Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 30189 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 30189 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOMECOGNOME nato in Marocco il 09/10/1997
avverso la sentenza del 09/02/2024 della Corte di appello di Bari letta la requsitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME per intervenuta improcedibilità dell’azione penale.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Bari, a seguito di gravame interposto dall’imputato NOME COGNOME avverso la sentenze emessa il 10 giugno 2022 dal Tribunale di Foggia, ha confermato la decisione con la quale il predetto è stato dichiarato responsabile del reato di cui all’art. 337 cod. pen. e artt. 61, n.2, 582, 585 cod. pen. ascrittigli e condannato a pena di giustizia.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato che con atto del difensore deduce i seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo, violazione dell’art. 601 cod. proc. pen. per omessa traduzione del decreto di fissazione della udienza, trattandosi di imputato alloglotto.
2.2. Con il secondo motivo, inosservanza dell’art. 337 cod. pen. GLYPH in relazione all’elemento psicologico del reato / non essendo dato comprendere se le azioni fossero rivolte ai pubblici ufficiali perché si stava oppongetlo all’atto o p rivolgere una minaccia generica ai pubblici ufficiali, mancando il dolo specifico.
2.3.Con il terzo motivo, errata applicazione degli artt. 62-bis e 133 cod. pen. e contraddittorietà della motivazione in relazione al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, essendo omessa la valutazione di tutti gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., la condotta successiva al reato e l’assenza di precedenti.
In assenza di istanza di trattazione orale, il Procuratore generale ha concluso per iscritto come in epigrafe, essendosi verificata la causa di improcedibilità alla data del 9 maggio 2025 e non versandosi in ricorso inammissibile, anche con riferimento al primo motivo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo è manifestamente infondato in quanto la eccezione di nullità risulta tardivamente proposta solo con il ricorso in cassazione, dovendosi ribadire che la nullità derivante dall’omessa traduzione del decreto di citazione in appello all’imputato alloglotto che non comprende l’italiano è di ordine generale a regime
intermedio e, pertanto, deve ritenersi sanata qualora non sia tempestivamente eccepita (Sez. 5, n. 20035 del 01/03/2023, Vacariu, Rv. 284515).
Il secondo motivo è genericamente proposto rispetto al doppio conforme accertamento di merito in ordine alla volontà del ricorrente di sottrarsi al Controllo dei militari – opponendosi al tentativo dei militari di farlo entrare nell’auto servizio, prima con un calcio e poi dandosi alla fuga -, anche per il successivo rinvenimento nei suoi indumenti di un sia pur minimo quantitativo di stupefacente, ivi celato.
Il terzo motivo costituisce generica censura in fatto al corretto esercizio dei poteri discrezionali demandati al giudice di merito. Invero, rispetto alla deduzione in appello limitata alla mancata comprensione della richiesta di identificazione dei pubblici ufficiali e, quindi, alla presunta ottica dell’imputato di difendersi un’offesa ritenuta erroneamente ingiusta, la sentenza – dopo aver ricostruito i fatti secondo quanto esposto nel precedente paragrafo – ha escluso qualsiasi condotta collaborativa da parte dell’imputato e cenni di resipiscenza, tenuto conto della prolungata fuga tenuta dopo l’aggressione al militare.
Ritiene questo Collegio che la rilevata inammissibilità osta alla declaratoria di improcedibilità.
