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Ricorso inammissibile per droga: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha dichiarato un ricorso inammissibile contro una condanna per detenzione di 49 grammi di marijuana suddivisa in 42 dosi. L’appello è stato giudicato generico e un tentativo di rivalutare i fatti, compito che non spetta alla Corte di legittimità. La condanna è stata quindi confermata, così come la pena, ritenuta giustificata dalla personalità del soggetto e dalle modalità della detenzione.

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Pubblicato il 4 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso inammissibile per droga: la Cassazione chiarisce i limiti

Introduzione al caso: quando un ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito i paletti procedurali che delimitano l’accesso al giudizio di legittimità, dichiarando un ricorso inammissibile in un caso di detenzione di sostanze stupefacenti. Questa decisione offre un’importante lezione sulla differenza tra un riesame del merito e un controllo di legittimità, chiarendo perché non basta riproporre le stesse argomentazioni già respinte nei gradi precedenti per ottenere una revisione della sentenza. Analizziamo i dettagli di questa vicenda per comprendere a fondo i principi applicati dalla Suprema Corte.

I Fatti del Processo

Un individuo veniva condannato in primo e secondo grado per il reato previsto dall’art. 73, comma 5, del Testo Unico Stupefacenti (d.P.R. 309/1990). L’accusa era di aver detenuto illecitamente, al fine di cederla a terzi, una quantità di 49 grammi di marijuana. La sostanza era già suddivisa in 42 dosi termosaldate, un dettaglio che si rivelerà cruciale per l’esito del processo.

L’imputato, non rassegnato alla condanna, proponeva ricorso per cassazione, sollevando due questioni principali:
1. Una critica alla motivazione della sentenza d’appello, ritenuta un mero richiamo a quella di primo grado, e una violazione delle norme penali.
2. Una contestazione sulla pena inflitta, giudicata eccessiva e sproporzionata rispetto al minimo previsto dalla legge, basata unicamente sui precedenti penali e sulle modalità della condotta.

La Decisione della Corte: il ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione ha respinto le argomentazioni della difesa, dichiarando il ricorso totalmente inammissibile. La decisione si fonda su principi consolidati della procedura penale, che meritano di essere esaminati attentamente.

Le motivazioni

I giudici di legittimità hanno innanzitutto evidenziato la genericità del ricorso. Le censure mosse dall’imputato non erano specifiche, ma si limitavano a sollecitare una rivalutazione dei fatti, proponendo una “rilettura” alternativa delle prove già ampiamente analizzate e giudicate dai tribunali di merito. La Cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si può ridiscutere la ricostruzione dei fatti, ma un organo che verifica la corretta applicazione della legge.

In secondo luogo, la Corte ha sottolineato come la difesa si sia limitata a riproporre le stesse doglianze già esaminate e motivatamente respinte dalla Corte d’Appello, senza confrontarsi criticamente con la motivazione della sentenza impugnata. Questo approccio rende il ricorso meramente ripetitivo e, quindi, inammissibile.

Per quanto riguarda la distinzione tra uso personale e spaccio, la sentenza impugnata è stata ritenuta pienamente logica e coerente. L’ipotesi dell’uso personale, sostenuta dalla difesa, era priva di qualsiasi riscontro oggettivo. Al contrario, il rinvenimento di 49 dosi già confezionate e termosaldate è stato considerato un elemento inequivocabile della destinazione della sostanza alla vendita a terzi.

Infine, anche la critica sul trattamento sanzionatorio è stata giudicata infondata. La Corte d’Appello aveva ampiamente giustificato la pena, non basandosi solo sui precedenti, ma considerando un quadro più ampio: il quantitativo della sostanza, la personalità dell’imputato (già sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale) e la pendenza di altri procedimenti specifici a suo carico.

Le conclusioni

L’ordinanza della Cassazione si conclude con la declaratoria di inammissibilità del ricorso. Di conseguenza, conformemente all’art. 616 del codice di procedura penale, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Questa decisione serve da monito: il ricorso per cassazione deve essere fondato su vizi di legittimità specifici e non può trasformarsi in un pretesto per tentare di ottenere una terza valutazione dei fatti. La specificità e la pertinenza delle censure sono requisiti imprescindibili per superare il vaglio di ammissibilità della Suprema Corte.

Perché la Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché era generico, non sollevava specifiche violazioni di legge e mirava a una nuova valutazione dei fatti già esaminati nei gradi precedenti. Inoltre, si limitava a riproporre le stesse argomentazioni già respinte dalla Corte d’Appello, senza criticarne la motivazione.

Quali elementi hanno dimostrato l’intenzione di spacciare la sostanza e non di usarla personalmente?
L’intenzione di spaccio è stata provata da elementi oggettivi: la sostanza (49 grammi di marijuana) era già suddivisa in 42 dosi singole, confezionate con il metodo della termosaldatura. Questa modalità di preparazione è stata ritenuta incompatibile con una destinazione al solo consumo personale.

Su quali basi è stata confermata la pena inflitta, ritenuta eccessiva dal ricorrente?
La pena è stata considerata adeguatamente motivata dalla Corte d’Appello, che ha tenuto conto non solo della quantità di droga, ma anche della personalità dell’imputato. In particolare, sono stati considerati rilevanti il fatto che fosse già sottoposto a sorveglianza speciale e che avesse a suo carico altri procedimenti penali specifici.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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