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Ricorso inammissibile per evasione: i motivi

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un soggetto condannato per evasione. I motivi dell’appello sono stati giudicati generici e manifestamente infondati, in particolare riguardo la mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, correttamente esclusa dai giudici di merito in base alla durata dell’allontanamento. Di conseguenza, il ricorso inammissibile non ha impedito la condanna definitiva.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile per Evasione: Quando l’Impugnazione non Supera il Vaglio della Cassazione

Con l’ordinanza n. 5548 del 2024, la Corte di Cassazione ribadisce i rigorosi criteri di ammissibilità dei ricorsi, chiarendo perché un’impugnazione basata su motivi generici sia destinata a fallire. Il caso in esame riguarda un condannato per il reato di evasione, il cui tentativo di contestare la sentenza di secondo grado si è scontrato con una declaratoria di ricorso inammissibile. Questa decisione offre spunti fondamentali sulla distinzione tra questioni di fatto e di diritto e sull’irrilevanza della prescrizione in caso di impugnazione viziata.

I Fatti di Causa

La vicenda processuale ha origine dalla condanna di un individuo per il reato di evasione, previsto dall’art. 385 del codice penale. A seguito della sentenza di condanna emessa dalla Corte d’Appello di Napoli, l’imputato decideva di presentare ricorso per Cassazione, affidando le sue speranze di annullamento a due principali argomentazioni: una generica contestazione sulla sua responsabilità penale e una critica alla mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, disciplinata dall’art. 131-bis c.p.

La Posizione della Difesa

La difesa sosteneva che i giudici di merito avessero errato nel valutare le circostanze del fatto e che, in ogni caso, l’offesa arrecata fosse talmente lieve da meritare l’applicazione dell’istituto della non punibilità. In sostanza, si tentava di portare dinanzi alla Suprema Corte una rivalutazione degli elementi fattuali già esaminati nei precedenti gradi di giudizio.

Il Ricorso Inammissibile e la Decisione della Corte

La Corte di Cassazione, con una motivazione tanto sintetica quanto netta, ha dichiarato il ricorso inammissibile. Gli Ermellini hanno smontato le argomentazioni difensive evidenziandone i vizi procedurali che ne impedivano l’esame nel merito.

In primo luogo, il motivo relativo alla responsabilità è stato qualificato come “generico” e “involgente una questione in fatto”. La Corte ha ricordato che la sua funzione, in sede di legittimità, non è quella di un terzo grado di giudizio dove si possono ri-valutare le prove, ma è limitata al controllo sulla corretta applicazione della legge. Proporre argomenti che richiedono un nuovo esame dei fatti è, quindi, un errore che conduce direttamente all’inammissibilità.

In secondo luogo, anche il motivo sulla mancata applicazione dell’art. 131-bis c.p. è stato giudicato “manifestamente infondato”. La Corte ha osservato come la sentenza impugnata avesse già fornito una motivazione logica e corretta per escludere la particolare tenuità del fatto, basandosi su un elemento concreto: la durata dell’allontanamento. Tale valutazione, essendo adeguatamente motivata, non era sindacabile in sede di legittimità.

Le Motivazioni

La motivazione della Corte si fonda su principi cardine del processo penale. La Suprema Corte ha chiarito che un ricorso, per essere ammissibile, deve contenere censure specifiche contro il provvedimento impugnato, indicando con precisione le norme di legge violate e le ragioni di tale violazione. Non è sufficiente una generica doglianza o un dissenso rispetto alla valutazione dei fatti compiuta dal giudice di merito.

Un punto cruciale della decisione riguarda la questione della prescrizione del reato. La difesa, probabilmente, contava sul decorso del tempo per estinguere il reato. Tuttavia, la Corte, richiamando un consolidato orientamento delle Sezioni Unite (sent. n. 32/2000), ha ribadito un principio fondamentale: l’inammissibilità del ricorso impedisce la costituzione di un valido rapporto processuale di impugnazione. Di conseguenza, la successiva maturazione dei termini di prescrizione diventa irrilevante. La condanna, a quel punto, è già divenuta definitiva a causa del vizio originario del ricorso.

Le Conclusioni

L’ordinanza in commento rappresenta un monito importante per gli operatori del diritto. La presentazione di un ricorso in Cassazione richiede un’attenta e rigorosa formulazione dei motivi, che devono concentrarsi esclusivamente su vizi di legittimità e non su una sterile riproposizione di questioni di fatto. La decisione conferma che un ricorso inammissibile non solo non produce alcun effetto utile per l’imputato, ma cristallizza la condanna, rendendola definitiva e precludendo la possibilità di beneficiare di cause estintive del reato come la prescrizione. L’imputato è stato inoltre condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, a ulteriore riprova delle conseguenze negative di un’impugnazione temeraria.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi presentati erano generici, riguardavano una rivalutazione dei fatti (non consentita in sede di legittimità) e manifestamente infondati, in quanto la sentenza impugnata aveva già correttamente motivato la sua decisione.

La prescrizione del reato, intervenuta dopo la sentenza, ha avuto qualche effetto?
No. La Corte di Cassazione ha specificato che, essendo il ricorso inammissibile, non si è instaurato un valido rapporto di impugnazione. Pertanto, l’eventuale prescrizione maturata successivamente alla sentenza impugnata è del tutto irrilevante e non può essere dichiarata.

Per quale motivo non è stata applicata la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.)?
La causa di non punibilità non è stata applicata perché la Corte d’Appello aveva correttamente motivato la sua esclusione, basandosi su elementi concreti ritenuti ostativi, come la durata dell’allontanamento, che impedivano di considerare il fatto di minore offensività.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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