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Ricorso inammissibile patteggiamento: la Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato contro una sentenza di patteggiamento per reati di frode e autoriciclaggio. Il motivo del ricorso inammissibile patteggiamento risiede nel fatto che la presunta causa di assoluzione non era palesemente evidente dalla sentenza impugnata, unico caso in cui il controllo di legittimità è ammesso. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso inammissibile patteggiamento: quando la Cassazione chiude la porta

L’istituto del patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, rappresenta una via processuale accelerata, ma cosa succede se l’imputato, dopo l’accordo, ritiene di aver diritto a un’assoluzione piena? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i limiti strettissimi per l’impugnazione, confermando che un ricorso inammissibile patteggiamento è una conseguenza quasi certa quando non emergono vizi palesi dalla sentenza. Questo caso offre uno spunto fondamentale per comprendere i rischi e le condizioni di un’eventuale impugnazione.

I Fatti del Processo

Il caso ha origine da una sentenza di patteggiamento emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Padova. L’imputato aveva concordato una pena per reati commessi in concorso, specificamente truffa (art. 640 c.p.) e autoriciclaggio (art. 648-ter.1 c.p.).

Nonostante l’accordo raggiunto con la Procura, la difesa ha deciso di presentare ricorso per cassazione, sostenendo che il giudice di merito avrebbe dovuto prosciogliere l’imputato ai sensi dell’art. 129 del codice di procedura penale. Tale articolo impone al giudice di dichiarare d’ufficio determinate cause di non punibilità, anche in presenza di un accordo tra le parti. La difesa lamentava, quindi, una violazione di legge e vizi di motivazione per il mancato proscioglimento.

La Decisione della Corte: un ricorso inammissibile patteggiamento

La Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, dichiarandolo totalmente inammissibile. La decisione è stata presa de plano, ovvero senza le formalità di un’udienza pubblica, una procedura consentita quando l’inammissibilità appare manifesta.

Di conseguenza, l’imputato è stato condannato non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle Ammende. La Corte ha motivato questa sanzione pecuniaria evidenziando che il ricorso è stato proposto con colpa, data la chiarezza delle norme che ne limitano l’accesso.

Le motivazioni

Il cuore della decisione risiede nell’interpretazione restrittiva della possibilità di impugnare una sentenza di patteggiamento. La Corte ha ribadito un principio consolidato nella sua giurisprudenza: il controllo di legittimità su una sentenza di patteggiamento, per quanto riguarda la mancata applicazione dell’art. 129 c.p.p., è possibile solo a una condizione estremamente rigorosa. È necessario che la sussistenza di una causa di non punibilità (come l’evidenza che il fatto non sussiste, che l’imputato non lo ha commesso, ecc.) sia palesemente evidente dal testo stesso della sentenza impugnata.

Nel caso specifico, i giudici hanno osservato che tale evidenza non emergeva in alcun modo dalla sentenza del GIP, né era stata adeguatamente dedotta nel ricorso. Il motivo di impugnazione, pertanto, non rientrava tra quelli consentiti dall’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, che elenca tassativamente i vizi denunciabili in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento.

La Corte ha quindi applicato l’art. 616 c.p.p., che prevede la condanna al pagamento delle spese e di una sanzione pecuniaria in caso di declaratoria di inammissibilità. La quantificazione della sanzione in tremila euro è stata giustificata dalla “rilevante entità della colpa” del ricorrente nell’aver intrapreso un’azione legale senza i presupposti di legge.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame conferma che la scelta del patteggiamento è una decisione processuale con conseguenze quasi definitive. L’impugnazione in Cassazione è un rimedio eccezionale, non una terza istanza di merito. Chi intende percorrere questa strada deve essere consapevole che il ricorso sarà esaminato solo se si denunciano vizi specifici e, nel caso del mancato proscioglimento, solo se l’innocenza o la non punibilità emergono ictu oculi (a prima vista) dalla sentenza stessa. In caso contrario, il risultato più probabile è una declaratoria di ricorso inammissibile patteggiamento, con l’aggiunta di ulteriori oneri economici per il ricorrente.

È possibile fare ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
Sì, ma solo per i motivi specificamente previsti dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. Se si contesta la mancata assoluzione immediata (ex art. 129 c.p.p.), la causa di non punibilità deve essere palesemente evidente dal testo stesso della sentenza impugnata.

Cosa succede se il ricorso contro un patteggiamento viene dichiarato inammissibile?
Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria (in questo caso, 3.000 euro) a favore della Cassa delle Ammende. La Corte ritiene, infatti, che il ricorso sia stato proposto per colpa.

Perché la Corte di Cassazione ha deciso “de plano”, cioè senza udienza?
La legge (art. 610, comma 5-bis, c.p.p.) permette alla Corte di dichiarare l’inammissibilità del ricorso con una procedura semplificata e senza udienza pubblica quando i motivi di inammissibilità sono manifesti, come nel caso esaminato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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