Ricorso Inammissibile Patteggiamento: I Limiti dell’Appello Secondo la Cassazione
L’istituto del patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, rappresenta una delle principali vie per la definizione alternativa dei procedimenti penali. Tuttavia, la scelta di questo rito comporta significative limitazioni al diritto di impugnazione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce con chiarezza i confini entro cui è possibile contestare una sentenza di patteggiamento, evidenziando come un ricorso inammissibile patteggiamento sia l’esito inevitabile per motivi generici o non previsti dalla legge.
I Fatti del Caso
Quattro individui, dopo aver concordato con la Procura pene che andavano da otto mesi a oltre quattro anni di reclusione per reati legati agli stupefacenti, si sono visti applicare le sanzioni concordate dal Giudice dell’Udienza Preliminare. Nonostante l’accordo raggiunto, gli imputati hanno deciso di presentare un unico ricorso collettivo alla Corte di Cassazione. La loro doglianza si basava su un presunto vizio di motivazione: a loro dire, il giudice di primo grado non avrebbe adeguatamente verificato la possibile sussistenza di cause di proscioglimento, come previsto dall’articolo 129 del codice di procedura penale.
Il Patteggiamento e i Limiti all’Impugnazione
Il patteggiamento è una scelta processuale che implica una sorta di rinuncia a contestare l’accusa nel merito, in cambio di uno sconto di pena. Proprio per questa sua natura, il legislatore ha fortemente limitato la possibilità di impugnare la sentenza che ne deriva. L’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale elenca tassativamente i motivi per cui è possibile ricorrere in Cassazione, escludendo, ad esempio, le contestazioni sulla valutazione delle prove o sulla quantificazione della pena concordata.
Il ricorso degli imputati si fondava sull’obbligo del giudice, anche in sede di patteggiamento, di prosciogliere l’imputato se emergono evidenti cause di non punibilità. Essi sostenevano che la motivazione della sentenza fosse carente su questo specifico punto.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione sul Ricorso Inammissibile Patteggiamento
La Suprema Corte ha respinto il ricorso, dichiarandolo inammissibile con argomentazioni nette. In primo luogo, ha chiarito che il motivo addotto dai ricorrenti era estraneo al catalogo di quelli consentiti dall’art. 448, comma 2-bis c.p.p. La legge, infatti, non permette di utilizzare il ricorso contro il patteggiamento come uno strumento per rimettere in discussione l’intero quadro fattuale già accettato con l’accordo sulla pena.
In secondo luogo, e in modo dirimente, il ricorso è stato giudicato del tutto privo di specificità. I ricorrenti si sono limitati a una critica generica e astratta, senza indicare alcun elemento concreto o fattuale che il giudice avrebbe dovuto considerare per una potenziale assoluzione. Non è sufficiente lamentare una mancata verifica; è necessario specificare quali elementi, se esaminati, avrebbero potuto portare a un esito diverso. In assenza di tali indicazioni, il motivo si riduce a una mera illazione, rendendo il ricorso inammissibile patteggiamento.
Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche
La decisione della Corte di Cassazione conferma un principio fondamentale: chi sceglie il patteggiamento accetta un percorso processuale con diritti di impugnazione circoscritti. Tentare di aggirare questi limiti con motivi generici o non previsti dalla legge non solo è inutile, ma anche controproducente. La dichiarazione di inammissibilità ha comportato, per ciascuno dei ricorrenti, la condanna al pagamento delle spese processuali e al versamento di una cospicua somma (3.000 euro) alla Cassa delle Ammende. Questa pronuncia serve da monito: le impugnazioni devono essere fondate su motivi specifici e legalmente ammessi, altrimenti il rischio è quello di subire ulteriori conseguenze economiche oltre alla pena già patteggiata.
È possibile fare appello contro una sentenza di patteggiamento per qualsiasi motivo?
No, l’ordinanza chiarisce che il ricorso contro una sentenza di patteggiamento è consentito solo per i motivi specificamente elencati dall’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Motivi estranei a questo elenco sono inammissibili.
Cosa succede se un ricorso contro una sentenza di patteggiamento viene dichiarato inammissibile?
In caso di inammissibilità, come stabilito in questo provvedimento, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro (in questo caso 3.000 euro) a favore della Cassa delle Ammende a causa della colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.
Perché il motivo del ricorso basato sulla presunta insussistenza di cause di proscioglimento è stato respinto?
È stato respinto perché, oltre a non rientrare nei motivi consentiti dalla legge per questo tipo di impugnazione, era del tutto generico e privo di specificità. I ricorrenti non hanno indicato alcun elemento fattuale concreto che avrebbe dovuto imporre al giudice una verifica più approfondita sulla possibile non punibilità del fatto.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 5945 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 5945 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/12/2024
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: NOME nato il 21/11/1987 NOME nato il 09/06/1990 NOME COGNOME nato a TORRE DEL GRECO il 09/05/1977 NOME nato il 20/06/1980
avverso la sentenza del 17/07/2024 del GIUDICE COGNOME PRELIMINARE di RAVENNA
dato avv o alle parti;
udita la’ relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
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Rilevato che NOME COGNOME NOME, COGNOME Vincenzo e NOME COGNOME, ai quali è stata applicata la pena concordata ex art. 444 e ss. cod. proc. pen., rispettivamente, al prim di quattro anni e otto mesi di reclusione e di 20.600,00 euro di multa per il reato di cui al 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990, al secondo, di quattro anni di reclusione e di 16.700,00 euro di multa per il reato di cui all’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990, al terzo, di mesi di reclusione e di 1.000,00 euro di multa per il reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R 309 del 1990, e, al quarto di due anni di reclusione e di 3.000,00 euro di multa per il reat cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, articolando tutti un unico motivo di ricor deducono vizio di motivazione in ordine all’insussistenza di cause di proscioglimento ai sens dell’art. 129 c.p.p.;
Considerato che il motivo unico, comune a tutti i ricorrenti, espone doglianze non consentite perché estranee al catalogo di quelle previste dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., e, comunque, del tutto prive di specificità, poiché non contengono alcuna indicazione degli elementi fattuali che avrebbero dovuto imporre una verifica in ordine alla eventuale sussistenza di cause di non punibilità di cui all’art. 129 cod. proc. pen.;
Ritenuto, pertanto, che i ricorsi debbano essere dichiarati inammissibili, con condanna di entrambi i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, al versamento della somma di euro 3000 in favore della Cassa delle Ammende, sussistendo profili di colpa nella determinazione delle cause di inammissibilità;
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processual e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 20 dicembre 2024.