Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 44073 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 44073 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOME CODICE_FISCALE nato in Ghana il 01/04/1976
avverso la sentenza del 20/02/2024 della Corte di appello di Genova visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso. Ul
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME per mezzo del difensore, ricorre avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello di Genova che, in parziale riforma della sentenza del Tribunale della Spezia, ha rideterminato la pena in anni sette di reclusione, in ordine ai delitti di cui agli artt. 81 cod. pen. e 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990 relativo all’illecita detenzione ai fini di spaccio di complessivi 767 grammi lordi di eroina – idonei alla predisposizione di oltre 10.400 dosi medie singole – (capo a) e vendita di sostanza stupefacente del tipo eroina (fatti contestati ai capi b e c).
La Corte di appello ha rigettato l’impugnazione ritenendo di condividere le conclusioni cui era pervenuto il Tribunale della Spezia in ordine alla sussistenza di un solido quadro probatorio costituito dalle dichiarazioni di due concorrenti
giudicati separatamente; il Collegio di merito ha ritenuto riscontrata la chiamata in correità alla luce dell’esito delle indagini portate a termine attraverso le attivit tecniche e pervenute al sequestro della sostanza stupefacente del tipo eroina; ha rigettato il motivo tendente ad ottenere le attenuanti generiche, provvedendo a rideterminare gli aumenti applicando una minor pena per la riconosciuta continuazione in ordine ai reati contestati ai capi b) e c).
La difesa formula sette motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo deduce vizi di motivazione e violazione di legge ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione all’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990.
La difesa osserva come la responsabilità del ricorrente sia stata fondata sulle dichiarazioni accusatorie dei correi NOME COGNOME e NOME COGNOME trovati in possesso di sostanze stupefacenti, senza che le accuse risultino corroborate da ulteriori prove quali, per esempio, il sequestro di sostanza stupefacente nei confronti del ricorrente o intercettazioni dalle quali desumere l’attività di detenzione e spaccio.
Generica risulta l’affermazione della Corte di appello secondo cui le dichiarazioni accusatorie, invero finalizzate ad alleggerire le posizioni dei dichiaranti in quanto rese da soggetti trovati in possesso dello stupefacente, sarebbero riscontrate dalle intercettazioni telefoniche che sul punto non risultano dare indicazioni di sorta.
Non sussistono, inoltre, intercettazioni che riguardino i capi di imputazione di cui ai capi b) e c), mentre fantasiose e non idonee a determinare con esattezza l’epoca dei fatti risultano le dichiarazioni rese da COGNOME non coincidenti con quelle della COGNOME.
2.2. Con il secondo motivo si deducono vizi di motivazione e violazione di legge ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in ordine alla mancata riqualificazione giuridica del delitto di cui all’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990 nell’ipotesi lieve di cui al comma 5 della stessa norma.
In ordine alla contestazione contenuta nel capo b) si osserva come il dato quantitativo non sia tale da giustificare la qualificazione dei fatti nell’ipotesi di cu all’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990 e non, invece, in quella di cui al comma 5, visto che da nessun atto emerge che il ricorrente disponesse di un’organizzazione tale far ritenere integrata detta ipotesi, provvedendo, secondo quanto dichiarato dalla Pattitari, ad ingerire gli ovuli contenenti l’eroina per trasportarli.
In ordine al capo b) e c), per i quali la stessa Corte di merito ha ridotto la pena, non sussiste – secondo la difesa – alcuna intercettazione telefonica che possa riscontrare le sole dichiarazioni accusatorie dei citati dichiaranti.
2.3. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge ex art. 606, comma 1, lett. b) e c), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 160 e 415-bis cod. proc. pen.
Poiché il decreto di irreperibilità emesso il 21 aprile 2017, notificato al difensore nominato d’ufficio, non è stato preceduto dalle necessarie ricerche nei luoghi cumulativamente indicati nell’art. 159 cod. proc. pen., avendo avuto ad oggetto il solo luogo di detenzione, deve ritenersi – secondo il ricorrente – affetta da nullità assoluta ed insanabile la notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari e, di conseguenza . , tutti gli atti successivi notificati al difensore d’ufficio, compresi quelli afferenti alla citazione a giudizio dell’imputato.
2.4. Con il quarto motivo si deduce violazione di legge ex art. 606, comma 1, lett. b) e c), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 178 e 179 cod. proc. pen.
