Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 25150 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 25150 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 20/05/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME nato a LAMEZIA TERME il 26/10/1964 COGNOME nato a LAMEZIA TERME il 19/08/1969
avverso la sentenza del 20/09/2024 della CORTE APPELLO di CATANZARO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.
Preliminarmente la Corte fa presente che in data 24/04/2025 è pervenuta da parte dell’avv. COGNOME del foro di LAMEZIA TERME, difensore di entrambi i ricorrenti istanza di trattazione orale del procedimento; successivamente in data 19/05/2025 è pervenuta sempre da parte del difensore comunicazione di impossibilità a partecipare all’udienza odierna, essendo intervenuti imprevisti ed improrogabili :mpegni personali, senza però addurre un legittimo impedimento ne’ chiedere il rinvio.
La Corte dichiara di procedersi oltre;
Il P.G. nulla oppone.
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Catanzaro, con la sentenza di cui in epigrafe, ha confermato la condanna di NOME COGNOME e NOME COGNOME per i reati di cui all’art. 73, comma 1, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, aventi a oggetto eroina e cocaina (capi B e D).
i , t’;7( 2. Negli interessi degli imputati sono statit GLYPH ricorsi, con atti distinti ma di contenuto sostanzialmente sovrapponibile, fondati su due motivi cui sono seguiti, sempre per entrambi i prevenuti, due motivi nuovi, ex art. 585, comma 4, cod. proc. pen., anch’essi sovrapponibili (motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ex art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.).
Con il primo motivo si deducono violazione di legge e vizio cumulativo di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità per il capo B. I giudici di merito, in assenza di sequestro della sostanza, avrebbero ritenuto trattarsi di stupefacente, detenuto per uso non esclusivamente personale, in ragione dei meri precedenti penali degli imputati e all’esito di «deduzioni» e «presunte deduzioni», quindi di mere «congetture». Il compendio probatorio, fondato su servizi di polizia giudiziaria, deposizioni di appartenenti alle forze dell’ordine riprese video, per i ricorrenti, non condurrebbe al superamento del ragionevole dubbio ravvisato derivante dall’assenza di sequestro di stupefacente. Sul punto si fa specifico riferimento alle dichiarazioni dibattimentali, che, in tesi difensiv non sarebbero tali da fondare la responsabilità dei prevenuti, e alle immagini video. Esse, diversamente da quanto ritenuto dai giudici di merito, pur lette e valutate in uno con le dichiarazioni acquisite, non fotograferebbero i fatti per come accertati.
Parimenti dicasi quanto alla responsabilità per il capo D, ancorché ritenuta in ragione degli esiti dell’attività di polizia giudiziaria (pure di natura tecnica), de deposizioni degli agenti operanti e dell’intervenuto sequestro dello stupefacente (36 dosi di eroina, pari a 424,7 mg di principio attivo – 9,94% – e 15 dosi di cocaina, pari a 376,1 mg di principio attivo – 32,38% -). Il detto compendio probatorio, del quale in ricorso si esaminano le deposizioni testimoniali, sempre in tesi difensiva, non avrebbe dimostrato al di là di ogni ragionevole dubbio i fatti di cui in rubrica e, comunque, l’uso non esclusivamente personale; ciò anche in considerazione dell’essere gli imputati assuntori di stupefacente. Tale ultima condizione avrebbe comunque dovuto far sussumere i fatti accertati nell’astratta fattispecie di cui all’art. 75, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, invece esclusa in ragione del mero dato ponderale relativo al capo D e dell’offensività della ei condotta. L’ultimo profilo del secondo motivo di ricorso, ripreso dal primo motivo aggiunto, si appunta sulla ritenuta mera equivalenza tra attenuanti generiche e
aggravante di cui all’art. 73, comma 6, d.P.R. n. 309 del 1990 e recidiva. La prevalenza delle prime, per i ricorrenti, deriverebbe da una diversa valutazione delle condizioni, anche fisiche, dei ricorrenti e della risalenza dei reati nonostante la condotta di vita anteatta di soggetti gravati da precedenti. Con il secondo motivo aggiunto, invece, si deduce l’omessa declaratoria di estinzione dei reati che, commessi nel 2007, si sarebbero prescritti in applicazione della disciplina della prescrizione ratione temporis applicabile (come modificata con la legge n. 251 del 2005).
Le Procura generale e le difese degli imputati hanno discusso e concluso, chiedendo, rispettivamente, l’inammissibilità e l’accoglimento dei ricorsi (con deposito di memorie nell’interesse dei prevenuti).
RAGIONI DELLA DECISIONE
I ricorsi sono inammissibili.
Le censure mosse con riferimento al capo D sono inammissibili ai sensi dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen. in quanto deducenti motivi diversi da quelli prospettabili in sede di legittimità (sul contenuto essenziale dell’att d’impugnazione si vedano ex plurimis: Sez. 4, n. 30040 del 23/05/2024, COGNOME, cit., in motivazione; Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584 01; si veda altresì Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822 – 01, in ordine ai motivi d’appello ma sulla base di principi pertinenti anche al ricorso per cassazione).
Trattasi di mere doglianze in fatto, non scandite dalla necessaria analisi critica delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata, con le quali si prospettano anche erronee valutazioni probatorie.
