Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 46557 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 46557 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME VincenzoCOGNOME nato a Lamezia Terme il 20/05/1959
avverso l’ordinanza del 1/08/2024 del Tribunale di Reggio Calabria visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità
del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del primo agosto 2024 il Tribunale di Reggio Calabria ha rigettato la richiesta di riesame presentata da NOME COGNOME nei confron dell’ordinanza del primo luglio 2024 del Giudice per le indagini preliminari d medesimo Tribunale, con la quale gli era stata applicata la misura cautelare de arresti domiciliati in relazione al reato di concorso nella coltivazione illecita d piante di canapa, di cui agli artt. 73, comma 4, e 80, comma 2, d.P.R. 309/90 416-bisl cod. pen., commesso in Lannezia Terme, Rosarno e Candoni dal primo luglio 2021 al 30 ottobre 2021 (capo C della rubrica provvisoria).
Avverso tale ordinanza l’indagato ha proposto ricorso per cassazione, mediante l’Avvocato NOME COGNOME che lo ha affidato a un unico articolat motivo, con cui ha lamentato l’errata applicazione degli artt. 73 e 80 d.P.R. 309 e degli artt. 273, 274 e 275 cod. proc. pen.
Ha censurato l’affermazione della sussistenza di gravi indizi della propr partecipazione alla coltivazione della piantagione illecita di cannabis di cui al c), in quanto si trattava di piantagione già esistente, in relazione alla q ricorrente si era limitato ad accompagnarvi i lavoranti, senza mai dimostrare essere a conoscenza della illiceità della stessa, e in una occasione si era disponibile a fresare il terreno e in un’altra si era recato all’interno della st la sua automobile, cosicché doveva essere esclusa l’esistenza di elemen univocamente dimostrativi del suo concorso in tale reato.
Ha criticato anche l’affermazione della configurabilità della circostan aggravante di cui all’art. 80, secondo comma, d.P.R. 309/90, la cui consapevolezz in capo al ricorrente era stata desunta, in modo illogico, dalla sua vicinanza organizzatori dell’attività di coltivazione e dal fatto che si era occupato fresatura del terreno, in tal modo avendo piena contezza delle dimensioni dell piantagione.
Infine, ha contestato anche la sussistenza delle esigenze cautelari, ravvis nonostante la distanza cronologica dai fatti, risalenti all’anno 2021, l’elimina della piantagione e l’insussistenza di occasioni di prossima ricaduta nel del risultando assertiva l’affermazione dell’esistenza di contatti con ambienti crimi non essendo stato contestato al ricorrente il reato associativo.
Il Procuratore Generale ha concluso sollecitando la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, sottolineando l’adeguatezza della motivazione sia ordine alla gravità indiziaria sia a proposito della configurabilità della circo aggravante dell’ingente quantità, nonché la evidente sussistenza delle esigen cautelari, alla luce della gravità della condotta e dei precedenti del ricorrent
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Le censure in ordine alla esistenza di gravi indizi di responsabilità e alla configurabilità della circostanza aggravante dell’ingente quantità di cui all’art. 80, secondo comma, d.P.R. 309/90, sono generiche, in quanto prive di confronto critico con le risultanze istruttorie e con l’ampia e approfondita motivazione dell’ordinanza impugnata, e anche manifestamente infondate, essendo volte a sollecitare una non consentita rivisitazione delle risultanze istruttorie, allo scopo di ottenerne una lettura alternativa per quanto riguarda la partecipazione del ricorrente alla condotta illecita di coltivazione di cannabis di cui al capo c) e la configurabilità della suddetta circostanza aggravante, rivisitazione non consentita, in presenza di motivazione idonea e immune da vizi logici, nel giudizio di legittimità.
Al riguardo il Tribunale di Reggio Calabria, dopo aver richiamato le emergenze investigative in ordine agli indizi della realizzazione di una estesa piantagione di cannabis da parte di un gruppo organizzato, di cui facevano parte, con funzioni direttive, anche alcuni esponenti di note cosche mafiose calabresi, ha sottolineato, richiamando ampiamente l’analitica motivazione dell’ordinanza applicativa della misura, che al ricorrente COGNOME erano stati assegnati compiti di supporto logistico a favore di coloro che lavoravano nella piantagione e la sorvegliavano, svolgendo anche mansioni di autista e occupandosi di lavori agricoli necessari alla coltivazione (tra l’altro a bordo di un trattore per eseguire la fresatura del terreno), evidenziando che lo stesso era stato ripreso all’interno della piantagione dal sistema di videosorveglianza ivi installato, da cui sono stati estrapolati i fotogrammi che lo riprendono, e anche quanto emergente dalle intercettazioni di conversazioni, da cui sono emersi con chiarezza il ruolo e i compiti assegnati al COGNOME. Sulla base di questi elementi il Tribunale ha confermato la desumibilità della piena consapevolezza da parte del ricorrente del carattere illecito della piantagione e anche della sua estensione e, quindi, del quantitativo di stupefacente dalla stessa ricavabile.
Si tratta di motivazione certamente idonea e logica, essendo stati evidenziati i plurimi e convergenti elementi dimostrativi della partecipazione alla condotta contestata da parte del ricorrente, che questi ha censurato in modo generico, senza considerare il complesso degli elementi di prova esaminati congiuntamente e in modo logico dai giudici di merito, ed esclusivamente sul piano della lettura delle risultanze istruttorie, dunque in modo non consentito nel giudizio di legittimità, neppure nella materia delle misure cautelari personali.