Analoga nullità assoluta ed insanabile ai sensi degli artt. 178 e 179 cod. proc. pen. sussiste in ragione della mancata conoscenza del procedimento, in ordine al quale il ricorrente ha avuto notizia attraverso la notifica dell’udienza preliminare presso il difensore, udienza che si svolgeva senza la presenza di costui ma con quella di altro avvocato nominato ex art. 97, comma 4, cod. proc. pen.
Apodittica risulta l’affermazione verbalizzata nel corso dell’udienza preliminare dal Giudice secondo cui l’imputato avesse avuto conoscenza del procedimento: la pregressa condizione di irreperibilità di irregolare sul territorio nazionale, l’assenza di una dimora o residenza, di validi documenti di identificazione e la pregressa detenzione protrattasi sino al 2014 escludevano la sussistenza dei presupposti per poter dichiarare, come avvenuto, l’assenza dell’imputato e non, invece, provvedere a nominare un difensore ex art. 97, comma 1, e semmai procedere ex art. 420 -quater cod. proc. pen.
Ed infatti, l’avvocato di fiducia NOME COGNOME era assente all’udienza e, con atto trasmesso il 5 e 8 novembre 2019 alla Cancelleria del dibattimento del Tribunale, rinunciava formalmente al mandato difensivo. All’udienza svoltesi dinanzi al Tribunale il 12 dicembre 2019, essendo assente l’avvocato COGNOME veniva nominato ex art. 97, comma 4, cod. proc. pen. l’avv. COGNOME e, previa dichiarazione di assenza dell’imputato, il procedimento proseguiva con l’ammissione delle prove nonostante la rinuncia al mandato da parte dell’avvocato COGNOME fosse in atti. Anche all’udienza successiva (30 gennaio 2020), constatata l’assenza del difensore (rinunciante) e dell’imputato veniva nominato altro difensore d’ufficio ex art. 97, comma 4, cod. proc. pen.; con un successivo atto del 5 febbraio 2020 trasmesso dall’avvocato COGNOME veniva reiterata la rinuncia al mandato e solo successivamente veniva nominato, ex art. 97, comma 1, cod. proc. pen. l’avvocato NOME COGNOME.
Risulta evidente – secondo la difesa – come dalla lettura degli atti emerga che tra l’imputato e l’avvocato NOME COGNOME non ci sia mai stato un effettivo
rapporto professionale e che il primo non abbia mai avuto contezza del procedimento penale a suo carico al quale era rimasto estraneo; si osserva, altresì, come, a fronte di una decisione di condanna in primo grado intervenuta il 13 aprile 2023, NOME COGNOME fosse ristretto sin dal 22 giugno 2021.
2.5. Con il quinto motivo si deduce la violazione di legge ex art. 606, comma 1, lett. b) e c), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 178, comma 1, lett. c), 108 97, comma 1, cod. proc. pen. ed art. 28 disp. att. cod. proc. pen. nella parte in cui, nonostante l’intervenuta rinuncia tempestivamente portata a conoscenza del Tribunale, nel corso delle prime due udienze (12 dicembre 2019 e 5 febbraio 2020) veniva celebrata attività istruttoria nonostante l’assenza dell’imputato e del difensore, senza provvedere alla nomina di un difensore di ufficio ex art. 97, comma 1, cod. proc. pen.. la cui violazione, in considerazione dell’illegittima dichiarazione di assenza, ha determinato una nullità assoluta ed insanabile ex rt. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.
2.6. Con il sesto motivo si deducono vizi di motivazione e violazione di legge ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione all’art. 81 cod. pen., nella parte in cui la Corte di appello, pur riducendo la pena in ordine ai capi b) e c), ha omesso di fornire adeguata motivazione sul punto.
2.7. Con il settimo motivo si deducono vizi di motivazione e violazione di legge ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione all’omessa concessione delle attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Si reputa necessario trattare inizialmente le questioni processuali, senza seguire l’ordine assegnato dalla difesa nel ricorso.
2.1. Inammissibile risulta la parte del secondo motivo con cui si deduce, sul presupposto di una illegittima notifica dell’avviso di conclusioni delle indagini preliminari ex art. 415-bis cod. proc. pen., la nullità dell’atto, vizio che, ex se considerato, non costituisce motivo di nullità assoluta ed insanabile e, pertanto, è indeducibile in ragione della mancanza di idonea censura nei motivi di gravame. Anche in caso di missione assoluta della notifica, costituiva specifico onere del ricorrente eccepire quanto prima il relativo vizio, neppure ipotizzato nella pertinente sede di merito.
