Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 8196 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 8196 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME GROTTA NOME NOME a GROTTAGLIE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 15/03/2023 della CORTE APPELLO SEZ.DIST. di TARANTO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
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RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
Con sentenza del 15 marzo 2023 la Corte di Appello di Lecce, Sez. St. Taranto, in parziale riforma della sentenza del 22 marzo 2022 del Tribunale di Taranto, ha ridetermiNOME in anni 1 e mesi 6 di reclusione la pena complessivamente inflitta a COGNOME nella qualità di amministratore e referente della RAGIONE_SOCIALE, per il reato di cui agli artt. 48 cod. pen. e 2 del d. Igs. 74/2000,
Avverso tale provvedimento è stato proposto ricorso per cassazione, tramite il quale l’imputato ha lamentato violazione di legge e vizio motivazionale, atteso che il giudice dell’appello aveva omesso, a parere della difesa, di valutare il cospicuo compendio probatorio sul ruolo centrale ed esclusivo rivestito dal ricorrente nella gestione dei rapporti commerciali con la RAGIONE_SOCIALE e all’interno della RAGIONE_SOCIALE, travisando e sopravvalutando il materiale probatorio a carico del predetto.
3. Il ricorso è inammissibile.
3.1. Al riguardo, occorre innanzitutto ribadire che il controllo del Giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri ci ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009, Campanella, n. 12110, Rv. 243247).
3.2. In tal modo individuato il perimetro di giudizio proprio della Suprema Corte, osserva allora il Collegio che le censure mosse dal ricorrente al provvedimento impugNOME sono inammissibilli; dietro la parvenza del vizio motivazionale, infatti, lo stesso tende ad ottenere in questa sede – con richiami meramente fattuali – una nuova ed alternativa lettura delle medesime emergenze istruttorie già esaminate dai Giudici di merito, sollecitandone una valutazione diversa e più favorevole.
Il che, come riportato, non è consentito.
3.3. Inoltre, per aversi vizio di travisamento della prova è necessario che la relativa deduzione abbia un oggetto definito e inopinabile, tale da evidenziare la «palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della dichiarazione (o di altro elemento di prova) e quello tratto dal giudice, con conseguente esclusione della rilevanza di presunti errori eventualmente commessi nella
valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima (cfr., Cass. Pen., 5, 4.12.2017 n. 8.188, COGNOME; cfr., Cass. Pen., 2, 12.6.2019 n. 27.929, PG in proc. Borriello)».
Evenienza che – in tutta evidenza – non ricorre nel caso di specie, in cui il ricorso viene proposto in termini di mero «dissenso» rispetto alla valutazione delle prove effettuata dai giudici del merito.
Vero è, al contrario, che la Corte territoriale ha puntualmente valutato e dichiarato la penale responsabilità dell’odierno ricorrente, allegando altresì motivazione non manifestamente illogica.
In tal senso è stata offerta coerente lettura dell’intera vicenda in cui la falsità delle operazioni commerciali contestate è stata accertata attraverso il controllo sistematico della documentazione bancaria reperita nonché sulla operatività delle società interessate oltre che attraverso le dichiarazioni rese dal rappresentante della società di autotrasporto il quale smentiva seccamente la circostanza di aver trasportato le apparecchiature informatiche presso i presunti acquirenti, posto che la IBM nel 2011 (tempus commissi delicti), svolgeva in RAGIONE_SOCIALE, tra le altre attività aziendali, la proposta di contratti di locazione operativa ovvero si affidava ad aziende sparse sul territorio locale, c.d. business partner, che svolgevano attività di intermediazione per commercializzare una precisa tipologia di prodotti informatici.
Tra tali aziende figurava la RAGIONE_SOCIALE informatici (di cui il ricorrente risultava legale rappresentante nel 2009 ed al quale era riferita la gestione di fatto dell’intera attività aziendale) che aveva inviato a RAGIONE_SOCIALE 29 proposte operative di cui solo 7 si erano trasformate effettivamente nei predetti contratti e che riguardavano società di piccole dimensioni lontane dal luogo in cui è ubicata la sede della intermediaria, le quali non avevano ricevuto il materiale oggetto del contratto e a cui erano stati forniti dati mendaci.
Conseguentemente è emerso che le fatture prodotte erano false, atteso che le predette operazioni di fatto non potevano essere state effettuate, essendo le società inattiva da anni.
L’impugnazione, che neppure si confronta appieno con l’iter argomentativo e che in definitiva propone censure estranee al giudizio di legittimità (v. supra), è quindi manifestamente infondata.
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria
dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 15 dicembre 2023
Il Consigliere estensore
Il Presidente