Ricorso Inammissibile: Onere della Prova sulla Prescrizione e Divieto di Motivi Nuovi
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 4415 del 2024, ha ribadito due principi fondamentali del processo penale, dichiarando un ricorso inammissibile e chiarendo gli obblighi del ricorrente. Questa decisione offre importanti spunti sull’onere della prova in materia di prescrizione e sui limiti alla presentazione di nuove doglianze nel giudizio di legittimità.
I Fatti di Causa
Il caso trae origine da una condanna per il delitto di ricettazione di merce contraffatta, confermata dalla Corte d’Appello. L’imputato, non rassegnandosi alla decisione, ha proposto ricorso per Cassazione, affidandosi a due specifici motivi di contestazione volti a ribaltare l’esito del giudizio.
I Motivi del Ricorso e la Decisione della Corte
L’imputato ha basato il proprio ricorso su due argomentazioni principali:
1. La prescrizione del reato: sosteneva che il reato si fosse estinto per il decorso del tempo, assumendo per la prima volta in sede di Cassazione che la data di consumazione del reato fosse antecedente a quella contestata nel processo.
2. Il mancato riconoscimento di un’attenuante: lamentava il mancato riconoscimento della circostanza attenuante di particolare tenuità prevista per il reato di ricettazione.
La Corte Suprema ha respinto entrambe le argomentazioni, giudicando il ricorso nel suo complesso inammissibile.
Le Motivazioni della Cassazione sul Ricorso Inammissibile
La Corte ha analizzato separatamente i due motivi, fornendo una chiara spiegazione giuridica per la loro reiezione.
Per quanto riguarda il primo motivo, relativo alla prescrizione, i giudici hanno evidenziato la sua mancanza di specificità. Hanno richiamato un consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il ricorrente che invoca la prescrizione per la prima volta in Cassazione, sulla base di una diversa data di consumazione del reato, ha un preciso onere della prova. Egli deve fornire elementi “incontrovertibili”, cioè prove certe e non smentibili, che confermino la sua affermazione. In assenza di tali elementi, la doglianza è considerata generica e non può essere accolta.
In merito al secondo motivo, concernente la circostanza attenuante, la Corte lo ha dichiarato inammissibile per una ragione procedurale cruciale: la questione non era mai stata sollevata nel precedente giudizio d’appello. Questo vizio determina una “interruzione della catena devolutiva“. In altre parole, il giudizio di Cassazione non è una terza istanza di merito dove poter sollevare questioni nuove, ma un giudizio di legittimità limitato ai motivi specificamente presentati nei gradi precedenti. Introdurre un nuovo argomento in questa fase non è consentito.
Conclusioni
L’ordinanza in esame è un importante promemoria sulla rigorosità del processo penale e sulle regole che governano le impugnazioni. La decisione sottolinea due aspetti fondamentali:
1. Onere della prova rafforzato: Chi intende far valere la prescrizione in Cassazione sulla base di fatti nuovi (come una diversa data del reato) deve supportare la propria richiesta con prove solide e inconfutabili. Non sono ammesse mere allegazioni.
2. Principio di devoluzione: Le questioni da sottoporre alla Corte di Cassazione devono essere state precedentemente dibattute nel giudizio di appello. Non è possibile “riservarsi” argomenti per l’ultimo grado di giudizio.
Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.
Chi ha l’onere della prova se la prescrizione viene eccepita per la prima volta in Cassazione sostenendo una data del reato diversa da quella contestata?
Secondo la sentenza, l’onere di riscontrare tale affermazione spetta al ricorrente, il quale deve fornire elementi incontrovertibili e idonei da soli a confermare che il reato è stato consumato in data anteriore.
È possibile presentare in Cassazione un motivo di ricorso non sollevato nel giudizio d’appello?
No, non è consentito. La Corte afferma che la proponibilità per la prima volta in sede di legittimità di questioni che non abbiano costituito oggetto di motivi di gravame (appello) non è permessa, poiché interrompe la cosiddetta “catena devolutiva”.
Quali sono state le conseguenze per il ricorrente a seguito della dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 4415 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 4415 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 11/04/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME avverso la sentenza della Corte d’Appello di Napoli che confermava la condanna per il delitto di ricetl:azione di merce contraffatta;
ritenuto che il primo motivo di ricorso, con il quale si deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla mancata declaratoria di estinzion del reato per intervenuta prescrizione è privo di specificità e, in ogni caso, seco il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, il ricorrente che nel giudizio di cassazione, invochi la prescrizione del reato, assumendo, per l prima volta in detta sede, che la data di consumazione è antecedente a quella contestata, ha l’onere di riscontrare le sue affermazioni, fornendo element incontrovertibili, idonei da soli a confermare che il reato risulta stato consuma in data anteriore e insuscettibili di essere smentiti da altri elementi di p acquisiti al processo (Sez. 2, n. 41151 del 28/09/2023, Mega, Rv. 285300 – 01);
considerato che il secondo motivo di ricorso, con cui si censura il vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 648, secondo (attuale quarto) comma, cod. pen., non risulta esse stato previamente dedotto come motivo di appello con evidente interruzione della catena devolutiva poiché, secondo l’indirizzo affermato dalla giurisprudenza di legittimità, deve ritenersi non consentita la proponibilità per la prima volta in s di legittimità di questioni che non abbiano costituito oggetto di motivi di gravame rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 9 gennaio 2024
La Consigliera estensore
Il Presidente