Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 24163 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 24163 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 07/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CALTANISSETTA il 17/05/1959
avverso la sentenza del 16/10/2024 della CORTE APPELLO di CALTANISSETTA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di Caltanissetta che ha confermato la condanna dell’imputata per il reato di furto pluriaggravato;
Considerato che il primo motivo di ricorso – che contesta la correttezza della motivazione posta alla base della dichiarazione di responsabilità – non è consentito in sede di legittimità in quanto, oltre ad essere costituito da mere doglianze in punto di fatto, invoca una rivalutazione degli elementi probatori al fine di trarne proprie conclusioni in contrasto con quelle del giudice del merito, chiedendo alla Corte di legittimità un giudizio di fatto che non le compete. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, COGNOME, Rv. 249651, in motivazione; Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, COGNOME, Rv. 216260). Più di recente si è sostenuto che, nel giudizio di cassazione, sono precluse al Giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020 Ud., dep. 2021, F.; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; pronunzie che trovano precedenti conformi in Sez. 5, n. 12634 del 22/03/2006, COGNOME, Rv. 233780; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507).
Rilevato che il secondo motivo di ricorso – che invoca l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto – è manifestamente infondato e in palese contrasto con il dato normativo, che prevede l’applicabilità dell’art. 131 bis cod. pen. solo a quei reati puniti con pena detentiva non superiore nel minimo a due anni, dovendosi considerare, ai fini della determinazione della pena, le circostanze aggravanti ad effetto speciale, quali quelle applicate nel caso di specie. Ne deriva che la cornice edittale a cui far riferimento è quella prevista dall’art. 625, comma 2, cod. pen., che prevede una pena minima di tre anni, ipotesi che nella specie non ricorre, come correttamente rilevato dalla sentenza impugnata (pp. 4-5).
Rilevato che il terzo motivo di ricorso – che contesta il diniego del beneficio della sospensione condizionale della pena- è aspecifico, essendo affidato a doglianze che si caratterizzano per l’assenza di confronto critico con il tenore della
motivazione resa dal giudice del gravame (cfr., in particolare, con quanto argomentato circa le precedenti condanne e la reiterata fruizione, da parte della
ricorrente, del suddetto beneficio: pag. 9 della sentenza impugnata);
Considerato che il quarto motivo di ricorso – attinente al trattamento sanzionatorio – non è consentito dalla legge in sede di legittimità ed è
manifestamente infondato perché, secondo l’indirizzo consolidato della giurisprudenza, la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle
diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti e per fissare la pena base rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita in
aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; che nella specie l’onere argomentativo del giudice è adeguatamente assolto attraverso un congruo
riferimento agli elementi ritenuti decisivi o rilevanti (si veda, in particolare pag. 5-
8 della sentenza impugnata);
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 07 maggio 2025
Il consigliere estensore
Il Presidente