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Ricorso inammissibile per droga: la decisione

La Corte di Cassazione dichiara un ricorso inammissibile avverso una condanna per detenzione di stupefacenti. I motivi erano una mera riproposizione di censure già respinte in appello, relative alla valutazione dei precedenti penali e alla determinazione della pena, aspetti riservati al giudice di merito.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: la Cassazione conferma la condanna per droga

Recentemente, la Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso di detenzione di sostanze stupefacenti, dichiarando il ricorso inammissibile e ponendo fine al percorso giudiziario di un imputato. Questa decisione, pur nella sua sinteticità, offre spunti importanti per comprendere i limiti del giudizio di legittimità e il ruolo della Suprema Corte nel nostro ordinamento. Analizziamo i dettagli della vicenda e le ragioni giuridiche alla base dell’ordinanza.

I Fatti del Caso

Un individuo, già condannato in primo grado e in appello per il reato di detenzione di sostanze stupefacenti di lieve entità, previsto dall’art. 73, comma 5, del d.P.R. 309/1990, ha proposto ricorso per cassazione. L’imputato contestava la sentenza della Corte d’Appello, sostenendo che i giudici avessero errato nella valutazione di alcuni elementi, in particolare riguardo alla destinazione della droga e alla determinazione della pena.

La difesa lamentava che i precedenti penali dell’imputato fossero stati utilizzati in modo improprio, sia per escludere la tesi dell’uso puramente personale dello stupefacente, sia per giustificare una pena ritenuta eccessiva e per negare la concessione delle circostanze attenuanti generiche.

Le motivazioni che rendono il ricorso inammissibile

La Suprema Corte ha respinto le argomentazioni della difesa, dichiarando il ricorso inammissibile. Il fulcro della motivazione risiede in un principio cardine del processo penale: la distinzione tra giudizio di merito e giudizio di legittimità. La Cassazione non è un “terzo grado” di giudizio dove si possono rivalutare i fatti e le prove, ma un organo che verifica la corretta applicazione della legge.

Nel caso specifico, i giudici hanno osservato che i motivi del ricorso erano una semplice riproposizione di censure già esaminate e respinte dalla Corte d’Appello. Quest’ultima, con una motivazione logica e giuridicamente corretta, aveva già spiegato perché i precedenti penali dell’imputato fossero rilevanti. Essi sono stati considerati un elemento valido non solo per escludere che la sostanza fosse per uso personale, ma anche per calibrare la sanzione penale – fissata a dieci mesi, quindi appena sopra il minimo edittale – e per negare le attenuanti generiche.

La Corte ha ribadito che tali valutazioni, relative al trattamento sanzionatorio e all’apprezzamento delle circostanze, rientrano nell’esclusiva competenza del giudice di merito. Se la sua decisione è supportata da una motivazione esauriente e non manifestamente illogica, come nel caso di specie, essa è insindacabile in sede di legittimità.

Le conclusioni

La decisione in commento riafferma un principio fondamentale: non ci si può rivolgere alla Corte di Cassazione sperando in una nuova valutazione dei fatti. Il ricorso deve evidenziare vizi di legge specifici, come un’errata interpretazione di una norma o un difetto di motivazione palese e decisivo. La mera riproposizione di argomenti già vagliati e motivatamente respinti conduce inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità.

Per l’imputato, le conseguenze sono definitive: la condanna diventa irrevocabile e, oltre al pagamento delle spese processuali, è tenuto a versare una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende, come sanzione per aver adito la Corte con un ricorso privo dei presupposti di legge.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Perché i motivi presentati erano una semplice ripetizione di argomenti già esaminati e respinti dalla Corte d’Appello, senza sollevare nuove questioni di diritto o vizi di legittimità. La Cassazione non può riesaminare i fatti del caso.

È legittimo usare i precedenti penali per stabilire l’entità della pena?
Sì, la sentenza conferma che i giudici di merito hanno correttamente utilizzato i precedenti penali dell’imputato sia per determinare la pena (fissandola poco sopra il minimo) sia per negare la concessione delle circostanze attenuanti generiche.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La sentenza di condanna diventa definitiva. Inoltre, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, in questo caso di 3.000 euro, a favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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