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Ricorso inammissibile per contestazioni generiche

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un contribuente condannato per l’utilizzo di fatture fittizie. Il ricorso è stato giudicato generico perché si limitava a contestare la valutazione dei fatti già operata dai giudici di merito, senza sollevare questioni di legittimità. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, confermando che un ricorso inammissibile non può essere utilizzato per ottenere un terzo grado di giudizio sul merito della vicenda.

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Pubblicato il 25 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: La Cassazione Conferma la Condanna per Fatture Fittizie

L’ordinanza in esame offre un importante chiarimento sui limiti del giudizio di legittimità e sulle conseguenze di un ricorso inammissibile. Con questa decisione, la Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: il ricorso in sede di legittimità non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sui fatti. La vicenda riguarda un imprenditore condannato per aver utilizzato fatture relative a operazioni inesistenti nelle proprie dichiarazioni dei redditi.

I Fatti del Processo

Un imprenditore veniva condannato in primo grado dal Tribunale e successivamente dalla Corte d’Appello, sebbene con una parziale riforma della pena. L’accusa era quella di aver inserito nella propria contabilità e nelle dichiarazioni fiscali delle fatture emesse da una società risultata essere, all’esito delle indagini e delle testimonianze, priva di una reale struttura aziendale e operativa. In sostanza, una società “cartiera” creata al solo scopo di emettere documenti fiscali falsi.

Contro la sentenza di secondo grado, l’imprenditore proponeva ricorso per cassazione, contestando la valutazione dei giudici di merito. In particolare, lamentava che fosse stata erroneamente affermata la natura fittizia delle fatture, sostenendo implicitamente di aver trattato con un’impresa che riteneva realmente operativa.

I Motivi del Ricorso e l’inammissibilità

L’imprenditore basava il suo ricorso su due motivi principali, lamentando sia la violazione di legge che un vizio di motivazione. Entrambi i motivi, tuttavia, si concentravano sulla stessa questione: la presunta erronea valutazione da parte della Corte d’Appello circa la natura fittizia delle fatture. Il ricorrente, di fatto, chiedeva alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove e le testimonianze per giungere a una conclusione diversa da quella dei giudici di merito.

Questo approccio ha portato la Suprema Corte a dichiarare il ricorso inammissibile. Il giudizio di Cassazione, infatti, è un giudizio di legittimità, non di merito. Ciò significa che la Corte non può rivalutare i fatti o le prove, ma solo controllare che i giudici dei gradi precedenti abbiano applicato correttamente le norme di legge e abbiano motivato la loro decisione in modo logico e non contraddittorio.

La Decisione della Cassazione: Analisi del ricorso inammissibile

La Corte ha ritenuto il ricorso manifestamente infondato e generico. L’imprenditore si era limitato a contrapporre la propria versione dei fatti a quella accertata nei gradi di merito, senza però allegare elementi concreti che dimostrassero un errore di diritto o un vizio logico nella motivazione della sentenza impugnata. Non è stato fornito alcun elemento per sostenere che egli avesse agito in buona fede, ritenendo di interloquire con un’impresa realmente esistente e operativa.

Le motivazioni

La motivazione della Corte si fonda su un principio consolidato: non è consentito, in sede di legittimità, presentare censure che si risolvono in una mera rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata. Il ricorrente non ha evidenziato errori giuridici, ma ha semplicemente espresso il proprio dissenso rispetto alla ricostruzione fattuale operata dalla Corte territoriale, basata su prove testimoniali non contestate. Richiedere una diversa valutazione delle prove è un’attività preclusa al giudice di legittimità. Di conseguenza, in assenza di vizi procedurali o di violazioni di legge, il ricorso è stato dichiarato inammissibile.

Le conclusioni

La declaratoria di inammissibilità ha comportato, ai sensi dell’art. 616 del codice di procedura penale, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Inoltre, la Corte ha disposto il pagamento di una somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Questa sanzione viene applicata quando non emergono elementi per ritenere che il ricorrente abbia proposto l’impugnazione senza colpa. La decisione sottolinea quindi le gravi conseguenze, anche economiche, di un ricorso presentato in modo improprio, che si limita a contestare l’insindacabile valutazione dei fatti compiuta dai giudici di merito.

Quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Un ricorso viene dichiarato inammissibile quando, tra le altre ragioni, non contesta errori di diritto o vizi di motivazione della sentenza precedente, ma si limita a chiedere un riesame dei fatti e delle prove, cosa che non rientra nelle competenze della Corte di Cassazione.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, se non vi è prova che il ricorso sia stato proposto senza colpa, anche al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende.

Perché il ricorrente non poteva contestare la natura fittizia delle fatture in Cassazione?
Perché la natura fittizia delle fatture era stata accertata dai giudici di primo e secondo grado sulla base di prove testimoniali. Contestare tale accertamento significa chiedere una nuova valutazione dei fatti (giudizio di merito), attività che è preclusa alla Corte di Cassazione, la quale si occupa solo della corretta applicazione della legge (giudizio di legittimità).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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