Con una prima decisione è stato affermato che, in tema di impugnazioni, l’inammissibilità del ricorso per cassazione, precludendo la costituzione di un valido rapporto processuale, impedisce la declaratoria di improcedibilità del giudizio per superamento del termine di durata massima di un anno di cui all’art. 344-bis cod. proc. pen. inserito dall’art. 2, comma 2, lett. a) della legge 27 settembre 2021, n. 134 (Sez. 7, n. 43883 del 19/11/2021, Cusma’, Rv. 283043 – 01). La decisione, sul rilievo che il principio di ragionevole durata dei processi non può derogare alle regole che presiedono all’introduzione dei giudizi di impugnazione, ha richiamato il consolidato orientamento delle Sezioni Unite di questa Corte isecondo il quale la proposizione di un ricorso inammissibile non consente la costituzione di valido avvio della corrispondente fase processuale e determina la formazione del «giudicato sostanziale», con la conseguenza che il giudice dell’impugnazione, in quanto non investito del potere di cognizione e decisione sul merito del processo, non può rilevare eventuali cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. (Sez. U, 12602 del 17/12/2015, COGNOME; Sez. U, Sentenza n. 23428 del 22/03/2005, COGNOME; Sez. U n. 32 del 22/11/2000, COGNOME; Sez. U, n. 15 del 30/06/1999, Piepoli; Sez. U, n. 21 del 11/11/1994, COGNOME). I suddetti principi / secondo questa decisione – sebbene riferiti alla prescrizione, sono estensibili all’istituto della “improcedibilità”, in quanto la ratio della nuova normativa, certamente finalizzata a garantire la ragionevole durata del processo, implica che
tale correlazione teleologica è solo tendenziale, non potendo prestarsi a forme di strumentalizzazione realizzabili attraverso la proposizione di ricorsi inammissibili (si veda quanto precisato in motivazione, in tema di prescrizione, sull’uso pretestuoso dei ricorsi inammissibili da Sez. un., 26 febbraio 2015, Jazouli). Il principio, è stato senz’altro condiviso da Sez. 2, n. 40349 del 27/06/2024, Piano, Rv. 287085 e, da ultimo, riaffermato da Sez. 4 6 n. 20975 del 13/05/2025, COGNOME, n. m., che ha spiegato che « causa di improcedibilità è altresì definita «prescrizione processuale» per distinguerla dal diverso istituto della c.d. «prescrizione sostanziale» disciplinata dagli artt. 157 ss. cod. pen. e incide, non più sul reato, ma sul potere statuale di proseguire “nell’esame del merito e di giungere ad una condanna o definitiva, caducando la precedente pronuncia” (Rel. illustrativa al d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150). Secondo un principio costantemente recepito dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, COGNOME, 266818 – 01; sull’assoluta genericità dei motivi, Sez. U, n. 23428 del 22/03/2005, COGNOME, Rv. 231164 – 01; sulla manifesta infondatezza dei motivi, Sez. U, n.15 del 30/06/1999, COGNOME, Rv. 213981 – 01 e Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D.L., Rv. 217266 – 01; sui motivi non consentiti o non dedotti in appello, Sez. U, n. 21 del 11/11/1994, COGNOME, Rv. 199903-01), la presentazione di un ricorso per cassazione invalido comporta l’inammissibilità del medesimo, osta alla costituzione di valido avvio della corrispondente fase processuale e determina la formazione del “giudicato sostanziale”, con la conseguenza che il giudice, in quanto non investito del potere di cognizione e decisione sul merito del processo, non può rilevare eventuali cause di non punibilità. Ci si deve chiedere se, anche rispetto all’istituto dell’improcedibilità, possa continuare ad assumere rilievo i primato della causa di inammissibilità (con evidente esclusione dei casi di tardività del ricorso per i quali il giudicato impedisce l’operatività dell’improcedibilità), con esso, la distinzione tra ricorsi ammissibili e ricorsi inammissibili, laddove solo i primi sono in grado di radicare il valido rapporto processuale e, di conseguenza, di attribuire rilievo al decorso del termine di prescrizione (sia sostanziale che processuale). Il Collegio ritiene che non vi siano ragioni per non estendere anche alla c.d. prescrizione processuale i su indicati principi, già operanti con riguardo alla c.d. prescrizione sostanziale, posto che l’inammissibilità impedisce a priori la corretta instaurazione del giudizio di impugnazione, invalidando tutti gli atti in ipotesi già compiuti prima della sua declaratoria e considerato che, d’altro canto, l’improcedibilità, pur precludendo la pronuncia nel merito, presuppone un’impugnazione regolarmente proposta e, quindi, ammissibile, definendo il giudizio d’impugnazione con una decisione in rito. L’accertamento dell’inammissibilità dell’impugnazione, in altre parole, rende inoperante l’improcedibilità in quanto ciò che rileva non è il momento in cui l’inammissibilità Corte di Cassazione – copia non ufficiale
è accertata, ma quello in cui essa si realizza; la circostanza che l’inammissibilità sia dichiarata dopo il decorso dei termini di cui all’art. 344-bis cod. proc. pen. non esclude che logicamente preceda tale decorso ogni qualvolta la fase, protratta oltre i termini massimi, si sia avviata mediante un atto inammissibile. L’esigenza di ragionevole durata dei processi sottesa all’istituto dell’improcedibilità non può, infatti, sopravanzare la necessità di rispettare le regole sulla corretta instaurazione del rapporto processuale che presiedono all’introduzione dei giudizi di impugnazione. In definitiva, gli unici casi nei quali, nonostante l’inammissibilità del ricorso, al giudice dell’impugnazione sia consentita una pronuncia diversa, rimangono quelli della abolitio criminis, della dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice formante oggetto dell’incriminazione, dell’ipotesi in cui debba essere dichiarata l’estinzione del reato a norma dell’art. 150 cod. pen. (Sez. U, COGNOME cit.)».
