Ricorso Inammissibile: Analisi di una Decisione della Cassazione
L’ordinanza in esame offre uno spunto fondamentale per comprendere quando un’impugnazione rischia di essere un ricorso inammissibile. Il caso riguarda un individuo condannato per il reato di evasione, il quale si è rivolto alla Corte di Cassazione lamentando un presunto errore nella determinazione della pena da parte dei giudici di merito. La Suprema Corte, tuttavia, ha rigettato il ricorso, definendolo generico e manifestamente infondato, confermando così la condanna e aggiungendo ulteriori oneri economici a carico del ricorrente. Questo provvedimento sottolinea l’importanza di formulare motivi di ricorso specifici e ben argomentati.
I Fatti del Caso
La vicenda processuale ha origine dalla condanna di un soggetto per il reato previsto dall’art. 385 del codice penale, ovvero l’evasione. A seguito della sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Bari, che aveva stabilito una pena di otto mesi di reclusione, l’imputato ha deciso di presentare ricorso per Cassazione. L’unica doglianza sollevata riguardava un presunto vizio di motivazione relativo alla commisurazione della pena. Secondo la difesa, i giudici d’appello non avrebbero adeguatamente spiegato le ragioni che li avevano portati a determinare quella specifica sanzione detentiva.
La Decisione sul Ricorso Inammissibile
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza numero 11345 del 2024, ha dichiarato il ricorso inammissibile. Questa decisione non entra nel merito della questione sollevata (cioè se la pena fosse giusta o meno), ma si ferma a un livello preliminare. La Corte ha stabilito che il motivo addotto era “generico e manifestamente infondato”. In sostanza, il ricorrente si era limitato a lamentare la decisione senza specificare in che modo la Corte d’Appello avesse violato la legge o avesse ragionato in modo illogico nel determinare la pena. La sentenza di secondo grado, al contrario, è stata ritenuta immune da censure, in quanto aveva dato conto in modo esauriente delle ragioni di fatto e di diritto alla base della condanna a otto mesi di reclusione.
Le Motivazioni
La motivazione della Cassazione si fonda su un principio cardine del diritto processuale: la specificità dei motivi di ricorso. Non è sufficiente contestare una decisione in modo vago; è necessario indicare con precisione quali sono i punti della sentenza impugnata che si ritengono errati e per quali ragioni giuridiche. Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva adempiuto al proprio obbligo di motivazione, spiegando il percorso logico che l’aveva condotta a quantificare la pena. Di fronte a una motivazione completa, il ricorso dell’imputato è apparso come un mero tentativo di riesame del merito della vicenda, attività preclusa in sede di legittimità. La conseguenza diretta della dichiarazione di inammissibilità è stata la condanna del ricorrente al pagamento non solo delle spese processuali, ma anche di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, una sanzione prevista proprio per scoraggiare ricorsi pretestuosi.
Le Conclusioni
Questa ordinanza ribadisce un insegnamento cruciale per chiunque intenda impugnare un provvedimento giudiziario: un ricorso deve essere tecnicamente ben costruito e fondato su critiche puntuali e specifiche. Una contestazione generica sulla quantificazione della pena, senza l’individuazione di un palese errore di diritto o di un vizio logico nella motivazione del giudice, è destinata a essere dichiarata inammissibile. Tale esito non solo impedisce di ottenere una revisione della decisione, ma comporta anche significative conseguenze economiche per il ricorrente, aggravando la sua posizione.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché ritenuto generico e manifestamente infondato. La critica mossa alla sentenza riguardo la commisurazione della pena non era supportata da argomentazioni specifiche che evidenziassero un vizio di motivazione.
Qual è stata la conseguenza della dichiarazione di inammissibilità per il ricorrente?
Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Per quale reato era stato condannato il ricorrente in primo grado?
Il ricorrente era stato condannato per il reato di evasione, previsto e punito dall’articolo 385 del codice penale.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 11345 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 11345 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 16/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a BARI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 12/06/2023 della CORTE APPELLO di BARI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
N. NUMERO_DOCUMENTO COGNOME
OSSERVA
Ritenuto che l’unico motivo dedotto con il ricorso in relazione alla sentenza di condanna per il reato di cui all’art. 385 cod. pen. è inammissibile perché generico e manifestamente infondato;
Considerato, in particolare, che il ricorrente lamenta il vizio di motivazione in relazione alla commisurazione della pena;
che sul punto la sentenza impugnata appare immune da censure, avendo essa dato conto delle ragioni di fatto e dei motivi di diritto in relazione alla commisurazione della pena finale di mesi otto di reclusione (cfr. p. 5 della sentenza);
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 16/02/2024