Ricorso Inammissibile Patteggiamento: I Limiti Imposti dalla Cassazione
L’istituto dell’applicazione della pena su richiesta delle parti, noto come patteggiamento, rappresenta una scelta processuale che comporta significative conseguenze, inclusa una forte limitazione alla possibilità di impugnazione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito la rigidità dei presupposti per contestare una sentenza di patteggiamento, dichiarando un ricorso inammissibile patteggiamento e delineando con chiarezza i confini entro cui la difesa può muoversi. Questa decisione offre spunti cruciali per comprendere quando e come sia possibile ricorrere contro un accordo sulla pena.
I Fatti del Caso: L’Impugnazione di una Sentenza di Patteggiamento
Il caso trae origine da un ricorso presentato avverso una sentenza del Tribunale di Cosenza, con cui era stata applicata una pena su richiesta delle parti. Il ricorrente basava la propria impugnazione su due motivi principali: l’erronea qualificazione giuridica del fatto come reato previsto dall’art. 387-bis del codice penale e la conseguente illegalità della pena applicata. La difesa sosteneva, in sostanza, che i fatti contestati non integrassero la fattispecie di reato per cui era intervenuta la condanna, lamentando un errore di diritto da parte del giudice di merito.
La Decisione della Corte di Cassazione e il Ricorso Inammissibile Patteggiamento
La Suprema Corte, con una procedura semplificata, ha dichiarato il ricorso totalmente inammissibile. I giudici di legittimità hanno ritenuto che i motivi proposti non rientrassero tra quelli tassativamente previsti dalla legge per l’impugnazione delle sentenze di patteggiamento. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, a conferma della manifesta infondatezza del suo gravame.
Le Motivazioni della Suprema Corte
La decisione si fonda su un’interpretazione rigorosa dell’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, che elenca i soli casi in cui è ammesso il ricorso per cassazione avverso una sentenza di patteggiamento. La Corte ha chiarito i seguenti punti fondamentali.
I Limiti dell’Art. 448, comma 2-bis, c.p.p.
La norma consente di dedurre l’erronea qualificazione del fatto solo se l’errore è manifesto, ovvero immediatamente percepibile dalla lettura del provvedimento impugnato, senza necessità di complesse valutazioni di merito. La Cassazione ha sottolineato che la novella legislativa del 2017 ha semplicemente codificato un principio già consolidato in giurisprudenza: il ricorso non può diventare un pretesto per rimettere in discussione l’accordo tra le parti o per denunciare errori valutativi che non siano evidenti ictu oculi.
L’Erronea Qualificazione del Fatto: Solo in Caso di Errore Manifesto
Nel caso specifico, la Corte ha rilevato che la doglianza del ricorrente era formulata in termini astratti e meramente evocativi, senza dimostrare un errore palese e indiscutibile. La difesa si era limitata a contestare la qualificazione giuridica in modo generico, senza evidenziare quella macroscopica incongruenza tra i fatti descritti nell’imputazione e la norma incriminatrice applicata, che sola avrebbe potuto giustificare l’intervento della Cassazione. La denuncia di un errore non evidente dal testo del provvedimento si traduce in una richiesta di riesame del merito, preclusa in questa sede.
L’Illegalità della Pena
Anche il secondo motivo, relativo all’illegalità della pena, è stato respinto. I giudici hanno spiegato che tale doglianza era una mera conseguenza della contestata qualificazione giuridica. Poiché la qualificazione era stata ritenuta non sindacabile per le ragioni esposte, anche la presunta illegalità della pena perdeva di fondamento. Inoltre, è stato accertato che la sanzione applicata rientrava pienamente nei limiti edittali previsti dalla legge per il reato contestato, escludendo così qualsiasi profilo di illegalità in senso tecnico.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia
L’ordinanza in esame ribadisce un principio cardine del sistema processuale: la scelta del patteggiamento è una decisione ponderata che limita fortemente le successive vie di ricorso. Chi accede a tale rito deve essere consapevole che la sentenza potrà essere impugnata solo per vizi gravissimi e di immediata percezione, come un errore palese nella qualificazione del fatto o l’applicazione di una pena non prevista dall’ordinamento. Non è ammessa una riconsiderazione dei fatti o una critica generica alla valutazione del giudice. Questa pronuncia serve da monito: il ricorso per cassazione contro il patteggiamento è un rimedio eccezionale, non uno strumento per rinegoziare l’esito del processo.
È sempre possibile impugnare una sentenza di patteggiamento in Cassazione?
No, non è sempre possibile. L’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. elenca tassativamente i motivi per cui si può ricorrere, limitando l’impugnazione a casi specifici come l’erronea qualificazione giuridica del fatto, ma solo se l’errore è manifesto e immediatamente riconoscibile.
Cosa si intende per ‘errore manifesto’ nella qualificazione giuridica del fatto?
Per ‘errore manifesto’ si intende un errore palese, evidente ‘ictu oculi’ (a colpo d’occhio) dalla semplice lettura del provvedimento impugnato. Non può trattarsi di una diversa interpretazione o di un errore che richieda una complessa analisi valutativa, ma di una palese contraddizione tra il fatto descritto e la norma di legge applicata.
Perché il motivo sull’illegalità della pena è stato respinto in questo caso?
Il motivo è stato respinto perché, secondo la Corte, la pena applicata rientrava nei limiti previsti dalla legge per il reato contestato. La doglianza del ricorrente era considerata una conseguenza della contestazione sulla qualificazione del fatto e, non essendo quest’ultima ammissibile, anche la critica alla pena è stata giudicata infondata.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 21322 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 21322 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a Cosenza il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 08/02/2024 del Tribunale di Cosenza letti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO.
Ritenuto che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con procedura semplificata e senza formalità, perché proposto per motivi non consentiti dalla legge, non configurandosi, se non in termini astratti e meramente evocativi del vizio, la condizione della erronea qualificazione giuridica del fatto come delitto previsto dall’art. 387-bis cod. pen. 385 e la illegalità della pena.
La disposizione di cui all’art. 448, comma 2 -bis, cod. proc. pen., che elenca espressamente gli unici casi nei quali è previsto il ricorso per cassazione avverso la decisione di applicazione della pena, consente alle parti di dedurre l’erronea qualificazione del fatto contenuto in sentenza, da condursi alla stregua del capo di imputazione, della succinta motivazione della sentenza e dei motivi dedotti nel ricorso, e che tuttavia deve ritenersi limitata, come già la consolidata giurisprudenza aveva stabilito al riguardo (avendo la novella del 2017 soltanto
codificato gli approdi giurisprudenziali sul tema), ai soli casi di errore man con conseguente inammissibilità della denuncia di errori valutativi in diritt non risultino evidenti dal testo del provvedimento impugnato (Sez. 1, n. 15553 del 20/03/2018, Maugeri, Rv. 272619): evenienza che, in relazione alle concrete modalità descritte in imputazione, non appare ictu ()cui/ ravvisabile e denunciata in termini generici evocando l’art. 50 cod. pen.
Né è deducibile la dedotta illegalità della pena, che nella prospettazione difensiva consegue alla ingiustizia della condanna, tenuto conto che la pena applicata rientra nei limiti previsti dalla fattispecie incriminatrice.
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 17/05/2024