6. La dottrina non esprime un orientamento condiviso sul tema in esame.
6.1. Da un lato, l’orientamento di legittimità è stato condiviso sulla base dell’assunto che la prevalenza dell’inammissibilità sulla improcedibilità dipende da ragioni di carattere logico e in termini di evidenza, così come prevale sulle cause estintive del reato e, quindi, sulla prescrizione “sostanziale”, con una differenza tra i due istituti aventi entrambi natura processuale: la improcedibilità chiude una fase con una sentenza che, divenuta irrevocabile, sostituisce quella già emessa, come accade nella logica delle impugnazioni; la inammissibilità impedisce l’apertura della fase invalidando quanto fosse già stato compiuto a seguito dell’atto inammissibile, inclusa l’eventuale dichiarazion,- di inammissibilità. Inoltre, sul rilievo che l’esigenza di ragionevole durata dei processi non possa essere disgiunta dalla necessità di rispettare le regole che presiedono all’introduzione dei giudizi di impugnazione, ritiene di dover ribadire al riguardo la lezione ermeneutica del diritto vivente di fonte giurisprudenziale consolidatosi ormai da oltre un ventennio, con riferimento alla prescrizione sostanziale, sia per il profilo dei motivi non consentiti o generici che per quello della manifesta infondatezza. Nello stesso senso, si valorizza la lettera dell’art. 344-bis, commi 1 e 2, cod. proc. pen., alla stregua del quale la causa della improcedibilità è costituita dalla “mancata definizione del giudizio” di appello o di cassazione, il che lascia presupporre che possa essere definito soltanto un giudizio che sia stato legalmente e validamente instaurato e anche il sistema delle proroghe dei suddetti termini, previsto dalla medesima disposizione, avrebbe a sua volta un senso solo in presenza di un ricorso previamente vagliato come non inammissibile. Ancora, anche la previsione della richiesta da parte dell’imputato alla prosecuzione del processo – prevista dall’art. 344-bis, comma 7, cod, proc. pen. – non configurando un diritto potestativo dell’imputato, non escluderebbe il vaglio da parte della Corte del potere di delibare
preliminarmente la ammissibilità della impugnazione per ogni profilo, no potendosi legittimare la prosecuzione del processo anche nel caso di un rico inammissibile.
Non si manca, infine, di osservare che la tesi che vuol far preva l’improcedibilità presta il fianco al pericolo di abusi, in un noto contesto di di lavoro incombenti sull«Corte di appello ella Corte di cassazione, incentiva l’imputato a proporre comunque un’impugnazione ancheiyinfondata. ( k)
6.2. La contraria tesi dottrinaria, secondo la quale la improcedibilità pr sulla inammissibilità dell’atto di impugnazione, fa leva sul rilievo secondo il la declaratoria di inammissibilità richiede un’attività giurisdizion accertamento, come tale anch’essa da ritenere sottoposta ai termini previs pena di improcedibilità.
Dal punto di vista testuale, poi, valorizza la lettera dell’art. 344-bis comma, cod. proc. pen. f che non indica un particolare esito decisionale quale condizione di operatività della causa di improcedibilità laddove afferma che mancata definizione del giudizio entro il termine” determina l’improcedibil rispetto a qualsiasi forma di definizione del giudizio, non solo a quella di m ma anche a quella che sfocia nella declaratoria di inammissibil dell’impugnazione; come pure il terzo comma dello stesso art. 344-bis cod. pro pen., nel fissare il dies a quo al novantesimo giorno successivo alla scadenza del termine previsto per la redazione della motivazione della sentenza, non conside la data di deposito dell’atto di appello o del ricorso per cassazione, desig l’assoluta autonomia dell’improcedibilità rispetto all’impugnazione, cosicché c il segmento cronologico nel corso del quale l’attività processuale comunque sviluppa, non rilevando se in modo regolare o viziato.