2.2. Manifestamente infondato si rivela, invece, la dedotta nullità del decreto di irreperibilità in ragione di una prospettata limitata attività di ricerca di NOME COGNOME.
Sulla base degli atti cui questa Corte ha accesso in ragione della questione processuale dedotta (Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092) emerge come le ricerche fossero state delegate alla Sezione di Polizia Giudiziaria presso la Procura della Repubblica, alla Questura ed alle varie Stazioni dei Carabinieri che hanno svolto accertamenti presso l’INPS, l’anagrafe del comune di Reggio Emilia, ove l’indagato non era censito, la Banca dati del DAP e del Ministero dell’Interno, presso l’abitazione sita in INDIRIZZO con esito negativo. A dimostrazione dell’accuratezza delle ricerche si osserva che analoghi accertamenti venivano svolti dai Carabinieri del Comando Provinciale di Modena nel luogo di residenza in quella città e all’anagrafe di Modena, dalla quale risultava cancellato per accertata irreperibilità. Il ricorrente era, pertanto, irreperibile nel luogo d ultima dimora, nel luogo di esercizio dell’ultima attività lavorativa e presso l’amministrazione penitenziaria.
Solo a seguito di approfonditi, puntuali e cumulativi accertamenti (e non alternativi, come ipotizzato nel ricorso) nei luoghi indicati nell’art. 159 cod. proc. pen. è stato emesso dal Pubblico Ministero il decreto di irreperibilità dell’indagato, con contestuale nomina del difensore di ufficio a cui veniva ritualmente notificato l’avviso di conclusione delle indagini ex art. 415-bis cod. proc. pen. anche in nome e per conto dell’indagato.
Il decreto di latitanza, in.quanto emesso solo all’esito di esaustivi e completi controlli, non sortisce l’ipotizzato effetto invalidante in ordine agli atti successi (richiesta di rinvio a giudizio e del decreto che dispone il giudizio), avendo il Giudice delle indagini preliminari correttamente dichiarato l – assenza” del ricorrente il quale – è bene precisare – aveva eletto domicilio presso il nominato difensore di fiducia l’avvocato NOME COGNOME in data precedente all’udienza preliminare.
2.3. Per nulla apodittica risulta la declaratoria di “assenza” dell’imputato – di cui al quarto motivo – da parte del Giudice all’udienza preliminare: la regolare notifica presso il difensore di ufficio dell’avviso conclusione delle indagini preliminari ex art. 415-bis cod. proc. pen., il corretto esercizio dell’azione penale da parte del Pubblico Ministero ed il successivo atto con cui nell’agosto del 2019 NOME COGNOME nominava un difensore di fiducia presso il quale aveva eletto il proprio domicilio, palesa la correttezza dell’operato del Giudice delle indagini preliminari che, preso atto di come il ricorrente fosse stato messo al corrente del procedimento in corso, ciò dimostrato dall’intervenuta elezione di domicilio, ha ritenuto che lo stesso fosse “assente”, essendo invece irrilevante che il difensore di fiducia non fosse presente all’udienza.
Ed invero, dagli atti emerge come l’invio della rinuncia asseritannente trasmessa (lo stesso ricorrente riferisce che è stata inviata al Tribunale della
Spezia – Ufficio del dibattimento) in pari data rispetto a quella in cui ebbe a svolgersi l’udienza preliminare culminata con il rinvio a giudizio dell’imputato, ma in realtà trasmessa solo il successivo 7 novembre 2019, non fosse nota al Giudice dell’udienza preliminare che, preso atto dell’assenza del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME nominava un difensore di ufficio ex art. 97, comma 4, cod. proc. pen., non essendoci, in quel frangente, i presupposti per poter provvedere ad una nomina ex art. 97, comma 1, cod. proc. pen.
2.4. Quanto poi al quinto motivo, se ne deve rilevare l’indeducibilità.
Seppure debba convenirsi con il ricorrente che la rinuncia al mandato difensivo implica che il giudice, a pena di nullità, nomini all’imputato che non abbia provveduto a una nuova nomina fiduciaria, un difensore d’ufficio, posto che l’eventuale designazione temporanea di un sostituto, ai sensi dell’art. 97, comma 4, cod. proc. pen., avendo natura episodica, è consentita nei soli casi di impedimento temporaneo del difensore di fiducia o di quello di ufficio (Sez. 6, n. 27637 del 30/04/2024, COGNOME, Rv. 286756; Sez. 6, n. 47159 del 25/10/2022, NOME Rv. 284024; Sez. 1, n. 16958 del 23/02/2018, COGNOME, Rv. 272603), la nullità generale a regime intermedio ex art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. che ne deriva esige la tempestiva eccezione onde evitare gli effetti sananti previsti dall’art. 182 cod. proc. pen..
