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Ricorso inammissibile patteggiamento: i limiti

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili i ricorsi di tre imputati contro una sentenza di patteggiamento per reati legati agli stupefacenti. La decisione si fonda sui limiti stringenti imposti dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p., che non consente di impugnare il patteggiamento per motivi come la presunta necessità di un’assoluzione immediata o la contestazione di circostanze aggravanti. Questo caso evidenzia come il ricorso inammissibile patteggiamento porti a una condanna alle spese e a una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 27 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile Patteggiamento: i Limiti Stabiliti dalla Cassazione

L’istituto del patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, rappresenta una delle vie più comuni per la definizione dei procedimenti penali. Tuttavia, la sua natura di accordo tra accusa e difesa impone limiti severi alla possibilità di impugnazione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce ancora una volta i confini del ricorso inammissibile patteggiamento, confermando che i motivi di doglianza sono tassativi e non possono estendersi a una rivalutazione del merito della vicenda.

I Fatti del Caso

Tre individui, dopo aver concordato una pena con il Pubblico Ministero per diverse ipotesi di reato legate agli stupefacenti (previste dall’art. 73, comma 1, D.P.R. 309/1990), vedevano la loro richiesta accolta dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale. Nonostante l’accordo raggiunto, i difensori degli imputati decidevano di proporre ricorso per Cassazione, lamentando diverse presunte violazioni di legge e vizi della sentenza.

I motivi del ricorso erano variegati: si spaziava dalla violazione dell’articolo 129 del codice di procedura penale (che impone l’assoluzione immediata in presenza di determinate condizioni) a contestazioni specifiche sull’ordine di espulsione, sulla confisca e sulla sussistenza di un’aggravante.

La Decisione della Corte e il Ricorso Inammissibile Patteggiamento

La Suprema Corte, con la sua ordinanza, ha tagliato corto, dichiarando tutti i ricorsi inammissibili senza necessità di un’udienza formale. La decisione si fonda sull’applicazione dell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma, introdotta dalla riforma Orlando (legge n. 103/2017), elenca in modo tassativo i soli motivi per cui una sentenza di patteggiamento può essere impugnata.

La Corte ha stabilito che le censure sollevate dai ricorrenti non rientravano in alcuna delle categorie ammesse dalla legge, rendendo così il loro ricorso inammissibile patteggiamento.

Le Motivazioni della Decisione

Il cuore della pronuncia risiede nella rigida interpretazione dell’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. La legge consente di ricorrere contro un patteggiamento solo per motivi attinenti a:

1. La corretta espressione della volontà dell’imputato.
2. L’assenza di correlazione tra richiesta e sentenza.
3. L’erronea qualificazione giuridica del fatto.
4. L’illegalità della pena applicata.

I giudici hanno spiegato che le lamentele dei ricorrenti erano del tutto estranee a questo elenco. Contestare la mancata applicazione dell’art. 129 c.p.p., la legittimità di una pena accessoria come l’espulsione o la sussistenza di un’aggravante sono questioni che, una volta raggiunto l’accordo sul patteggiamento, non possono più essere rimesse in discussione in sede di legittimità.

In particolare, per quanto riguarda l’erronea qualificazione giuridica, la Cassazione ha ribadito il suo orientamento consolidato: il vizio può essere dedotto solo in caso di errore manifesto, cioè quando la qualificazione data dal giudice è, ictu oculi (a colpo d’occhio), palesemente eccentrica rispetto ai fatti descritti nel capo d’imputazione. Nel caso di specie, la censura era stata formulata in modo generico e non era supportata da argomentazioni idonee a dimostrare tale palese errore.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza è un monito importante sulla natura e gli effetti del patteggiamento. Scegliere questo rito alternativo significa accettare una definizione del processo basata su un accordo, rinunciando a contestare nel merito le accuse, salvo i limitatissimi casi previsti dalla legge. Tentare di impugnare la sentenza di patteggiamento per motivi non consentiti si traduce in un ricorso inammissibile patteggiamento, con la conseguenza non solo di vedere confermata la sentenza, ma anche di essere condannati al pagamento delle spese processuali e di una cospicua sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, che nel caso di specie è stata quantificata in quattromila euro per ciascun ricorrente.

È sempre possibile ricorrere in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
No, non è sempre possibile. La legge limita strettamente i motivi di ricorso ai sensi dell’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. È possibile ricorrere solo per questioni relative alla formazione della volontà, alla correlazione tra richiesta e sentenza, all’illegalità della pena o a un’erronea qualificazione giuridica del fatto che sia manifesta e indiscutibile.

Quali motivi di ricorso sono stati dichiarati inammissibili in questo caso specifico?
Sono stati dichiarati inammissibili i motivi relativi alla presunta violazione dell’obbligo di assoluzione immediata (art. 129 c.p.p.), alla legittimità dell’ordine di espulsione e della confisca, e alla contestazione di una circostanza aggravante. La Corte ha ritenuto che nessuno di questi rientrasse nell’elenco tassativo dei motivi ammessi dalla legge.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso contro un patteggiamento?
Comporta due conseguenze negative per il ricorrente: la conferma della sentenza impugnata e la condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende. In questa vicenda, la somma è stata fissata in 4.000 euro per ciascun ricorrente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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