A tal riguardo, nell’ambito della concezione del processo qua “concatenazione di atti”, si evidenzia la idoneità dell’atto inammissibile d corso alla sequenza procedimentale del relativo grado di giudizio, al quale è in soltanto l’esame del merito. Cosicché l’improcedibilità cronologica risulter perfettamente applicabile anche al giudizio di impugnazione che si dovrebb chiudere con la mera declaratoria di inammissibilità, superando quella ch giudicata la forzatura teorica del giudicato sostanziale, designandosi la pr logica e cronologica della declaratoria di improcedibilità.
Questo Collegio ritiene di dare continuità all’ orientamento di legittimit conferisce natura pregiudiziale alla delibazione della inammissibilità dell’a impugnazione rispetto al rilievo del decorso del termine di improcedibi dell’azione penale.
Invero, è condivisibilmente giustificata in termini di evidenza la base log giuridica della tesi propugnata, secondo la quale l’ordinamento non consente di
valere il decorso del termine di improcedibilità previsto per la fase impugnatoria non validamente adita.
In disparte la non decisiva considerazione delle conseguenze distorsive dell’opposta tesi, secondo questo ‘Collegio, l’introduzione dell’istituto della improcedibilità non induce al superamento dell’autorevole indirizzo espresso da S.U. COGNOME nel ricostruire una nozione unitaria della inammissibilità della impugnazione, secondo il quale «tutte le ipotesi di inammissibilità previste, in via generale, dall’art. 591, comma 1, lett. a), b), c), cod. proc. pen., e, con riguardo specifico al ricorso per cassazione, dall’art. 606, comma 3, cod. proc. pen. viziano geneticamente l’atto, che, ponendosi al di fuori della cornice normativa di riferimento, provoca la reazione dell’ordinamento con la corrispondente sanzione, quale risposta ad un potere di parte non correttamente esercitato. Dette ipotesi, a prescindere dalle modalità più o meno agevoli di rilevazione, sono tutte ugualmente intrinseche alla struttura dell’atto, sì da renderlo inidoneo ad investire il giudice del grado successivo della piena cognizione del processane la diagnosi di ammissibilità dell’impugnazione – al pari di quanto accade in materia di giurisdizione, di competenza, di improcedibilità per mancanza di querela – deve precedere logicamente e cronologicamente lo scrutinio circa la fondatezza dei motivi proposti e l’eventuale decisione di merito ex art. 129 cod. proc. pen. Soltanto l’accertata ammissibilità dell’impugnazione, per l’effetto propulsivo che la connota, investe il giudice del potere decisorio sul merito del processo. Al contrario, la declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione preclude una qualsiasi pronuncia sul merito. La porzione di processo che si svolge tra il momento in cui si sollecita l’instaurazione del grado superiore di giudizio e quello in cui tal sollecitazione è dichiarata inammissibile rimane circoscritta al solo accertamento della questione processuale relativa alla sussistenza del presupposto di ammissibilità e, in difetto di questo, non riserva spazio ad altre decisioni. Né vale obiettare che l’esame dell’inammissibilità da parte del giudice dell’impugnazione presuppone comunque l’esercizio della potestà giurisdizionale, nel cui ambito, che integra uno “stato e grado” del processo, sarebbe consentito rilevare le cause di non punibilità. E’ agevole replicare, con le parole di autorevole dottrina, che l’attività processuale di accertamento di una causa di inammissibilità costituisce, «se si vuole, un grado successivo a quello concluso con la sentenza impugnata, ma in senso del tutto formale, e cioè dal punto di vista delle dimensioni esteriori della sequenza procedurale; in realtà qui c’è soltanto un simulacro di un procedimento giurisdizionale, e la declaratoria d’inammissibilità non sta a significare altro che questo: poiché l’atto che la legge definisce impugnazione non è stato posto in essere in conformità alla sua fattispecie normativa, il giudice ad quem non può interloquire sul tema del procedimento, concluso con l’esaurimento Corte di Cassazione – copia non ufficiale
