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Ricorso inammissibile patteggiamento: i limiti

La Corte di Cassazione ha dichiarato un ricorso inammissibile patteggiamento, sottolineando che i motivi di impugnazione sono tassativamente previsti dalla legge. Il ricorrente, condannato per reati legati a stupefacenti, aveva lamentato la mancata motivazione su un istituto non previsto tra i motivi di ricorso ammessi dall’art. 448, co. 2-bis c.p.p. La decisione ha comportato la condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma alla Cassa delle ammende.

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Pubblicato il 30 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso inammissibile patteggiamento: la Cassazione chiarisce i limiti

L’istituto del patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, è uno strumento fondamentale nel nostro sistema processuale penale. Tuttavia, la possibilità di impugnare la sentenza che ne deriva è soggetta a limiti molto stringenti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito con forza questi confini, dichiarando un ricorso inammissibile patteggiamento perché basato su motivi non consentiti dalla legge. Questo caso offre uno spunto cruciale per comprendere quando e come è possibile contestare una sentenza di patteggiamento.

I Fatti del Caso

Un imputato, a seguito di accordo con la pubblica accusa, otteneva dal Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) del Tribunale una sentenza di patteggiamento. La pena concordata era di tre anni di reclusione e 14.000 euro di multa per un reato previsto dalla normativa sugli stupefacenti (art. 73, D.P.R. 309/1990).

Nonostante l’accordo raggiunto, l’imputato, tramite il suo difensore, decideva di presentare ricorso per cassazione. Il motivo dell’impugnazione era unico e specifico: la presunta mancanza di motivazione da parte del giudice di primo grado riguardo alla mancata applicazione di un istituto di giustizia riparativa, previsto dall’art. 129-bis del codice di procedura penale.

La Decisione della Corte e il ricorso inammissibile patteggiamento

La Corte di Cassazione, investita della questione, ha esaminato il ricorso e lo ha dichiarato inammissibile. La decisione si fonda su una precisa norma del codice di procedura penale, l’articolo 448, comma 2-bis. Questa disposizione, introdotta con la riforma del 2017, elenca in modo tassativo i motivi per cui una sentenza di patteggiamento può essere impugnata.

La Corte ha stabilito che la doglianza del ricorrente non rientrava in nessuna delle categorie ammesse. Di conseguenza, il ricorso è stato respinto senza nemmeno entrare nel merito della questione sollevata. L’inammissibilità ha comportato la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 4.000 euro in favore della Cassa delle ammende.

Le Motivazioni della Decisione

La motivazione della Suprema Corte è netta e si basa su un’interpretazione letterale e restrittiva della normativa. L’articolo 448, comma 2-bis, c.p.p. limita la possibilità di ricorrere contro una sentenza di patteggiamento ai seguenti casi:

1. Vizi nell’espressione della volontà dell’imputato: ad esempio, se il consenso al patteggiamento non è stato espresso liberamente e consapevolmente.
2. Difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza: se il giudice ha emesso una decisione che non corrisponde all’accordo tra le parti.
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto: se il reato è stato qualificato in modo giuridicamente scorretto.
4. Illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata: se la pena o la misura di sicurezza sono contrarie alla legge.

La Corte ha evidenziato che la censura mossa dal ricorrente – ossia la mancata motivazione sull’omessa applicazione della giustizia riparativa – non appartiene a nessuna di queste categorie. Pertanto, il motivo addotto era “non consentito” dalla legge, rendendo il ricorso inammissibile patteggiamento.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza conferma un principio consolidato: l’accesso al ricorso per cassazione contro una sentenza di patteggiamento è un’eccezione, non la regola. La scelta di definire il processo con un accordo sulla pena implica una sostanziale rinuncia a contestare la decisione nel merito, salvo i casi eccezionali e specifici previsti dalla legge. Chi opta per il patteggiamento deve essere consapevole che le possibilità di impugnazione sono estremamente limitate. La decisione della Cassazione serve da monito: presentare un ricorso basato su motivi non previsti dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. non solo è destinato all’insuccesso, ma comporta anche ulteriori conseguenze economiche negative, come la condanna alle spese e al versamento alla Cassa delle ammende.

È sempre possibile impugnare una sentenza di patteggiamento in Cassazione?
No, non è sempre possibile. La sentenza di patteggiamento può essere impugnata solo per i motivi tassativamente elencati nell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale.

Quali sono i motivi validi per ricorrere in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
I motivi validi riguardano esclusivamente: vizi nel consenso dell’imputato, difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, erronea qualificazione giuridica del fatto, e illegalità della pena o della misura di sicurezza.

Cosa succede se il ricorso contro una sentenza di patteggiamento viene dichiarato inammissibile?
Se il ricorso è dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come stabilito dal giudice.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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