti elementi: le dichiarazioni delle persone offese; le risultanze dei fotogrammi estrapolati dalle riprese dell’impianto di videosorveglianza del locale commerciale, all’interno del quale si trovava la borsa contenente il denaro.
Si tratterebbe, tuttavia, di «meri sospetti», anche perché i fotogrammi estrapolati dall’impianto di videosorveglianza erano relativi al giorno 16 marzo 2021, quando, invece, il furto era stato realizzato il 12 marzo 2021.
2.3. Con un terzo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 192 e 533 cod. proc. pen. e 624-bis cod. pen.
Sostiene che la motivazione del provvedimento impugnato sarebbe contraddittoria e basata su mere congetture, anche nella parte relativa al furto della somma di euro 100.000,00, avvenuto all’interno dell’abitazione.
Il giudizio di responsabilità, invero, sarebbe stato basato solo sulla presunta disponibilità delle chiavi dell’appartamento delle vittime da parte dell’imputato e sulla sua successiva disponibilità di ingenti somme di denaro.
Il ricorrente, tuttavia, sostiene che tali elementi non potrebbero assurgere al rango di indizi e su di essi si potrebbero fondare solo delle mere congetture.
La disponibilità delle chiavi, invero, non sarebbe stata neppure dimostrata e si baserebbe solo sulla circostanza che la persona offesa si era ricordata che, in un’occasione, l’imputato le aveva inviato un messaggio whatsapp, con il quale l’avvisava di essersi dimenticata le chiavi dell’appartamento nel negozio.
Quanto alla disponibilità di ingenti somme di denaro, il ricorrente sostiene che tale circostanza non potrebbe essere collegata ai furti, atteso che la somma in questione era superiore a euro 282.000,00, mentre quella sottratta alle persone offese era pari ad euro 104.000,00.
2.4. Con un quarto motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 125 cod. proc. pen. e 62-bis e 133 cod. pen.
Contesta il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, sostenendo che la Corte di appello, sul punto, avrebbe reso una motivazione «vaga, generica e contraria ai canoni di valutazione». Non avrebbe, inoltre, tenuto conto del «lineare» comportamento processuale tenuto dall’imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
1.1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Va ribadito che la rinnovazione dell’istruttoria nel giudizio di appello, attesa la presunzione di completezza dell’istruttoria espletata in primo grado, è un istituto di carattere eccezionale, al quale può farsi ricorso esclusivamente allorché il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli att (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, COGNOME, Rv. 266820).
La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che, in ragione della natura eccezionale del rimedio previsto dall’art. 603 cod. proc. pen., la mancata rinnovazione in appello dell’istruttoria dibattimentale, in cassazione, può essere censurata solo qualora si dimostri l’oggettiva necessità dell’incombente istruttorio e, di conseguenza, l’esistenza, nell’apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, che sarebbero state presumibilmente evitate se si fosse provveduto all’assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello (Sez. 5, n. 32379 del 12/04/2018, COGNOME, Rv. 273577; Sez. 6, n. 1256 del 28/11/2013, COGNOME, Rv. 258236).
Oggettiva necessità che, nel caso in esame, non è stata provata, essendosi il ricorrente limitato a formulare delle generiche asserzioni in ordine a presunti errori nei quali la Corte di appello sarebbe incorsa nella valutazione di alcune dichiarazioni.
1.2. Il secondo e il terzo motivo sono inammissibili.
Il ricorrente, invero, si limita ad articolare alcune generiche censure che, pur essendo state da lui riferite alle categorie dei vizi di motivazione e di violazione di legge, ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., non evidenziano alcuna violazione di legge né effettivi travisamenti di prova o vizi di manifesta logicità emergenti dal testo della sentenza, ma sono, invece, dirette a ottenere una non consentita rivalutazione delle fonti probatorie e un inammissibile sindacato sulla ricostruzione dei fatti operata da entrambi i giudici di merito (cfr. Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME, Rv. 207944; Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano). Al riguardo, va ricordato come «l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione abbia un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo
convincimento o la loro rispondenza alle acquisizione processuali, se non, in quest’ultimo caso, nelle ipotesi di errore del giudice nella lettura degli atti inter del giudizio denunciabile, sempre nel rispetto della catena devolutiva, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), ultima parte, cod. proc. pen.» (Sez. U, n. 14722 del 30/01/2020, Polito).
Va osservato, in ogni caso, che la Corte territoriale, con motivazione adeguata, coerente e priva di vizi logici, ha ricostruito i fatti in conformità all’ipot accusatoria e, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, ha effettuato autonome valutazioni, rispondendo anche alle censure mosse con l’atto di impugnazione (cfr. pagine 4 e ss. della sentenza impugnata).
Nella parte relativa al giorno in cui erano state effettuate le videoriprese, i motivo è pure privo di specificità estrinseca, in quanto meramente reiterativo di identica doglianza proposta con i motivi di gravame, disattesa nella sentenza impugnata con congrua motivazione, con la quale il ricorrente non si è effettivamente confrontato. In particolare, la Corte di appello ha chiarito che l’impianto di videosorveglianza era stato installato proprio dopo il furto della somma di euro 4.000,00 e che le immagini riprese da quell’impianto, seppure successive al reato, assumevano un significativo rilievo, in quanto dimostrative del fatto che l’imputato era solito mettere le mani nelle borse delle persone offese per appropiarsi dei loro beni.
1.4. Il quarto motivo è inammissibile per intrinseca genericità, in quanto privo di una puntuale enunciazione delle ragioni di diritto giustificanti il ricorso e de correlati congrui riferimenti alla motivazione dell’atto impugnato. Va rilevato, in ogni caso, che la Corte territoriale, in ordine al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, ha reso una motivazione esauriente e logica (cfr. pagina 7 della sentenza impugnata).
Nella parte in cui il ricorrente lamenta la scarsa considerazione che la Corte di appello avrebbe riservato al presunto «lineare» comportamento processuale tenuto dall’imputato, il motivo si presenta anche manifestamente infondato, atteso che, per la consolidata giurisprudenza di legittimità (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549; Sez. 5, Sentenza n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269), nel motivare il diniego delle attenuanti generiche, è sufficiente un congruo riferimento, da parte del giudice di merito, agli elementi ritenuti decisivi o rilevanti.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione, consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, che deve determinarsi in euro 3.000,00.
Il ricorrente, altresì, è tenuto alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente grado di giudizio dalle parti civili, che vanno liquidate
complessivamente in euro 5.000,00, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa delle
ammende. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di
ì
rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dallf partcivi12., che liquida in complessivi euro 5.000,00, oltre accessori di legge.
Così deciso, il 29 aprile 2025
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Il Consigliere estensore
Il Presidente