Ricorso inammissibile: la Cassazione ribadisce i limiti del proprio giudizio
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 7499 del 2024, ha fornito un’importante lezione sui limiti del giudizio di legittimità, dichiarando un ricorso inammissibile poiché mirava a una rivalutazione dei fatti già accertati nei gradi di merito. Questa decisione riafferma un principio fondamentale del nostro sistema processuale: la Cassazione non è un ‘terzo grado’ di giudizio dove si possono ridiscutere le prove, ma il custode della corretta applicazione della legge.
I fatti alla base della vicenda
Il caso trae origine da un ricorso presentato da un imputato, condannato dalla Corte d’Appello di Ancona per un reato previsto dall’articolo 648 del codice penale. L’imputato, attraverso il suo difensore, ha impugnato la sentenza di secondo grado davanti alla Corte di Cassazione, contestando principalmente due aspetti: la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato e, di conseguenza, la corretta qualificazione giuridica data ai fatti.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso ritenendolo inammissibile per una ragione chiara e perentoria: la sua genericità e la sua natura prettamente di merito. I giudici hanno osservato che l’unico motivo di appello non individuava specifici errori di diritto commessi dalla Corte d’Appello, ma si limitava a proporre una ricostruzione alternativa dei fatti e una diversa valutazione delle prove.
Il divieto di rivalutazione nel giudizio di legittimità
Il fulcro della decisione risiede nel concetto di sindacato di legittimità. La Cassazione ha il compito di verificare che i giudici di merito abbiano applicato correttamente le norme di legge e abbiano motivato la loro decisione in modo logico e non contraddittorio. Non può, invece, sostituire la propria valutazione delle prove a quella effettuata nei gradi precedenti. Il ricorso, per essere ammissibile, deve denunciare vizi specifici, come l’errata interpretazione di una norma o un vizio logico manifesto nella motivazione, e non limitarsi a contestare l’esito del giudizio di fatto.
Le motivazioni della Corte
Nelle motivazioni dell’ordinanza, la Corte ha sottolineato che il ricorso era ‘privo di concreta specificità’ e tendeva a ‘prefigurare una rivalutazione delle fonti probatorie e/o un’alternativa ricostruzione dei fatti’. Tale approccio è estraneo al giudizio di legittimità. I giudici hanno inoltre confermato che la Corte d’Appello aveva correttamente inquadrato la vicenda nella fattispecie dell’art. 648 c.p. (ricettazione), basandosi su una consolidata giurisprudenza. Di conseguenza, non essendo stati ravvisati errori di diritto, il ricorso è stato dichiarato inammissibile.
Le conclusioni
La decisione comporta per il ricorrente non solo la definitività della condanna, ma anche il pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di tremila euro a favore della Cassa delle ammende. Dal punto di vista giuridico, questa ordinanza è un monito per gli operatori del diritto: un ricorso per cassazione deve essere redatto con rigore tecnico, concentrandosi esclusivamente sulle questioni di diritto e sui vizi procedurali, senza tentare di trasformare la Suprema Corte in un giudice di merito. La distinzione tra giudizio di fatto e giudizio di legittimità rimane un pilastro del nostro ordinamento processuale penale.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché era generico e non contestava un errore di diritto, ma mirava a ottenere una nuova valutazione delle prove e una ricostruzione dei fatti diversa da quella stabilita dai giudici di merito, attività che non rientra nelle competenze della Corte di Cassazione.
Cosa si può contestare con un ricorso in Cassazione?
In Cassazione si può contestare la violazione o l’errata applicazione della legge (errores in iudicando) oppure vizi della motivazione della sentenza, come la sua manifesta illogicità o contraddittorietà (errores in procedendo), ma non si può chiedere un riesame delle prove.
Quali sono state le conseguenze per il ricorrente?
Oltre alla conferma della condanna, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 7499 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 7499 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 17/01/2023 della CORTE APPELLO di ANCONA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso proposto nell’interesse di NOME;
considerato che l’unico motivo di ricorso, con il quale si contesta la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato e, di conseguenza, la corretta qualificazione giuridica del fatto, è privo di concreta specificità e tende a prefigurare una rivalutazione delle fonti probatorie e/o un’alternativa ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice del merito, estranee al sindacato di legittimità e avulse da pertinente individuazione di specifici travisamenti di emergenze processuali valorizzate dai giudicanti;
che, invero, i giudici del merito hanno correttamente sussunto il fatto, per come ricostruito, nella fattispecie di cui all’art. 648, quarto comma, cod. pen., conformemente alla consolidata giurisprudenza di legittimità (Sez. 2, n. 25439 del 21/04/2017, Sarr, Rv. 270179; Sez. 2, n. 53017 del 22/11/2016, Alotta, Rv. 268713) ed ampiamente argomentando sul punto (si veda, in particolare, pag. 4);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9 gennaio 2024.