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Ricorso inammissibile: pena e motivazione sufficiente

La Corte di Cassazione dichiara un ricorso inammissibile presentato da un condannato per spaccio e detenzione d’armi. La Corte ha ritenuto che la pena, seppur superiore al minimo, fosse adeguatamente motivata dalla gravità dei fatti (quantità della droga, purezza e possesso di un’arma) e che la confessione dell’imputato, colto in flagranza, non fosse determinante per una riduzione.

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Pubblicato il 8 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: la Valutazione della Pena e il Ruolo della Confessione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, offre importanti chiarimenti sui criteri di valutazione di un ricorso inammissibile e sulla corretta motivazione del trattamento sanzionatorio. Il caso riguarda un individuo condannato per gravi reati, tra cui traffico di sostanze stupefacenti e detenzione illegale di armi. La difesa aveva contestato la decisione della Corte d’Appello, sostenendo che la pena inflitta fosse eccessiva e non adeguatamente giustificata, soprattutto alla luce della confessione resa dall’imputato. L’analisi della Suprema Corte fornisce una guida preziosa per comprendere quando un’impugnazione non supera il vaglio di ammissibilità.

I Fatti di Causa

Un soggetto veniva condannato in primo grado e successivamente in appello per una serie di reati commessi in data 28 giugno 2021. Le accuse includevano la violazione della legge sugli stupefacenti (art. 73 D.P.R. 309/90), la detenzione di armi (L. 895/1967) e la ricettazione (art. 648 c.p.). La Corte d’Appello di Brescia, pur riformando parzialmente la prima sentenza e riducendo la sola pena pecuniaria, aveva confermato nel resto la condanna. L’imputato, tramite il suo difensore, decideva quindi di presentare ricorso per cassazione.

Il Motivo del Ricorso: una Critica al Trattamento Sanzionatorio

L’unico motivo di ricorso si concentrava sulla presunta violazione di legge e sul vizio di motivazione relativo alla pena stabilita per il reato di spaccio. Secondo la difesa, i giudici di merito si erano discostati dal minimo edittale senza fornire una giustificazione adeguata. In particolare, si lamentava che non fosse stata data la giusta importanza alla confessione dell’imputato, un elemento che, ai sensi dell’art. 133 del codice penale, avrebbe dovuto influenzare positivamente la determinazione della pena.

La Decisione della Cassazione sul Ricorso Inammissibile

La Suprema Corte ha respinto le argomentazioni della difesa, dichiarando il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza. Secondo i giudici, l’impugnazione presentava deduzioni “estremamente vaghe e non specifiche”, non riuscendo a configurarsi come una critica argomentata e puntuale della sentenza di secondo grado. Questo è un punto cruciale: un ricorso, per essere ammissibile, deve attaccare in modo preciso le fondamenta logico-giuridiche della decisione impugnata, non limitarsi a una generica lamentela.

La Valutazione della Confessione in Caso di Flagranza

Un aspetto fondamentale della decisione riguarda il peso della confessione. La Corte ha chiarito che il suo valore è notevolmente ridotto quando l’imputato viene sorpreso dalla polizia giudiziaria in flagranza di reato. In tali circostanze, la confessione perde la sua pregnanza, in quanto l’autore del reato è già stato colto sul fatto, e la sua ammissione diventa quasi una constatazione dell’evidenza.

Le Motivazioni

La Corte ha ritenuto che la motivazione della sentenza d’appello fosse “sufficiente e non illogica”. I giudici di merito avevano correttamente giustificato la scelta di una pena leggermente superiore al minimo edittale sulla base di elementi concreti e oggettivi. Nello specifico, la decisione era fondata su: il dato ponderale e il grado di purezza della sostanza stupefacente; il contesto allarmante, caratterizzato dalla detenzione contemporanea di un’arma da sparo. Questi fattori, nel loro complesso, delineavano una gravità del fatto che giustificava pienamente il trattamento sanzionatorio applicato, rendendo marginale il contributo della confessione.

Le Conclusioni

L’ordinanza ribadisce un principio consolidato: la declaratoria di un ricorso inammissibile comporta non solo la conferma della sentenza impugnata, ma anche la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle ammende. La decisione sottolinea l’importanza di redigere ricorsi specifici e ben argomentati, capaci di evidenziare reali vizi della sentenza. Inoltre, chiarisce che elementi come la confessione devono essere valutati nel contesto specifico del caso e perdono di efficacia quando l’imputato è già stato scoperto in flagranza.

Quando un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile?
Un ricorso è dichiarato inammissibile quando è manifestamente infondato, ovvero presenta argomentazioni estremamente vaghe e non specifiche che non costituiscono una critica strutturata e puntuale della sentenza impugnata.

La confessione dell’imputato garantisce sempre una riduzione della pena?
No. Secondo questa ordinanza, la rilevanza della confessione è notevolmente ridotta se l’imputato è stato colto in flagranza di reato, cioè sorpreso dalle forze dell’ordine mentre commetteva il fatto.

Quali sono le conseguenze di un ricorso dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, il ricorrente è condannato al pagamento delle spese del procedimento e di una sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle ammende, come stabilito dall’art. 616 del codice di procedura penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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