Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 26864 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 26864 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 01/03/2023 della CORTE APPELLO di PALERMO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, la quale ha chiesto pronunciarsi il rigetto del ricorso.
i
Ritenuto in fatto
Con sentenza resa in data 1° marzo 2023, la Corte d’appello di Palermo ha confermato la decisione del Tribunale di Trapani del 13 aprile 2012, con cui NOME veniva dichiarato responsabile degli ascritti delitti e che verranno indicati in fra e condannato alla pena ritenuta di giustizia.
Nell’interesse dell’imputato è stato proposto ricorso per cassazione, affidato a un unic motivo, col quale si deduce violazione di legge per non avere la Corte territoriale pronuncia declaratoria di estinzione dei reati per decorso del termine prescrizionale, come richies dall’allora appellante con conclusioni scritte, ritualmente depositate all’udienza del 10 marzo 2023.
Sono state trasmesse, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28/10/2020, n. 137, conv. con I. 18/12/2020, n. 176, le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, la quale ha chiesto pronunciarsi il rigetto del ricorso; conclusioni, nell’inter dell’imputato, in replica alla requisitoria scritta del P.g., con cui si insiste per l’accogli ricorso.
Considerato in diritto
L’unico motivo di ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.
Occorre premettere che i reati attribuiti all’imputato (artt. 81 cpv., 110, 610 cod. pen.: c 81 cpv., 110, 582 cod. pen.: capo c) sono solo quelli commessi in data il 10 dicembre 2013. I termine di sette anni e mezzo, calcolato ai sensi degli artt. 157, primo comma, e 161, secondo comma, cod. pen., era destinato a scadere il 10 giugno 2021, in epoca dunque precedente alla data della sentenza di secondo grado (1°marzo 2023). Tuttavia, sono intervenute cause di sospensione del termine prescrizionale pari a giorni 824, secondo quanto emerge dagli atti processuali. In particolare, si tratta di:
giorni 28 dai 24.5.2016 al 21.6.2016 per adesione del difensore all’astensione proclamata dagli organismi di categoria;
giorni 357 dal 21.6.2016 al 13.6.2017 ex art. 420 quater cod. proc. pen.;
giorni 98 dal 13.6.2017 al 19.9.2017 per adesione del difensore all’astensione proclamata dagli organismi di categoria;
giorni 60 dal 23.7.2018 al 26.9.2018 per impedimento del difensore;
giorni 56 dal 22.10.2019 al 17.12.2019 per adesione del difensore all’astensione proclamata dagli organismi di categoria per adesione allo sciopero degli avvocati;
giorni 112 dal 18.7.17 al 7.11.17 per adesione del difensore all’astensione proclamata dagl organismi di categoria;
giorni 64 dal 10.3.2020 al 9.6.2020 ex art. 83 co. 4 del d.l. 18/2020 nonché per per adesione del difensore all’astensione proclamata dagli organismi di categoria
Per effetto dei 775 giorni di sospensione si giunge al 25 luglio 2023, ossia ad epoca successiva alla data della sentenza di secondo grado (1° marzo 2023).
La manifesta infondatezza della doglianza rende irrilevante l’avvenuto spirare del termine di prescrizione in data successiva alla sentenza di secondo grado alla luce del consolidato orientamento delle Sezioni Unite di questa Corte, secondo le quali la proposizione di un ricors inammissibile, come quello in esame, non consente la costituzione di valido avvio della corrispondente fase processuale e determina la formazione del «giudicato sostanziale», con la conseguenza che il giudice dell’impugnazione, in quanto non investito del potere di cognizione e decisione sul merito del processo, non può rilevare eventuali cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, COGNOME; Sez. U, n. 23428 de 22/03/2005, COGNOME; Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, COGNOME; Sez. U, n. 15 del 30/06/1999, COGNOME; Sez. U, n. 21 del 11/11/1994, COGNOME).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. pr pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si liquida in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 29/02/2024