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Ricorso inammissibile patteggiamento: il caso Cassazione

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso contro una sentenza di patteggiamento per un reato di droga. Il motivo, basato sulla mancata motivazione per l’esclusione di un proscioglimento ex art. 129 c.p.p., è stato ritenuto generico e fuori dai casi previsti dalla legge, configurando un ricorso inammissibile patteggiamento.

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Pubblicato il 11 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile Patteggiamento: Analisi di una Decisione della Cassazione

L’impugnazione di una sentenza di patteggiamento è un percorso giuridico con confini ben definiti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i limiti di tale facoltà, dichiarando inammissibile il ricorso di un imputato che lamentava una motivazione carente sulla mancata applicazione del proscioglimento. Questo caso evidenzia come un ricorso inammissibile patteggiamento possa derivare non solo da motivi non consentiti dalla legge, ma anche dalla genericità delle censure sollevate, prive di concreti elementi fattuali a supporto.

I Fatti del Processo

Il caso ha origine da una sentenza di patteggiamento emessa dal Tribunale di Bari. L’imputato, accusato del reato previsto dall’art. 73, comma 1, del d.P.R. 309/1990 (Testo Unico Stupefacenti), aveva concordato una pena di due anni e otto mesi di reclusione e 12.000,00 euro di multa.

Nonostante l’accordo sulla pena, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, sollevando un unico motivo: il vizio di motivazione. In particolare, si contestava al giudice di merito di non aver esplicitato le ragioni per cui aveva escluso la sussistenza delle condizioni per un proscioglimento immediato, come previsto dall’articolo 129 del codice di procedura penale.

I Limiti all’Impugnazione della Sentenza di Patteggiamento

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, dichiarandolo inammissibile. La decisione si fonda su due pilastri argomentativi principali, entrambi strettamente legati alla natura del patteggiamento e ai limiti specifici della sua impugnabilità.

In primo luogo, i Giudici hanno sottolineato come le doglianze presentate fossero del tutto prive di specificità. L’imputato non ha fornito alcun elemento fattuale concreto che avrebbe potuto o dovuto indurre il giudice a una valutazione diversa, ovvero a considerare la possibilità di un proscioglimento. La censura è rimasta, quindi, a un livello astratto e generico.

Estraneità ai Motivi Consentiti dalla Legge

Il punto cruciale della decisione risiede nel richiamo all’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma elenca tassativamente i motivi per cui una sentenza di patteggiamento può essere impugnata. Il vizio di motivazione, lamentato dal ricorrente, non rientra in questo catalogo chiuso, a meno che non si traduca in una delle specifiche violazioni previste dalla norma. Il ricorso, pertanto, si configurava come estraneo ai casi consentiti, rendendolo ab origine inammissibile.

Le Motivazioni della Corte sul ricorso inammissibile patteggiamento

La Suprema Corte ha ritenuto che il ricorso dovesse essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza e genericità. Le censure, non indicando alcun elemento di fatto che imponesse una verifica sulla sussistenza di cause di non punibilità, erano di per sé insufficienti a innescare un controllo di legittimità. Inoltre, essendo il motivo proposto estraneo al catalogo di cui all’art. 448, comma 2-bis c.p.p., il ricorso era strutturalmente inammissibile.

Di conseguenza, la Corte ha condannato il ricorrente non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle Ammende. Tale condanna ulteriore è giustificata dalla presenza di profili di colpa nella determinazione delle cause di inammissibilità: in altre parole, il ricorrente avrebbe dovuto essere consapevole, con l’uso della normale diligenza, della palese infondatezza del proprio ricorso.

Le Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: chi accede al rito del patteggiamento accetta un percorso processuale semplificato i cui esiti sono difficilmente contestabili, se non per vizi specifici e tassativamente previsti dalla legge. Un ricorso basato su censure generiche, prive di riscontri fattuali e non rientranti nei motivi di cui all’art. 448, comma 2-bis c.p.p., è destinato a essere dichiarato inammissibile. La decisione serve da monito sulla necessità di formulare impugnazioni specifiche e pertinenti, per evitare non solo il rigetto del ricorso ma anche l’imposizione di sanzioni pecuniarie per aver adito la Corte con motivi palesemente infondati.

Perché il ricorso contro la sentenza di patteggiamento è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile per due ragioni principali: in primo luogo, le censure erano generiche e non indicavano elementi fattuali che potessero giustificare un proscioglimento. In secondo luogo, il motivo addotto (vizio di motivazione) era estraneo al catalogo tassativo dei motivi per cui è possibile impugnare una sentenza di patteggiamento, secondo l’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale.

Cosa deve contenere un ricorso contro una sentenza di patteggiamento per essere ammissibile?
Sebbene il provvedimento non lo specifichi in dettaglio, si evince che il ricorso deve basarsi su uno dei motivi tassativamente elencati dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. e deve essere specifico, indicando elementi fattuali concreti a supporto delle proprie doglianze, non limitandosi a contestazioni astratte.

Quali sono le conseguenze di un ricorso dichiarato inammissibile per colpa del ricorrente?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile e si ravvisano profili di colpa nella sua proposizione (cioè era prevedibilmente infondato), il ricorrente viene condannato non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende, che in questo caso è stata fissata a 3.000 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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