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Ricorso inammissibile patteggiamento: no a riesame

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso contro una sentenza di patteggiamento per detenzione di stupefacenti. L’imputato aveva chiesto una diversa qualificazione giuridica del reato, ma la Corte ha stabilito che tale richiesta implicava una rivalutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità per questo tipo di sentenze. La decisione conferma che il ricorso inammissibile patteggiamento è la conseguenza quando non si sollevano i motivi tassativamente previsti dalla legge, condannando il ricorrente al pagamento delle spese e di un’ammenda.

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Pubblicato il 29 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile Patteggiamento: Quando la Cassazione non può riesaminare i fatti

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito i confini invalicabili dell’appello contro una sentenza di patteggiamento, specialmente in materia di stupefacenti. La decisione sottolinea un principio fondamentale: il giudizio di legittimità non può trasformarsi in una rivalutazione del merito dei fatti. Quando ciò accade, la conseguenza è un ricorso inammissibile patteggiamento, con condanna alle spese e a un’ammenda per il ricorrente. Questo caso offre uno spunto cruciale per comprendere i limiti e le condizioni per impugnare un accordo sulla pena.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine da un ricorso presentato avverso una sentenza di applicazione della pena su richiesta (il cosiddetto “patteggiamento”) emessa dal Tribunale di Milano. L’imputato era stato condannato per detenzione di sostanze stupefacenti. Invece di contestare vizi procedurali o l’illegalità della pena concordata, il ricorrente ha basato il suo appello su un unico punto: la mancata qualificazione della sua condotta come fatto di lieve entità, ai sensi dell’art. 73, comma 5, del d.P.R. 309/90.

In sostanza, l’imputato non ha messo in discussione la validità del suo consenso al patteggiamento, né la correlazione tra la richiesta e la sentenza, ma ha chiesto alla Suprema Corte una riconsiderazione degli elementi di fatto per ottenere un trattamento sanzionatorio più mite.

I Motivi del Ricorso e la Decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione ha esaminato i motivi del ricorso con una procedura semplificata (de plano), riservata ai casi di manifesta inammissibilità. I giudici hanno subito evidenziato come le ragioni addotte dal ricorrente non rientrassero nel novero dei motivi per i quali è consentito impugnare una sentenza di patteggiamento. La richiesta di applicare l’ipotesi attenuata del reato di spaccio presupponeva, infatti, una “rivalutazione degli elementi considerati” dal giudice di merito, un’operazione preclusa in sede di legittimità.

Di conseguenza, la Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile patteggiamento, evidenziando che le doglianze proposte erano generiche, assertive e miravano a un riesame del merito, non consentito avverso questo tipo di sentenze. La decisione è stata netta: il ricorso doveva essere dichiarato inammissibile.

Le Motivazioni della Suprema Corte

Le motivazioni dell’ordinanza sono chiare e didattiche. La Cassazione ha ricordato che il ricorso avverso una sentenza di patteggiamento è consentito solo per questioni specifiche e tassative:

1. Vizi della volontà: problemi relativi all’espressione del consenso al patteggiamento.
2. Difetto di correlazione: una discordanza tra quanto richiesto dalle parti e quanto deciso dal giudice.
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto: un palese errore nell’inquadrare il fatto storico nella corretta norma penale.
4. Illegalità della pena o della misura di sicurezza: quando la sanzione applicata è contraria alla legge.

Nel caso specifico, il ricorrente non ha sollevato nessuna di queste questioni. La sua richiesta di riconsiderare la condotta per farla rientrare nel “fatto di lieve entità” non rappresentava la denuncia di un errore giuridico manifesto, ma una sollecitazione a una diversa valutazione del quadro fattuale. La Corte ha precisato che una simile istanza è una “doglianza non consentita nel giudizio di legittimità”, poiché non è stato prospettato un errore manifesto, ma semplicemente chiesta una “rivalutazione della condotta”.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Decisione

Questa pronuncia rafforza la natura definitiva del patteggiamento come accordo processuale. Chi accetta di patteggiare, di fatto, rinuncia a contestare nel merito la ricostruzione dei fatti e la loro qualificazione giuridica, salvo i casi di errori palesi e manifesti. La decisione serve da monito: non è possibile utilizzare il ricorso per cassazione come un terzo grado di giudizio di merito mascherato. Le parti devono essere consapevoli che, una volta raggiunto l’accordo, le vie di impugnazione sono estremamente limitate e circoscritte a vizi specifici. L’esito di un tentativo di aggirare questi limiti è, come in questo caso, la dichiarazione di inammissibilità, con la conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.

Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi proposti non rientravano tra quelli consentiti dalla legge per impugnare una sentenza di patteggiamento. L’imputato ha chiesto una rivalutazione dei fatti per ottenere una qualificazione più favorevole del reato, attività che non è permessa alla Corte di Cassazione.

Quali sono i motivi validi per ricorrere in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
I motivi consentiti sono specifici e riguardano: vizi nell’espressione della volontà di patteggiare, mancanza di correlazione tra la richiesta e la sentenza, erronea qualificazione giuridica del fatto e illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.

Quali sono state le conseguenze per il ricorrente?
A seguito della dichiarazione di inammissibilità del ricorso, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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