Ed infatti, a seguito di nomina poi intervenuta ex art. 97, comma 1, cod. proc. pen. in favore dell’avvocato NOME COGNOME che partecipava a tutte le udienze successive e redigeva il relativo atto di appello, nessuna eccezione o motivo di gravame veniva formulato onde far valere la non immediata sostituzione del difensore di fiducia rinunciante e la provvisoria sostituzione con difensore di ufficio prontamente reperibile attraverso la non adeguata procedura prevista in ipotesi di assenza temporanea del difensore ex art. 97, comma 4, cod. proc. pen..
Il primo motivo con cui la difesa censura la ritenuta responsabilità in ordine alle contestate ipotesi di detenzione e cessione di sostanza stupefacente del tipo eroina è generico e declinato in fatto.
La Corte di appello, avverso il motivo con cui, invero genericamente, venivano tacciate di inattendibilità le dichiarazioni rese nel corso delle indagini da NOME COGNOME e NOME COGNOME che, oltre ad autoaccusarsi, chiamavano in reità il ricorrente individuato quale soggetto che provvedeva all’approvvigionamento dello stupefacente del tipo eroina, ha dato conto delle ragioni per cui le propalazioni, complete, precise e apprezzate nella loro genuinità, erano corrispondenti al tenore delle conversazioni oggetto di intercettazione e dell’attività di indagine svolta dagli investigatori; la decisione evidenzia, inoltre, come le stesse trovino ulteriore riscontro nella loro congiunta lettura, nell’analisi dei dati esteriori delle captazioni
e della localizzazione delle celle agganciate dalle utenze cellulari in uso (capi b e e) coincidente con gli spostamenti evidenziati dai dichiaranti, che, invero, nessun motivo di rancore o contrasto avevano dimostrato di nutrire nei confronti del ricorrente.
A fronte, pertanto, di plurime risultanze anche confermate dal sequestro operato a carico dei due dichiaranti (cui si perveniva proprio sulla base di quanto accertato nel corso delle intercettazioni) che erano in possesso del numero utilizzato dal ricorrente e dell’identificazione del medesimo con indosso un cellulare corrispondente a quello oggetto di captazione, prive di valenza effettiva risultano le generiche critiche che vorrebbero far discendere dalla volontà di “alleggerire” la posizione dei propalanti la genesi delle accuse, senza invero fornire alcuna confutazione della complessiva valenza probante assegnata ai plurimi dati che, solo esaminati singolarmente e previa parcellizzata analisi, la difesa assume siano incompleti ovvero non credibili.
Indeducibile risulta il secondo motivo con cui la difesa censura l’omessa riqualificazione dei fatti nell’ipotesi lieve di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 30 del 1990, questione che non ha formato oggetto di questione in appello, sede in cui la difesa aveva censurato la sola consistenza del compendio probatorio, richiesto l’attenuazione della pena e il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, senza effettuare alcun cenno alla possibile sussunzione dei fatti di reato enunciati nei capi b) e c) nell’ipotesi lieve.
Manifestamente infondato e generico risulta il sesto e settimo motivo con cui si rivolgono critiche alla parte della decisione che, da un canto, ha condiviso le ragioni dell’esclusione delle circostanze attenuanti generiche da parte del Tribunale e, dall’altro, ha comunque ridotto la pena in ordine agli aumenti operati per la ritenuta continuazione.
Quanto alle circostanze attenuanti generiche, corretta si rivela la motivazione della decisione impugnata che ha fatto preponderante e determinante riferimento alla negativa personalità del ricorrente e alla presenza di precedenti penali specifici.
Quanto alla determinazione della pena in ordine all’aumento operato per la ritenuta continuazione in ordine ai delitti di cui agii artt. 81 cod. pen. e 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990 (capo b e c), l’accoglimento del motivo di gravame sul punto e la riduzione della pena complessivamente irrogata ritenuta invece congrua, danno ampiamente conto della ponderata analisi circa i presupposti di cui all’art. 133 cod. pen.
L’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, secondo quanto previsto dall’art. 616, comma 1, cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al ‘ pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.