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Ricorso inammissibile per attenuanti non concesse

La Corte di Cassazione dichiara un ricorso inammissibile presentato da un’imputata condannata per furto aggravato, resistenza e lesioni. L’appello, basato sulla richiesta di attenuanti generiche, è stato respinto in quanto mera ripetizione di argomenti già disattesi in appello e privo di una critica argomentata alla sentenza impugnata. La Corte ha chiarito che la restituzione tardiva del maltolto è un post-fatto irrilevante ai fini di una specifica attenuante.

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Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: Nessuno Sconto di Pena se i Motivi sono Ripetitivi

L’ordinanza della Corte di Cassazione in esame offre un importante chiarimento sui requisiti di ammissibilità dei ricorsi, sottolineando come la semplice riproposizione di argomenti già respinti conduca a una dichiarazione di ricorso inammissibile. Questo principio è fondamentale per garantire l’efficienza del sistema giudiziario e per definire i confini di una difesa efficace. Analizziamo la vicenda processuale e le ragioni che hanno portato i giudici a questa conclusione.

I Fatti del Processo

Il caso ha origine da una sentenza della Corte d’Appello che aveva parzialmente modificato una condanna di primo grado. L’imputata era stata riconosciuta colpevole di tre distinti reati:

1. Furto aggravato dalla destrezza (capo A), riqualificato dalla Corte d’Appello.
2. Resistenza a pubblico ufficiale (capo B).
3. Lesione personale (capo C).

Nonostante una parziale riforma della prima sentenza, che aveva eliminato le pene accessorie, la condanna principale era stata confermata. L’imputata ha quindi deciso di presentare ricorso alla Corte di Cassazione, affidandosi a un unico motivo di impugnazione.

Il Ricorso in Cassazione e le Sue Debolezze

Il nucleo del ricorso si concentrava sulla violazione di legge e sul vizio di motivazione riguardo al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti comuni e generiche. La difesa sosteneva che la Corte d’Appello avesse errato nel non concedere uno sconto di pena.

Tuttavia, la Suprema Corte ha immediatamente rilevato una debolezza fatale nell’impostazione del ricorso: i motivi presentati non erano altro che una ‘pedissequa reiterazione’ di quelli già esaminati e puntualmente respinti nel giudizio d’appello. In pratica, invece di formulare una critica argomentata e specifica contro le motivazioni della sentenza di secondo grado, la difesa si era limitata a riproporre le stesse argomentazioni. Questo approccio rende il ricorso inammissibile perché non assolve alla sua funzione tipica, che è quella di contestare in modo specifico e pertinente le ragioni della decisione impugnata.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha articolato la sua decisione di inammissibilità su tre punti principali.

In primo luogo, ha ribadito che un ricorso non può essere un mero duplicato dell’atto di appello. Deve contenere una critica specifica e mirata alla sentenza che si contesta, altrimenti è considerato solo apparente e non specifico. Nel caso di specie, i motivi erano generici e non si confrontavano realmente con le argomentazioni della Corte d’Appello.

In secondo luogo, i giudici hanno affrontato l’argomento della temporaneità della sottrazione del telefono, che secondo la difesa avrebbe dovuto integrare l’attenuante di cui all’art. 62, n. 4 c.p. (danno di speciale tenuità o risarcimento). La Corte ha chiarito che la restituzione del bene è un post factum, un evento accaduto dopo il perfezionamento del reato di furto. Pertanto, non può essere considerato rilevante ai fini del riconoscimento di tale attenuante, che valuta la situazione al momento della commissione del reato.

Infine, è stata respinta anche la doglianza relativa a un presunto errore di calcolo della pena, in cui la Corte d’Appello avrebbe erroneamente identificato la resistenza a pubblico ufficiale come reato più grave anziché il furto. Il ricorso è stato dichiarato inammissibile per carenza di interesse, poiché la difesa non ha spiegato quale vantaggio pratico sarebbe derivato da una diversa strutturazione del calcolo della pena partendo da un reato meno grave.

Le Conclusioni

La decisione finale è stata la dichiarazione di inammissibilità del ricorso. Di conseguenza, la sentenza della Corte d’Appello è diventata definitiva. L’imputata è stata condannata al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende. Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale della procedura penale: per accedere al giudizio di legittimità, non basta essere in disaccordo con una decisione, ma è necessario strutturare un’impugnazione con motivi nuovi, specifici e capaci di criticare in modo logico e argomentato la sentenza precedente. La mera riproposizione di tesi già respinte non è sufficiente e porta inevitabilmente a un ricorso inammissibile.

Perché un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile?
Un ricorso viene dichiarato inammissibile quando manca dei requisiti essenziali previsti dalla legge. Nel caso specifico, perché i motivi erano una semplice e acritica ripetizione (‘pedissequa reiterazione’) di argomenti già presentati e respinti nel giudizio di appello, senza formulare una critica specifica e argomentata contro la sentenza impugnata.

La restituzione di un bene rubato garantisce sempre uno sconto di pena?
No. Secondo la Corte, la restituzione del bene avvenuta dopo che il reato si è perfezionato è un ‘post factum’, ovvero un evento successivo irrilevante ai fini del riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 4 del codice penale, che valuta il danno al momento del fatto.

È sufficiente lamentare un errore di calcolo della pena per ottenere una modifica della sentenza?
No, non è sufficiente. La Corte ha ritenuto il motivo inammissibile per ‘carenza di interesse’, in quanto la parte ricorrente non ha illustrato le ragioni concrete e il vantaggio pratico che avrebbe ottenuto da una riforma del calcolo della pena basato su un reato meno grave.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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