A dire dei ricorrenti, i giudici di merito avrebbero dovuto concludere, quantomeno, in termini di ragionevole dubbio circa l’effettivo coinvolgimento dei due imputati nell’attività illecita ovvero che si trattasse di detenzione per fin esclusivamente personali. Il ricorso , in particolare esamina le deposizioni testimoniali per argomentare nel senso per cui esse non dimostrerebbero, al di là di ogni ragionevole dubbio, i fatti come accertati dai giudici di merito e, comunque, un uso non esclusivamente personale, ciò anche in considerazione dell’essere gli imputati assuntori di stupefacente. I ricorrenti contrappongono dunque la loro inammissibile valutazione del compendio probatorio alla ricostruzione operata dai giudici di merito. La Corte territoriale, con motivazione non censurabile in sede di legittimità in quanto coerente e non manifestamente illogica, muove difatti dalla valutazione delle deposizioni degli agenti operanti circa il detto collaudato modus operandi caratterizzante la gestione della piazza di spaccio del quartiere «Ciampa di cavallo» di Lamezia Terme da parte anche dei prevenuti. Si valorizza altresì, coerentemente e in termini non
manifestamente illogici, l’intervenuto sequestro delle molteplici dosi di stupefacente, eseguito nel luogo ove usualmente i prevenuti lo celavano negli intermezzi delle cessioni e all’esito di passaggi di consegne tra loro e i correi finalizzati a rendere difficoltoso l’intervento repressivo delle forze dell’ordine.
Le doglianze che si appuntano sulla ritenuta responsabilità per il capo B, si mostrano inammissibili in ragione dell’assorbente ragione costituita dal mancato confronto con la ratio decidendi sottesa alla sentenza impugnata (per l’inammissibilità del motivo di ricorso che non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso, ex plurimis: tra le recenti, Sez. 4, n. 30040 del 23/05/2024, COGNOME, cit., e Sez. 4, n. 19364 del 14/03/2024, COGNOME Rv. 286468 – 01, nonché Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, cit.).
La Corte territoriale, differentemente da quanto prospettato dal ricorrente, in considerazione delle censure d’appello e con motivazione non sindacabile in sede di legittimità, in quanto coerente e non manifestamente illogica, è lungi dall’aver argomentato in forza di mere congetture. La responsabilità fonda difatti sulla lettura logica di elementi fattuali ritenuti certi, in ragione delle deposizi oltre che delle videoriprese, e tali da integrare il medesimo modus operandi nella gestione dell’attività illecita, nel medesimo quartiere e con condotte sostanzialmente sovrapponibili a quelle tenute a solo un giorno di distanza rispetto ai fatti di cui al capo D.
A ciò si aggiunge, quale ulteriore profilo d’inammissibilità, al pari di quanto rilevato circa le doglianze relative al capo D, che trattasi di censure in fatto quindi deducenti motivi diversi da quelli prospettabili in sede di legittimità. ricorrenti mirano a rivalutare, secondo il loro apprezzamento, il compendio probatorio, fondato su servizi di polizia giudiziaria, deposizioni di appartenenti alle forze dell’ordine e riprese video, ritenuto dai giudici di merito conducente nel senso dell’accertamento dell’illecito in materia di stupefacenti. Si fa specifico riferimento alle dichiarazioni rese in dibattimento che, in tesi difensiva, non sarebbero tali da fondare la responsabilità dei prevenuti, e alle immagini video che, diversamente da quanto ritenuto dai giudici di merito, pur lette e valutate in uno con le dichiarazioni acquisite, non fotograferebbero i fatti per come accertati.
Non confrontano il proprio dire con la motivazione della sentenza impugnata anche le censure relative alla ritenuta non sussumibilità dei fatti accertati nella fattispecie di cui all’art. 74, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 e alla mera equivalenza tra circostanze attenuanti e aggravanti. L’esclusine dell’ipotesi di «lieve entità» è argomentata, oltre che dal dato ponderale di cui al capo D, anche dal grado di offensività della condotta, perché ritenuta evidenziante un ben collaudato modus operandi nell’attività illecita coinvolgente
la piazza di spaccio costituita da un quartiere di Lamezia Terme. Il descritto concreto atteggiarsi degli elementi soggettivi dei prevenuti nonché le loro
condotte di vita anteatte, caratterizzate da precedenti specifici, hanno poi fondato il giudizio di sola equivalenza tra circostanze in forza di un apparato
motivazionale coerente e non manifestamente illogico.
5. All’inammissibilità dei motivi di ricorso segue infine, ex art. 585, comma
4, cod. proc. pen., l’inammissibilità del motivo nuovo deducente l’omessa declaratoria di estinzione per prescrizione. Sul punto è altresì parimenti
assorbente la considerazione per cui, trattandosi di condotta avente a oggetto cocaina ed eroina, in ragione del relativo limite edittale, i fatti non eran
prescritti alla data di delibazione della sentenza impugnata, così come non lo sono nell’attualità, ex artt. 157 e 161 cod. pen.
ratione temporis applicabili, con
conseguente manifesta infondatezza della censura.
6. In conclusione, all’inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila
ciascuno in favore della Cassa delle ammende (misura ritenuta equa, ex art. 616
cod. proc. pen. come letto da Corte cost. n. 186 del 2000, in considerazione dei profili di colpa nella determinazione delle cause di inammissibilità emergenti dai ricorsi nei termini innanzi evidenziati).
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
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