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Ricorso inammissibile patteggiamento: i limiti

La Cassazione dichiara un ricorso inammissibile patteggiamento avverso una sentenza del Tribunale. Il ricorso era stato presentato per reati di resistenza ed evasione. L’inammissibilità deriva dalla genericità dei motivi e dal non rientrare nei casi previsti dall’art. 448, comma 2-bis c.p.p. Conseguono la condanna alle spese e a una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 7 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile Patteggiamento: La Cassazione e i Limiti Imposti dalla Legge

L’impugnazione di una sentenza di patteggiamento non è un percorso sempre percorribile. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i rigidi paletti imposti dalla legge, sottolineando come un ricorso inammissibile patteggiamento comporti non solo la conferma della decisione ma anche sanzioni economiche per il ricorrente. Questo caso offre uno spunto fondamentale per comprendere i limiti dell’appello a seguito di un accordo sulla pena e le conseguenze di un’iniziativa legale intrapresa senza rispettare i criteri normativi.

I Fatti del Caso: Dal Tribunale alla Cassazione

La vicenda ha origine da una sentenza emessa dal Tribunale di Torino, con cui un imputato vedeva applicata una pena su richiesta delle parti (il cosiddetto ‘patteggiamento’) per i reati di resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.) ed evasione (art. 385 c.p.).

Non soddisfatto della decisione, l’imputato decideva di presentare personalmente ricorso per Cassazione, cercando di rimettere in discussione la sentenza. Tuttavia, l’atto di impugnazione è stato sottoposto al vaglio di legittimità della Suprema Corte, che ne ha analizzato i presupposti formali e sostanziali.

La Decisione della Corte: un Ricorso Inammissibile Patteggiamento

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione è stata presa senza le formalità di rito, attraverso una trattazione camerale non partecipata, una procedura snella prevista per i casi di manifesta inammissibilità. La Corte ha ritenuto che il ricorso non superasse il filtro di ammissibilità, con conseguenze dirette per il proponente.

Le Motivazioni della Suprema Corte

Le ragioni alla base della decisione sono precise e si fondano su principi consolidati della procedura penale, specialmente dopo le riforme legislative recenti.

Genericità e Violazione dell’Art. 448, comma 2-bis, c.p.p.

Il motivo principale dell’inammissibilità risiede nella combinazione di due fattori cruciali. In primo luogo, la Corte ha rilevato l’assoluta genericità dei motivi di ricorso. Le censure sollevate erano formulate in modo vago, senza individuare specifiche violazioni di legge imputabili alla sentenza del Tribunale.

In secondo luogo, e in modo ancora più dirimente, i motivi addotti non rientravano nel novero dei casi tassativamente previsti dall’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma, introdotta dalla legge n. 103/2017 (la cosiddetta ‘Riforma Orlando’), ha drasticamente limitato la possibilità di impugnare le sentenze di patteggiamento. Un ricorso è oggi possibile solo per motivi molto specifici, come ad esempio un errore nella qualificazione giuridica del fatto o l’illegalità della pena concordata. Qualsiasi altra doglianza è preclusa. Nel caso di specie, le lamentele dell’imputato erano estranee a queste ipotesi.

Le Conseguenze dell’Inammissibilità

Come stabilito dall’art. 616 del codice di procedura penale, la declaratoria di inammissibilità del ricorso comporta due conseguenze automatiche per il ricorrente:

1. La condanna al pagamento delle spese processuali.
2. La condanna al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende.

La Corte ha quantificato tale somma in 3.000,00 euro, ritenendola una cifra equa, proprio in considerazione del fatto che il ricorso era stato proposto per ragioni che la legge non consente più, dimostrando una palese noncuranza dei limiti normativi vigenti.

Conclusioni: Cosa Insegna Questa Ordinanza

Questa pronuncia della Cassazione ribadisce un principio fondamentale: l’accesso ai mezzi di impugnazione non è incondizionato, specialmente dopo un patteggiamento. La scelta di accordarsi sulla pena implica una sostanziale rinuncia a contestare nel merito la propria responsabilità. La successiva impugnazione è un’opzione eccezionale, vincolata a motivi specifici e rigorosi. Proporre un ricorso generico o per ragioni non contemplate dalla legge si traduce in un ricorso inammissibile patteggiamento, che non solo non produce alcun risultato utile, ma espone anche a significative sanzioni economiche. È un monito per gli imputati e i loro difensori sull’importanza di valutare attentamente i presupposti di ammissibilità prima di adire la Suprema Corte.

Perché il ricorso contro la sentenza di patteggiamento è stato dichiarato inammissibile?
È stato dichiarato inammissibile per due motivi principali: l’assoluta genericità delle censure sollevate e il fatto che i motivi non rientravano nei casi specifici e limitati previsti dalla legge (art. 448, comma 2-bis, c.p.p.) per impugnare una sentenza di patteggiamento.

Quali sono le conseguenze economiche per chi presenta un ricorso inammissibile in questi casi?
La persona che ha presentato il ricorso è stata condannata al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 3.000,00 euro a favore della Cassa delle ammende.

È sempre possibile fare ricorso contro una sentenza di patteggiamento?
No. La sentenza chiarisce che, a seguito della riforma del 2017, il ricorso contro una sentenza di patteggiamento è possibile solo per un elenco tassativo di motivi previsti dalla legge. Ricorsi basati su ragioni diverse da quelle consentite sono destinati a essere dichiarati inammissibili.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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