del precedente grado, ed anzi deve declinare la questione». La sentenza invalidamente impugnata diventa intangibile sin dal momento in cui si concretizza la causa di inammissibilità, che va apprezzata in un’ottica “sostanzialistica” della dinamica impugnatoria – e delle relative conseguenze sul piano delle preclusioni processuali (giudicato sostanziale). La successiva declaratoria d’inammissibilità della impugnazione da parte del giudice ad quem ha carattere meramente ricognitivo di una situazione già esistente e determina la formazione del giudicato formale. L’inammissibilità dell’impugnazione, quindi, paralizza, sin dal suo insorgere, i poteri decisori del giudice, il quale, al di là dell’accertamento di ta profilo processuale, non è abilitato a occuparsi del merito e a rilevare, a norma dell’129 cod. proc. pen., cause di non punibilità, quale l’estinzione del reato per prescrizione, sia se maturata successivamente alla sentenza impugnata sia se verificatasi in precedenza, nel corso cioè del giudizio definito con tale sentenza, destinata a rimanere immodificabile, proprio perché contrastata da una impugnazione inammissibile. Diversamente opinando, si verificherebbe una impropria “sanatoria” delle situazioni di inammissibilità e risulterebbe arbitrariamente alterato il fisiologico svolgimento dell’iter processuale. Si dev aggiungere che la ricostruzione sistematica operata non si pone in contrasto neppure con i diritti garantiti dagli artt. 6, §§ 1 e 2, e 7, § 1, CEDU, posto che è onere della parte interessata attivare correttamente il rapporto processuale d’impugnazione, con l’effetto che, ove ciò non avvenga, il giudice del grado successivo deve limitarsi a dichiarare l’inammissibilità dell’impugnazione e non ha poteri cognitivi sul merito del processo, il cui esito rimane definito dalla pronuncia invalidamente impugnata, che non può più, quindi, essere emendata. Di fronte a tale situazione, determinata dal comportamento, contrario alle regole processuali, della stessa parte interessata, non v’è alcuna violazione delle garanzie di equità, razionalità e ragionevole durata del processo (art. 6, § 1, CEDU), né del diritto di presunzione d’innocenza della persona fino a pronuncia definitiva di colpevolezza (art. 6, § 2, CEDU), né della garanzia di prevedibilità di tutte le conseguenze negative – anche sotto il profilo della tutela processuale – della condotta realizzata (art. 7, §1, CEDU)». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Del resto, espressione del potere-dovere di delibazione della ammissibilità del ricorso del giudice dell’impugnazione e della sua natura pregiudiziale, indipendentemente dalla verificazione della improcedibilità, è l’art. 578, comma ibis, cod. proc. pen. che, introdotto dall’art. 2, comma 2, lett. b) n.2) della legge 27 settembre 2021, è stato così sostituito dall’art. 33, comma 1, lett. b), n. 1), del D. Legs. 10 ottobre 2022, n. 150, prevedendo “Quando nei confronti dell’imputato è stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, e in ogni caso
di impugnazione della sentenza anche per gli interessi civili, il giudice di appello e la Corte di cassazione, se l’impugnazione non è inammissibile, nel dichiarare
improcedibile l’azione penale per il superamento dei termini di cui ai commi 1 e 2
dell’articolo 344-bis, rinviano per la prosecuzione al giudice o alla sezione civile competente nello stesso grado, che decidono sulle questioni civili utilizzando le
prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile”.
Cosicché, non può essere opposta alla condivisa ricostruzione logico- sistematica la tesi dottrinaria che fa leva sulla ricostruzione del processo in chiave
di “concatenazione di atti”, rispetto alla critica vincolata della impugnazione di legittimità e alla limitata funzione delibativa assegnata al giudizio di legittimità n
caso di sua invalida adizione.
Né decisivi sono i richiami testuali all’art. 344-bis cod. proc. pen., sia per sostenere l’irrilevanza dell’epilogo decisorio, che non tiene conto della necessità di
un valido accesso alla fase impugnatoria; sia per avallare la indipendenza del decorso dei termini – e per questo la loro decisiva incidenza – dalla validità della
impugnazione, trattandosi di norma che, come ogni disposizione riguardante termini processuali, prescinde dalla validità dell’atto – fissata da altre regol processuali – con il quale sono fatti valere.
Pertanto, l’introduzione della c.d. “prescrizione processuale” non ha inciso sul piano sistematico, delineato dal massimo consesso di legittimità, sul pregiudiziale compito del giudice della impugnazione di verifica del valido accesso alla fase i nnpugnatoria
In conclusione, osta alla rilevabilità del decorso del termine di improcedibilità previsto per il giudizio di legittimità, la inammissibilità del propost ricorso.
Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma che si stima equo determinare in euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma rza raRielirelriN1 di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 14/07/2025.