Ricorso inammissibile per Spaccio: La Cassazione Conferma la Condanna
L’ordinanza in esame offre un chiaro esempio di come la Corte di Cassazione valuti un ricorso inammissibile in materia di stupefacenti. La Suprema Corte ha rigettato le doglianze di un imputato, confermando la decisione dei giudici di merito e sottolineando l’importanza di una motivazione logica e coerente. Questo caso ci permette di approfondire due aspetti cruciali del diritto penale: la qualificazione del reato di spaccio e l’applicazione della recidiva.
I Fatti del Caso
L’imputato era stato condannato in primo grado e in appello per diversi episodi di cessione e detenzione illecita di sostanze stupefacenti, sia leggere che pesanti, commessi nell’arco di sei mesi. La condanna teneva conto delle attenuanti generiche, considerate equivalenti alla recidiva contestata, con un aumento per la continuazione tra i reati e la diminuzione prevista per la scelta del rito abbreviato.
L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando principalmente due aspetti:
1. Il mancato riconoscimento dell’ipotesi di reato di lieve entità, prevista dal comma 5 dell’art. 73 del d.P.R. 309/1990.
2. La mancata esclusione della recidiva.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. Secondo i giudici di legittimità, la pronuncia della Corte d’Appello era supportata da una motivazione appropriata, basata su elementi probatori significativi e priva di vizi logico-giuridici. Inoltre, le lamentele del ricorrente sono state giudicate come una mera riproposizione di censure già esaminate e correttamente respinte nei precedenti gradi di giudizio.
Le Motivazioni della Decisione sul ricorso inammissibile
La Corte ha smontato punto per punto i motivi del ricorso, fornendo una spiegazione dettagliata del perché la decisione impugnata fosse corretta.
La Qualificazione del Reato di Spaccio
Per quanto riguarda il primo motivo, relativo alla mancata applicazione dell’ipotesi di lieve entità, la Corte ha evidenziato che i giudici di merito avevano correttamente basato la loro decisione su elementi oggettivi inequivocabili:
* Pluralità di sostanze: L’attività di spaccio riguardava droghe sia leggere che pesanti.
* Quantità rilevante: Le quantità trattate erano significative.
* Canali di rifornimento: L’imputato aveva contatti con canali di approvvigionamento importanti.
* Arco temporale: L’attività criminale si era protratta per un ampio periodo (sei mesi).
Questi elementi, nel loro insieme, sono stati ritenuti incompatibili con la figura del reato di lieve entità, che presuppone una minore offensività della condotta.
La Questione della Recidiva
Anche il secondo motivo, riguardante la recidiva, è stato respinto. La Corte ha sottolineato che la decisione di riconoscere e applicare la recidiva era fondata sulla pluralità di sentenze di condanna a carico dell’imputato. È stato inoltre precisato che per tali condanne non si era verificato l’effetto estintivo previsto dall’articolo 445, comma 2, del codice di procedura penale, che può operare in determinate condizioni dopo un patteggiamento. La motivazione della Corte d’Appello su questo punto è stata ritenuta analitica e corretta.
Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Pronuncia
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: il ricorso in Cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si possono rivalutare i fatti. La sua funzione è quella di controllare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione. Quando un ricorso si limita a riproporre le stesse questioni già adeguatamente risolte, senza evidenziare reali vizi di legittimità, la sua sorte è segnata: viene dichiarato inammissibile. In questo caso, all’inammissibilità è seguita la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale. La decisione serve da monito sull’importanza di fondare le impugnazioni su vizi concreti e non su una generica contestazione delle valutazioni di merito.
Quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Un ricorso viene dichiarato inammissibile quando è manifestamente infondato, ovvero quando i motivi proposti sono palesemente privi di fondamento giuridico o si limitano a riproporre questioni di fatto già adeguatamente valutate dai giudici di merito, senza individuare vizi di legge o di motivazione.
Perché nel caso di specie non è stata riconosciuta l’ipotesi di reato di lieve entità (art. 73, comma 5)?
Non è stata riconosciuta perché la condotta dell’imputato presentava elementi di gravità incompatibili con tale ipotesi, quali la pluralità delle sostanze stupefacenti trattate (leggere e pesanti), la quantità rilevante, l’ampio arco temporale dell’attività illecita e i contatti con importanti canali di rifornimento.
Cosa comporta la declaratoria di inammissibilità del ricorso?
Secondo l’art. 616 del codice di procedura penale, la declaratoria di inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma pecuniaria in favore della Cassa delle ammende, a meno che non si dimostri l’assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 12259 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 12259 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOME il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 14/02/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
1.NOME ricorre, tramite Difensore, per la cassazione della sentenza con cui la Corte di appello di Bologna il 14 febbraio 2023 ha integralmente confermato la decisione, appellata dall’imputato, con la quale il G.i.p. del Tribunale di Reggio Emilia il 7 dicembre 2021, all’esito del giudizio abbreviato, lo ha riconosciuto responsabile di più reati di cessione e di detenzione illecita di droga, sia leggera che pesante (art. 73, commi 1 e 4, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309), fatti commessi tra gennaio e giugno 2021, in conseguenza condannandolo, riconosciute le attenuanti generiche e stimate le stesse equivalenti alla recidiva, con l’aumento per la continuazione ed operata la diminuzione per il rito, alla pena di giustizia.
2.11 ricorrente si affida a due motivi con i quali lamenta promiscuamente violazione di legge e vizio di motivazione: in relazione al mancato riconoscimento nel caso di specie dell’ipotesi di cui al comma 5 dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del · 1990; ed in relazione alla omessa esclusione della contestata recidiva.
3.11 ricorso è manifestamente infondato: infatti la pronunzia è corredata da appropriata motivazione, basata su significative acquisizioni probatorie ed immune da vizi logico-giuridici anche quanto ai due temi, posti nel ricorso, della corretta qualificazione giuridica dei fatti e del riconoscimento e dell’applicazione della recidiva.
Entrambe le doglianze risultano, comunque, meramente reiterative di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi, con idonea e non illogica motivazione da parte dei giudici di merito, fondata: sulla pluralità di sostanze “trattate”, sulla quantità rilevante, indice di contatti con canali importanti d rifornimento, e sull’ampio arco temporale di azione, quanto al primo tema (v. p. 4 della sentenza impugnata); e sulla pluralità di sentenze di condanna riportate dall’imputato, senza che si sia verificato l’effetto estintivo di cui all’art. 4 comma 2, cod. proc. pen. (come spiegato analiticamente alle pp. 4-5 della sentenza impugnata).
4.Essendo, in definitiva, il ricorso inammissibile e non ravvisandosi ex art. 616 cod. proc. pen. assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 7-13 giugno 2000), alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della sanzione pecuniaria nella misura, che si ritiene congrua e conforme a diritto, che è indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 14/12/2023.