Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 26637 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 26637 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a GIUGLIANO IN CAMPANIA il 06/01/1975
avverso l’ordinanza del 21/02/2025 del TRIBUNALE di Napoli Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
il Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME si riporta alla memoria depositata e conclude per l’inammissibilità.
Non è presente l’ Avv. COGNOME NOME in difesa di NOME COGNOME per rinuncia alla trattazione orale pervenuta in data odierna a mezzo pec.
RITENUTO IN FATTO
Il tribunale per il riesame delle misure cautelari personali di Napoli respingeva la richiesta di riesame dell’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari che aveva applicato a NOME COGNOME la massima misura cautelare, ritenendo sussistenti a suo carico i gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati di usura ed estorsione aggravati sia dal ricorso all’uso del metodo mafioso che dalla finalità di agevolare il clan COGNOME, affiliato alla mafia storica denominata camorra.
Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore che deduceva:
2.1. violazione di legge (artt. 644 e 629 cod. pen.) e vizio di motivazione: gli elementi racconti attraverso le intercettazioni, attivate con il ricorso al c.d. trojan sarebbero insufficienti a dimostrare la natura usuraria del credito e la sussistenza di una attività minatoria riconducibile al ricorrente. Inoltre, sarebbe stata ritenuta illogicamente inverosimile la versione alternativa fornita dal Felaco che giustificava il contenuto dei dialoghi riferendoli ad una lecita compravendita di autovetture;
2.2. violazione di legge (art. 416bis .1 cod. pen.) e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza della aggravanti: non sarebbero stato dimostrato che la condotta contestata fosse stata consapevolmente ed intenzionalmente diretta ad avvantaggiare il clan COGNOME al quale la metà dei proventi dell ‘attività estorsiva avrebbe dovuto essere versata ; si contestava, al riguardo, anche la capacità dimostrativa dei contenuti delle intercettazioni posi a fondamento delle aggravanti contestate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.In via preliminare il Collegio riafferma che in tema di procedimento innanzi alla Corte di cassazione, nel vigore della disciplina emergenziale relativa alla pandemia da Covid-19, la richiesta di trattazione orale deve considerarsi irretrattabile, atteso che in caso contrario non sarebbe possibile rispettare i termini previsti dall’art. 23, comma 8, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, per la forma di trattazione alternativa, caratterizzata dall’instaurazione di un contraddittorio meramente cartolare, con necessità di differire ulteriormente la trattazione, incidendo sulla durata del procedimento in pregiudizio del bene tutelato dall’art. 111, comma secondo, Cost. (Sez. 2, n. 42410 del 17/06/2021, Basile, Rv. 282207 – 01)
Il ricorso è inammissibile in quanto propone motivi non consentiti.
2.1. In materia di estensione dei poteri della Cassazione in ordine alla valutazione della legittimità della motivazione si riafferma che la Corte di legittimità non può effettuare alcuna valutazione di ‘merito’ in ordine alla capacità dimostrativa delle prov e, o degli indizi raccolti, dato che il suo compito è limitato alla valutazione della tenuta logica del percorso argomentativo e della sua aderenza alle fonti di prova che, ove si ritenessero travisate devono essere allegate -o indicate – in ossequio al principio di autosufficienza (tra le altre: Sez. 6 n. 13809 del 17/03/2015,O., Rv. 262965).
Deve essere altresì affermato che le intercettazioni non possono essere rivalutate in sede di legittimità se non nei limiti del travisamento, che deve essere supportato da idonea allegazione: si riafferma cioè che in sede di legittimità è possibile prospettare
un’interpretazione del significato di un’intercettazione ‘diversa’ da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza di travisamento della prova, ossia nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale e la difformità risulti decisiva ed incontestabile (Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017 – dep. 12/02/2018, COGNOME, Rv. 272558; Sez. 5, n. 7465 del 28/11/2013 – dep. 2014, COGNOME e altri, Rv. 259516). La valutazione della credibilità dei contenuti delle conversazioni captate è infatti un apprezzamento di merito che investe il significato e, dunque la capacità dimostrativa della prova, sicché la sua critica è ammessa in sede di legittimità solo ove si rileva una illogicità manifesta e decisiva della motivazione o una decisiva discordanza tra la prova raccolta e quella valutata.
Entrambi i motivi non superano la soglia di ammissibilità in quanto si risolvono in una consentita richiesta di rivalutazione delle emergenze procedimentali, attività esclusa dal perimetro che circoscrive la competenza del giudice di legittimità.
Contrariamente a quanto dedotto, il Tribunale ha fornito una esaustiva e persuasiva motivazione sia in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per l’estorsione contestata che per le aggravanti contestate.
3.1. La ricostruzione dell’azione estorsiva è stata tratta da un’accurata analisi dei contenuti probatori emergenti dalle intercettazioni che sono stati logicamente valutati dal tribunale con motivazione che resiste alle censure difensive, le quali invero, come si è anticipato, risultano orientate ad invocare una diversa valutazione degli elementi di prova raccolti.
Il Tribunale ha rilevato invece che nei dialoghi trascritti negli allegati 494, 495, 496, 497, 498 emergeva con chiarezza le pressioni estorsive patite dall’offeso.
I contenuti di tali intercettazioni, secondo la logica lettura effettuata da entrambi i giudici dell’incidente cautelare, rivelavano con chiarezza la condotta illecita consumata dai fratelli COGNOME ed , in particolare, l’atteggiamento maggiormente aggressivo tenuto dal ricorrente rispetto ai correi. La condotta minatoria del ricorrente emergeva in modo chiaro dal contenuto delle intercettazioni; in particolare emergeva che il COGNOME, durante la vigenza del divieto di circolazione correlato alla pandemia si era recato dal debitore, vessato da un rapporto usuraio, a chiedergli con insistenza ‘come un martello pneumatico’ la somma pattuita (pag. 4 dell’ordinanza impugnata).
3.2. Anche la motivazione offerta per giustificare la sussistenza dell’aggravante non si presta ad alcuna censura.
Il Tribunale riteneva che le emergenze tratte dalle intercettazioni davano conto inequivocabilmente del fatto che la metà delle somme ottenute dal COGNOME sarebbero state versate al clan COGNOME, il che consente di ritenere provata la sussistenza dell’aggravante dell’agevolazione.
Le modalità dell’azione venivano ritenute con motivazione che ancora una volta non si presta da alcuna censura indicative del ricorso all’uso del metodo mafioso, emergente in modo non equivoco dal richiamo che il ricorrente aveva fatto alla forza intimidatrice del clan COGNOME (pag. 4 dell’ordinanza impugnata).
In conclusione, si ritiene che la motivazione dell’ordinanza impugnata non si presti ad alcuna censura tenuto conto del fatto che la stessa, oltre che logica ed accurata, si presenta coerente con le emergenze procedimentali finora raccolte.
4 .Alla dichiarata inammissibilità del ricorso consegue, per il disposto dell’ art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che si determina equitativamente in euro tremila.
Poiché dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sens i dell’articolo 94, comma 1 -ter delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’ istituto penitenziario in cui l’ indagato si trova ristretto, perché provveda a quanto stabilito dal comma 1bis del citato articolo
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’ art. 94, comma 1ter disp. att. Cod. proc. pen.
Così deciso, il giorno 13 maggio 2025