In tema di misure cautelari personali, infatti, il ricorso per cassazione per vizio di motivazione del provvedimento del tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza consente al giudice di legittimità, in relazione alla peculiare natura del giudizio ed ai limiti che ad esso ineriscono, la sola verifica delle censure inerenti la adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie e non il controllo di quelle censure che, come nel caso in esame, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976 – 01; v. anche Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, COGNOME, Rv. 215828 – 01).
3. Deve, inoltre, aggiungersi che le doglianze in ordine alla configurabilità della suddetta circostanza aggravante della ingente quantità fatti non sono accompagnate da uno specifico interesse a sollevarle, in quanto dal loro eventuale accoglimento non conseguirebbe alcun effetto favorevole per il ricorrente, posto che il titolo di reato contestato consente egualmente l’applicazione della misura e che non è stata prospettata una incidenza sulla gravità della condotta quale conseguenza della gravità indiziaria in ordine a detta circostanza aggravante.
Va, infatti, rammentato che in tema di procedimento cautelare sussiste l’interesse concreto e attuale dell’indagato alla proposizione del riesame o del ricorso per cassazione quando l’impugnazione sia volta a ottenere l’esclusione di una circostanza aggravante ovvero una diversa qualificazione giuridica del fatto, nel solo caso in cui ciò incida sull’an o sul quomodo della misura (Sez. 2, n. 17366 del 21/12/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284489 – 01, relativa ad associazione per delinquere di tipo mafioso, in cui è stata ritenuta corretta la decisione dichiarativa dell’inammissibilità del ricorso, in quanto finalizzato alla sola esclusione del ruolo apicale dell’indagato all’interno del sodalizio, elemento privo di riflessi sui presupposti della misura cautelare e sulla sua durata; v. anche Sez. 6, n. 5213 del 11/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275028 – 01, con la quale è stato ritenuto inammissibile per carenza d’interesse il ricorso con cui era stata contestata la sussistenza dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa senza che fossero impugnate le valutazioni in punto di pericolo di reiterazione non fondate su tale presunzione; nel medesimo senso Sez. 3, n. 36731 del 17/04/2014, COGNOME, Rv. 260256 – 01).
Ora, nel caso in esame, il ricorrente, nel contestare la configurabilità della circostanza aggravante della ingente quantità di cui all’art. 80, secondo comma, d.P.R. 309/90, non ha in alcun modo illustrato come l’esclusione di tale circostanza inciderebbe sul quadro indiziario a suo carico, o sulla valutazione di gravità della condotta, non essendo, tra l’altro, stati sollevati rilievi sulla adeguatezza della
misura, ma solo sulla esistenza delle esigenze cautelari, ma per ragioni diverse rispetto alla configurabilità di tale circostanza, cosicché la doglianza circa la configurabilità di detta circostanza aggravante risulta, oltre che generica e manifestamente infondata, anche priva del necessario interesse a dedurla, posto che dal suo eventuale accoglimento non potrebbe discendere alcun effetto favorevole per il ricorrente, posto che il reato contestato consentirebbe, come osservato, egualmente l’applicazione della misura.
Considerazioni analoghe a quelle svolte al par. 2 possono essere fatte per quanto riguarda la doglianza in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari, che è stata contestata, nuovamente, in modo generico, senza considerare gli aspetti di gravità della condotta e di personalità del ricorrente sottolineati dal Tribunale, e, anche a questo proposito, sul piano valutativo, ossia del giudizio di pericolosità del ricorrente.
Il Tribunale, infatti, ha giustificato l’affermazione della sussistenza del pericolo di inquinamento delle prove sottolineando l’attenzione dei concorrenti nel reato, emersa dalle intercettazioni, alla dispersione di eventuali elementi indiziari, e anche del pericolo di recidivanza evidenziando lo spessore criminale del ricorrente, desunto dai suoi precedenti, nonché il suo inserimento in contesti criminali attigui alla criminalità organizzata, e le modalità del fatto, nel quale erano state investite in modo organizzato rilevanti risorse economiche: si tratta di argomenti idonei a giustificare la conferma della sussistenza e della attualità delle esigenze cautelari, in ragione della gravità della condotta, della personalità del ricorrente e dei suoi collegamenti con ambienti di criminalità organizzata, e non manifestamente illogici, che il ricorrente non ha considerato nella loro interezza e di cui, soprattutto, ha proposto una critica fondata su una diversa considerazione dei medesimi aspetti di fatto, da contrapporre, anche a questo proposito, a quella dei giudici di merito, in tal guisa formulando di nuovo una censura non consentita nel giudizio di legittimità, nel quale, come da giurisprudenza consolidata e univoca, è esclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali, o una diversa ricostruzione storica dei fatti, o un diverso giudizio di rilevanza, o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, COGNOME, Rv. 262575; Sez. 3, n. 12226 del 22/01/2015, G.F.S., non massimata; Sez. 3, n. 40350, del 05/06/2014, C.C. in proc. M.M., non massimata; Sez. 3, n. 13976 del 12/02/2014, RG., non massimata; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, COGNOME, Rv. 253099; Sez. 2, n. 7380 del 11/01/2007, Messina ed altro, Rv. 235716).
Il ricorso deve, in conclusione, essere dichiarato inammissibile, a cagione della genericità e del contenuto non consentito di tutte le censure alle quali è stato affidato.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 5/12/2024