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Ricorso inammissibile patteggiamento: limiti ex art. 448

La Corte di Cassazione ha dichiarato un ricorso inammissibile contro una sentenza di patteggiamento, poiché i motivi non rientravano tra quelli tassativamente previsti dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. L’ordinanza sottolinea che un’impugnazione generica, non focalizzata su vizi specifici come l’erronea qualificazione giuridica o l’illegalità della pena, porta a una declaratoria di inammissibilità e alla condanna al pagamento di una sanzione pecuniaria. Questo caso conferma la stretta interpretazione delle norme sul ricorso inammissibile patteggiamento.

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Pubblicato il 11 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile Patteggiamento: I Limiti Imposti dalla Cassazione

Con l’ordinanza n. 13762 del 2024, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale in materia di impugnazioni: il ricorso inammissibile patteggiamento è una conseguenza quasi certa quando i motivi di appello non rientrano nel perimetro strettamente definito dalla legge. Questa decisione offre un’importante lezione sulle limitazioni previste dall’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale e sulle severe conseguenze economiche per chi intraprende un’impugnazione infondata.

I Fatti di Causa

La vicenda processuale ha origine da una sentenza di patteggiamento emessa dal Tribunale di Taranto. L’imputato, a seguito di un accordo con la pubblica accusa, aveva ottenuto l’applicazione di una pena di ventidue mesi di reclusione e 800 euro di multa per una serie di reati, tra cui furto aggravato e resistenza a pubblico ufficiale.

Nonostante l’accordo raggiunto, la difesa dell’imputato decideva di presentare ricorso per Cassazione avverso tale sentenza, lamentando una generica “violazione di legge e vizio di motivazione” in riferimento agli articoli 125 e 444 del codice di procedura penale.

La Disciplina del Ricorso dopo il Patteggiamento

Il patteggiamento è un rito che presuppone un accordo tra le parti. Per questa ragione, il legislatore ha fortemente limitato la possibilità di impugnare la sentenza che ne deriva. La riforma introdotta con la legge n. 103 del 2017 ha cristallizzato questa volontà nell’art. 448, comma 2-bis, c.p.p., che elenca in modo tassativo i motivi per cui è possibile ricorrere in Cassazione.

I motivi ammessi sono esclusivamente:

* Espressione della volontà dell’imputato: Se il consenso al patteggiamento è viziato.
* Difetto di correlazione: Se la sentenza non corrisponde alla richiesta concordata.
* Erronea qualificazione giuridica del fatto: Se il reato è stato inquadrato in una fattispecie errata.
* Illegalità della pena o della misura di sicurezza: Se la sanzione applicata è contraria alla legge.

Qualsiasi altro motivo è, per definizione, escluso e conduce a un ricorso inammissibile patteggiamento.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte, analizzando il ricorso, ha agito con estrema rapidità, dichiarandolo inammissibile “senza formalità”, come previsto dall’art. 610, comma 5-bis, c.p.p. per i casi di manifesta infondatezza.

Le Motivazioni della Declaratoria di Inammissibilità

Le motivazioni dell’ordinanza sono chiare e lineari. I giudici hanno evidenziato che la censura mossa dalla difesa era del tutto generica e non rientrava in alcuna delle quattro categorie consentite dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. Il ricorso non contestava né la validità del consenso prestato dall’imputato, né un errore nella qualificazione giuridica dei reati, né l’illegalità della pena concordata. Si limitava a sollevare una doglianza astratta, incompatibile con la natura e la finalità del rito speciale.

La Corte ha quindi applicato la legge alla lettera, affermando che il motivo proposto non era “consentito”. Di conseguenza, l’impugnazione non poteva superare il vaglio preliminare di ammissibilità. Oltre a dichiarare il ricorso inammissibile, la Corte ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 4.000,00 euro in favore della Cassa delle ammende. Tale importo, come specificato nell’ordinanza, è giustificato dall'”elevato coefficiente di colpa” del ricorrente nell’aver promosso un’impugnazione palesemente destinata al fallimento.

Le Conclusioni

Le conclusioni che si possono trarre da questa pronuncia sono nette. Impugnare una sentenza di patteggiamento è un’opzione percorribile solo in casi eccezionali e ben definiti. L’intento del legislatore è quello di dare stabilità agli accordi raggiunti tra accusa e difesa, evitando ricorsi dilatori o pretestuosi. La decisione della Cassazione funge da monito: un ricorso basato su motivi generici non solo verrà dichiarato inammissibile, ma comporterà anche significative sanzioni economiche. Gli avvocati devono quindi valutare con estremo rigore la sussistenza di uno dei vizi tassativamente previsti dalla norma prima di intraprendere la via del ricorso, per non esporre i propri assistiti a ulteriori e inutili costi.

È sempre possibile fare ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
No, non è sempre possibile. Il ricorso è ammesso solo per motivi specifici e limitati, elencati dall’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, come l’erronea qualificazione giuridica del fatto o l’illegalità della pena.

Quali sono le conseguenze di un ricorso dichiarato inammissibile?
La conseguenza principale è la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, il cui importo è stabilito dal giudice in base alla colpa nel proporre un’impugnazione non consentita. In questo caso, la somma è stata di 4.000,00 euro.

Perché il motivo del ricorso in questo caso non è stato accettato?
Il motivo del ricorso è stato respinto perché non rientrava in nessuna delle categorie tassativamente previste dalla legge per impugnare una sentenza di patteggiamento. La censura sollevata non riguardava l’espressione della volontà, la correlazione tra richiesta e sentenza, la qualificazione giuridica o l’illegalità della pena.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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